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In memoria di B. Baczko
di Giuseppe Galasso
Bronislaw Baczko aveva vissuto la su giovinezza scientifica nella Polonia del dopoguerra: la Polonia che, pur reclusa entro la “cortina di ferro” e sottoposta a un regime comunista non più dolce degli altri della sfera sovietica, non cessava mai di scalpitare, animata, come sempre, dal suo indomabile spirito nazionale, dal suo mai dismesso cattolicesimo, dalla sua mai esaurita spinta verso l’Europa e l’Occidente. Il contesto condizionò, ovviamente, la sua formazione e la prima fase della sua attività di studio, e lo si vide anche nel suo primo lavoro, che fu un attacco a Tadeusz Kotarbinski, uno degli esponenti della scuola di logica di Leopoli-Varsavia, iniziata da KasimierzTwardowski, interessata alla logica matematica e vicina allo spirito del Circolo di Vienna. A questo spirito si rifaceva in particolare Kotarbinski, al quale Baczko imputava lo scarso carattere “dialettico” della sua riflessione: dove dialettico” stava, come si sa, per marxistico.
Di questa sua prima stagione non poté poi restare in lui molto altro, oltre una nativa passione per la storia delle idee e una educazione al rigore delle idee e delle loro sfumature e variazioni. Così, fu una nuova figura di studioso quella che Baczko seppe costruirsi da quando nel 1968 lasciò la sua patria, esposta allora alla stretta autoritaria e oppressiva del presidente Gomulka, deciso a stroncare l’influenzasui giovani, per lui perniciosa, di alcuni studiosi, come, oltre Baczko, anche Zigmunt Baumann e Leszek Kolakowski, altri nomi illustri della cultura contemporanea.
Questa vicenda e la decisione di emigrare dimostrano, peraltro, che già prima del 1968 il primo Baczko era andato tramontando nella ricerca di un diverso e più ampio orizzonte intellettuale e civile. Egli si stabilì prima in Francia e poi, subito dopo e soprattutto, in Svizzera, nelle cui università si affermò ben presto come un profondo conoscitore e storico del pensiero illuministico. Non sempre ci si rende ben conto dell’intenso travaglio di pensiero e delle grandi revisioni e rifondazioni metodologiche che tanti intellettuali e studiosi dell’Est europeo dovettero affrontare per inserirsi nel circolo vivo e più attivo e fecondo del pensiero e della vita intellettuale dell’Occidente. Ad alcuni riuscì certamente meglio che ad altri, e fu il caso di Baczko.
Era mosso da uno studio intensivo di Rousseau, scoperto studiando, nei suoi inziali fervori dottrinari, Hegel. Di lui egli trattò in specie i problemi centrali del rapporto fra solitudine individuale e comunità e della tensione fra diritti dell’individuo e doveri sociali. Di qui ampliò i suoi studi e procedette a una ricognizione originale e feconda di temi di grande rilievo non soltanto storico. Così, in particolare, per il rapporto fra utopia e storia colto con grande acume nelle sue versioni illuministiche in quella che è forse la sua opera (del 1978) più felice; così ancora per l’esito della rivoluzione francese nel Terrore prima e nel Termidoro poi, considerati, l’uno e l’altro, in un’altra sua opera (del 1989) di grande interesse, come fatali epiloghi e nemesi dei regimi rivoluzionari di modello francese e giacobino.
Non erano temi di puro interesse storiografico. L’utopia apparve negli anni della “contestazione” e della “immaginazione al potere”; lo studio sul “come uscire dalla rivoluzione” al momento del crollo del muro di Berlino: temi ed eventi sui quali la lunga marcia di Baczko dalla sua formazione filosofica “dialettica” a un prassi storiografica ben diversamente orientata lo metteva in condizione di dire molto sul piano degli studi e oltre di esso. Che è poi la ragione per cui la pregnanza e l’attualità dei suoi scritti non appaiono destinate a un rapido tramonto.
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