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Lo "storicismo scientifico" di Luigi Zanzi
di Giuseppe Galasso
Un caso decisamente singolare. Luigi Zanzi, a lungo docente di teoria e metodologia della storia nelle Università di Genova e poi di Pavia, si spegneva nella sua Varese il 31 maggio 2015. Alla fine dello stesso anno apparivano presso l’editore Hoepli, a cura sua e di Enrico Giannetto (fisico e storico della fisica), gli atti di un convegno tenuto più di venti anni prima, nel novembre 1994, dal titolo, esso stesso un po’ peregrino, Con Darwin al di là di Cartesio al seguito di Ilya Prigogine.
Il caso singolare si fa, peraltro, notare anche perché Zanzi, come Giannetto, è un esponente di quello “storicismo scientifico”, che, sulle orme di Ludovico Geymonat, ma in connessione con la cosiddetta epistemologia della complessità (d’onde anche il richiamo a Prigogine), ha cercato di istituire un rapporto organico di reciproca integrazione tra scienze naturali e scienze umanistiche (in particolare la storiografia), tra scienza e umanesimo. Non è, però, solo una variazione sul tema delle “due culture” (ma si vedano in questi atti le pagine di Prigogine su Time, chaos and the two cultures). È piuttosto l’ambizioso disegno di trovare un piano che intrecci organicamente l’una e l’altra di quelle due prospettive teoriche e metodologiche.
Il punto di intreccio sta per Zanzi nel fatto che non solo la scienza si costruisce storicamente ed è storicamente condizionata come ogni altra attività o realtà umana, ma ha un oggetto (la natura, le sue forze, i suoi fenomeni, le sue “leggi”) che anch’esso non è dato ab initio e non è dato una volta per sempre, non è scontato e definibile come una struttura statica e come tale indagabile e conoscibile. È, invece, un corpus che si costruisce storicamente, ed è, quindi, da considerare come un perenne work in progress, ed è votato alla storicità sia di per sé che come oggetto di scienza. Come ogni altro fatto storico, anche la natura lascia tracce del suo passato, che vanno impiegate con adeguate tecniche ricostruttive, a cominciare dalla maniera e dalle vie onde le tracce ne sono state tramandate. E, naturalmente, ciò comporta anche tutta una diversa considerazione di molte delle idee scientifiche correnti, a cominciare da quella di tempo e dalla stessa natura e funzione dell’esperimento scientifico.
Con ciò Zanzi non vuole affatto negare l’esigenza costitutiva e irrinunciabile che la scienza moderna ha fissato nell’elaborazione di strutture e di procedure e logiche analitico-matematiche (calcolo formale, calcolo previsionale etc.). Ritiene, però, che a questa esigenza si possa e si debba provvedere attraverso schemi operazionali molto più ampi di quelli consueti al campo matematico, che sono molteplici e vanno elaborati in vista dello scopo della ricerca. Raggiunto questo scopo, diventa anche possibile dare un giudizio conclusivo in termini di efficacia sui procedimenti seguiti.
Resta, quindi, l’edificio della scienza come grande e perenne attività di conoscenza attraverso una miriade di ricerche confluenti nel flusso costante del progresso scientifico e nella progressiva approssimazione a un universo delle conoscenze costantemente verificate, corrette o modificate e integrate secondo parametri continuamente aggiornati. Muta, però, nelle vedute di Zanzi, il fondamento tematico ed epistemologico di questo edificio, che si trasforma in un grande laboratorio di “ricostruzione storica”; e dovrebbe anche mutare l’assetto disciplinare della ricerca scientifica in funzione di questa nuova ottica scientifica.
Si spiega così il titolo ridondante degli atti ora pubblicati. Si vuol passare dall’universo cartesiano, meccanico e stabile oggetto di calcolo, all’universo evoluzionistico di Darwin, seguendo Prigogine nelle sue considerazioni evoluzionistiche relative in particolare al tempo e alla cosmologia.
Alla storia è riservata, in questa ottica, una considerazione equivalente e speculare, che tende a stabilirne un fondamento “scientifico” parallelo a quello auspicato per le scienze fisiche e matematiche. Una gran parte degli atti è dedicata al problema della storiografia e del metodo storico, a cominciare dalle pagine di Immanuel Wallerstein su History in search of science. Non mi pare questa, però, la parte più interessante degli atti ora pubblicati, che credo vada ravvisata, invece, nello sforzo, certamente notevole, di definire la realtà della natura e delle scienze naturali e matematiche in un prospettiva pienamente e sostanzialmente storica. Non è la prima volta che ciò accade, ma Zanzi ha portato questo sforzo a un punto indubbiamente molto spinto sulla via di una conoscenza pienamente storicistica della realtà fisica e della conoscenza umana. Egli definisce “scientifico” il suo storicismo in opposizione a quello “idealistico”, per cui è chiamato in causa e rifiutato, com’era da aspettarsi, lo storicismo crociano (la cui affermazione è proprio, tuttavia, che la realtà e la conoscenza non sono “nient’altro che storia”, e questa affermazione ha un senso ben più esteso e coinvolgente di quanto sembra a Zanzi). È lecito, comunque, pensare che una prospettiva “operazionistica” possa davvero risolvere i problemi fondamentali di gnoseologia, di epistemologia e di metodologia sia dello scienziato che dello storico? A noi continua a sembrare che la chiave di questo interrogativo vada piuttosto cercata in una unità concettuale e operativa del giudizio storico e di quello scientifico, e in un loro comune fondamento storico, che non è soltanto “operazionistico”, ma strutturale della condizione umana. Ragion per cui, prima che di Darwin e di Prigogine o di altri, è di Kant e della sua critica di ogni razionalismo di principio in qualsiasi forma, sia cartesiano che post-cartesiano, che innanzitutto e soprattutto ci si deve ricordare.
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