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Il guanto rovesciato. Storia della cultura e storie di genere
di Emma Giammattei

Se analizziamo la relazione fra sapere e potere
in riferimento al genere siamo costrette a chiederci
come l’organizzazione dei generi sia giunta
a funzionare come presupposto della struttura
del mondo.

J. Butler



1. Autocoscienza e storia. L’immagine scelta ad emblema del seminario che dà il titolo al libro, datata 1868, fa parte di un gruppo di quadri storici raffiguranti episodi della Rivoluzione napoletana del 1799 e realizzati in un momento cruciale della storia della nazione italiana, cioè nel pieno del dibattito sulla scelta della capitale del Regno d’Italia1. L’epopea del ’99 costituiva infatti un immaginario storico spendibile in una prospettiva unitaria, provenendo da un periodo eroico e innovativo nella storia di Napoli. In particolare il pittore Giuseppe Boschetto allievo prediletto di Domenico Morelli volle ritrarre Eleonora Pimentel Fonseca mentre viene condotta al patibolo, in una raffigurazione che intrattiene un ideale dialogo femminile/maschile con l’immagine storicamente posteriore di Carlo Poerio condotto all’ergastolo nel dipinto di Nicola Parisi di qualche anno prima. Opera dichiarativa, dunque, dove il realismo proiettato nel passato presenta la nobildonna degradata nelle vesti di popolana, mentre attraversa in corteo il labirinto di vicoli intorno a piazza Mercato, con piglio indomito, in una scena di movimento che sospende la morte: assente nel quadro, questa governa il tempo mitico-agiografico, in quanto storia certa, messa al servizio di una visione contemporanea, che collega un evento straordinario e come sigillato nella propria aura, il ‘99, e la candidatura di Napoli a Capitale del Regno d’Italia.
In apertura del libro che raccoglie i risultati della prima fase della ricerca sulle élites femminili, il quadro suggerisce che il potere delle donne sia molto costoso, che passi attraverso le idee, che sia connesso con le grandi svolte della storia, con il clima di emergenza che riformula o rende meno prescrittive le gerarchie di classe e di genere; infine, che la morte eroica divenga la garanzia del valore, che difatti viene messo in salvo in una dimensione non solo di storia napoletana ma nazionale.
A questa icona assai nota di Eleonora, si può affiancare una testimonianza proveniente dalla vita privata, per più versi anticipatrice e particolarmente attinente al nostro discorso. Eleonora rientrando in camera ritrova

I pochi libri che vi avevo – racconta lei stessa nella memoria della causa di divorzio nel 1784 – tutti sparsi per terra, ed il giorno seguente (il marito) giunse al pazzo furore di voler brugiare due libretti di epistole inglesi contenenti la storia di quell’isola, ed altri di belle lettere francesi stampati in Olanda (lingue ambe a lui ignote) traendo argomento dalla lingua, e dal luogo, che dovessero essere ereticali, ed affermando che egli come marito, poteva, e voleva comandare le mie azioni e la mia coscienza. Né tali stranezze venivano da lui esercitate senza violenza delle mani, alla quale non potei io schermirmi, che a forza di fermezza di spirito2.


Il fatto reale arriva a noi arricchito da un’aura postuma di allegoria. Quando si bruciano i libri, qualcosa di grave è accaduto o sta per accadere: ce lo ricorda la storia e lo racconterà la letteratura moderna – dal libro di Tristano nell’Operetta leopardiana («bruciarlo è il meglio») all’apologo di Bradbury in Fahrenheit 475, dal Carteggio Aspern di James al rogo di lettere smarrite che è l’antefatto della parabola di Bartleby, fino all’Auto da fè di Canetti. Il rogo cartaceo annuncia o sancisce la distruzione fisica dell’uomo e l’occultamento della memoria culturale. Nello stesso tempo la vicenda pionieristica della Pimentel attesta la forza della cultura come energia liberatrice e come potere alternativo della competenza: alla rassicurante figura della femme lisant nello spazio chiuso della stanza si sostituisce quella di colei che legge, sì, ma in modo dinamico, in vista della scrittura e dell’azione.
Si possono riconoscere nella situazione or ora citata tratti familiari che quasi non necessitano di decodifica e renderli immediatamente contemporanei, proiettarli sul nostro presente, immetterli nella sequenza della esemplarità di una storia femminile. Si deve però anche ricordare che quei tratti significativi sono stati isolati e riportati nel discorso attuale, secondo un certo taglio, nell’operazione che restituisce il profitto del senso a chi l’ha prodotto col racconto. Il prelievo stesso del fatto lo modifica nell’estrapolarlo, così come il reperto archeologico estratto dallo scavo si altera nel «prendere luce», cosa pur necessaria al fine di ricostruirne la storia. Si può dire di più: soprattutto quando si maneggiano materiali concernenti la storia delle donne, bisogna ripetere considerazioni note, ma non ancora divenute ovvie: che il racconto dello storico parte sempre, si sa, da una distanza prodotta e poi ricucita; il testo è chiamato a porre e sanare la frattura, la quale è però riconoscibile ovunque, al di là della dialettica maschile/femminile. Da una parte il concetto di storio-grafia implicherebbe l’insanabile contraddizione fra evento e scrittura sulla quale ha riflettuto Michel de Certeau, nel proiettare l’ombra dell’alterità permanente sullo statuto stesso dello scrivere storia3. Dall’altra quella problematizzazione totale torna utile, quando si intenda ridurre la differenza di una storia separata e polemicamente orientata, nella prospettiva di una analisi delle rappresentazioni e dei linguaggi di «genere» come determinanti l’esperienza. In particolare, è operante ormai negli studi storici la coscienza che la nozione multipla di genere viene continuamente modificata e ricostruita nell’uso che se ne fa, a tutti i livelli, dell’immaginario collettivo come della «Haute couture intellettuale»4. Ciò è emerso con evidenza dal fruttuoso seminario preliminare del novembre 2016 − dal sottotitolo scanzonato Una storia diversa5 –, dalla conversazione intorno ai lavori in corso, dagli interventi di grande interesse sul significato storico e sul taglio teorico che veniva fuori nelle vicende e figure da raccontare, le quali prendevano forma nel percorso testuale dagli archivi. E dalla testimonianza straordinaria per vivacità e densità sulla nostra esperienza di studiose e di studiosi di generazioni diverse si è resa chiara la convergenza su di un dato comune: una coscienza storiografica integrale normalizza ed adegua i propri oggetti, nel senso che attraversa, egalitaria, dissolvendolo o sospendendolo, il discrimine maschile-femminile. Storicismo ed ermeneutica dell’altro infatti si sono fronteggiati per decenni in quella che si definisce o come una «storia di confine» o come storia piena6. Oggi questi due momenti, non opposti ma complementari, rientrano in un medesimo atteggiamento intellettuale paziente e ricostruttivo, in quanto disponibile al lavoro empirico, nei molti tasselli da aggiungere al quadro, come risulta dalla ricca articolazione dei temi, delle questioni, dei personaggi che sono stati trattati nel presente volume.
Il progetto di storia della cultura che nella sua prima parte realizzata ha preso il titolo Potere prestigio servizio. Per una storia delle elites femminili a Napoli (1861-1943) vuole collegarsi infatti ad una stagione di studi sul mondo delle donne dal punto di vista della relazione e dei suoi media, e a riflessioni metodologiche che hanno costituito un turn-point nella storia della storiografia. In particolare, a volere indicare sommariamente le acquisizioni di maggiore interesse funzionali al taglio di questo libro, l’utilità del genere come categoria storiografica operativa, idea sottolineata da Joan Scott a partire dal celebre saggio del 1986, ha reso possibile un ripensamento complessivo del rapporto fra evento e narrazione7 ed una riformulazione del concetto stesso di identità, attraverso il focus della identità sessuata. Inoltre il posto occupato dalle strutture dell’immaginario, dalla testualità, dalle scritture comunicative che veicolano ed accompagnano il divenire storico e l’autocoscienza di ruolo di quelle élites femminili (in una accezione qui verificata per la cultura napoletana) va ricondotto, come debito, a studi pilota di carattere filologico e storico non immediatamente ascrivibili ad una prospettiva di genere, sebbene utili e pertinenti rispetto ad essa. Mi riferisco in particolare agli studi di Nicole Loraux sulle rappresentazioni mentali prodotte da una cultura nel momento in cui, nella Grecia tra il VII e il V secolo a.c., era pieno ed assoluto il credito e il valore di ciò che oggi si definisce letteratura. La storia della mentalità, secondo una metodologia operativa che si avvale della psicoanalisi, conduce la Loraux a ricostruire un contesto «dove il femminile è ossessivamente presente, ma nel quale sarebbe impossibile individuare le donne come soggetto di storia, data la loro assenza dai documenti»8, a liberarsi dei fantasmi della cosiddetta realtà per entrare con decisione «nell’universo delle rappresentazioni»9. Complementari, in tale direzione, sono le considerazioni metodologiche di una valente medievista, Gabrielle Spiegel, sul nesso strettissimo fra storia della cultura e storia della letteratura, in quanto cultura e letteratura sono «istituzioni costituite da sistemi simbolici che rendono possibile il fatto che le azioni e le cose abbiano un significato». La Spiegel afferma ad esempio, sulla scorta di Roger Chartier, che ciò che è reale «è la stessa maniera in cui i testi mirano alla realtà, nella storicità del loro prodursi e nella strategia della loro scrittura», fermo restando l’assunto secondo il quale la storia è «literature of fact» letteratura di realtà di fatto10. Sono tutte osservazioni sollecitanti, per la viva problematicità emersa dalla concreta esperienza della ricerca storica. Di qui l’esigenza di capire le relazioni fra le forme dell’immaginario e i livelli di realtà in esse evocate, che possono essere di rispecchiamento o di interazione dialettica o di totale sconnessione e contrasto, anche, è ovvio, valutando i contesti e le modalità della ricezione che rendono reale ed attivo un testo. Non si dimentichi che ci sono testi performativi, parole-azione, le quali fanno esistere le realtà che configurano, contribuiscono al complesso sistema delle «evidenze» di una comunità discorsiva. Da questo speciale punto di vista si devono mettere in gran conto le posizioni di rottura, risolutrici di schemi e stereotipi, dovute alla filosofa Judith Butler (The gender trouble) sulla performatività del genere, sulla identità come performance, convenzione prodotta o subìta nei rituali delle parole, in cui si incastra ogni volta la vita dell’individuo11. Si tratta di una prospettiva innovatrice che ha contribuito a far ripensare il concetto di identità, a liberare gli studi da quella che è stata opportunamente definita, nel campo dell’antropologia, l’ossessione identitaria12. In luogo di questa, c’è oggi il tema della singolarità possibile, probabilmente il nucleo essenziale di un pensiero del nostro tempo consegnatoci da un detto memorabile di Filippo Ottonieri13 e riformulato in modo originale da Giorgio Agamben come «singolarità qualunque»14. Non si intende qui dissolvere lo specifico femminile negli acidi del pensiero negativo, tutt’altro. Si vuole semmai sottolineare che, a proposito della strutturazione del mondo nella polarità maschile-femminile, rimane rilevante, come analisi complessiva di un’epoca, la riflessione che si è sviluppata nella prima parte del Novecento lungo la linea sociologica fra Simmel e Adorno. E ricordare il significato e l’interesse ancora attuali del discorso filosofico il quale ha innestato la posizione del femminile dentro il contesto ampio e intrecciato delle dinamiche indotte dai nuovi assetti strutturali, agganciando quella alla questione della libertà e dell’individuo nell’età della modernizzazione della tecnica e del «potere sociale». Nel saggio pubblicato nel 1902 negli Stati Uniti, direttamente in lingua inglese, Tendencies in German Life and Thought since 187015 Simmel osservava che il modello arcaico e strutturale, dove la donna non aveva concorrenti maschili, e cioè la gestione della casa, poteva in una società dal carattere del tutto mascolino svilupparsi, nell’età della modernità, delle diversità, delle «secessioni», ed essere sostituito da altri ambiti «ancora tutti da scoprire»16. Nello stesso tempo osservava che la donna appartenente al proletariato, a differenza della donna borghese tesa verso attività all’esterno della casa percepita come prigione, mostrava una tendenza opposta, e viveva la libertà sociale connessa al lavoro operaio come costrittiva della libertà individuale. Sono pagine acute che situano la questione femminile sul doppio versante di classe, in misura complementare, in quanto facce della stessa medaglia, all’interno degli smottamenti sociali e antropologici legati al nuovo modo di produzione. Con la memoria rivolta a quella Germania, così avanti nella pratica del Moderno, e con lo sguardo sul presente, l’America degli anni Trenta-Quaranta, non diversamente Adorno nella stagione del suo esilio operoso, avrebbe messo in luce, per flash abbaglianti, la condizione femminile ricondotta ai modi generali della produzione di miti e stereotipi nella società di massa. Il principio della dialettica-negativa secondo il quale «non si dà vita vera se non nella falsa» cioè a partire dalla dinamica della libertà-da, contro il simulacro della libertà generalizzata «che spoglia l’individuo della forza di rendersi libero», ispirava le acute osservazioni sul matrimonio, sulle tecniche della seduzione, sul carattere femminile come prodotto della società maschile, calco del dominio, in ciò rivelatore della totalità malata17.
Questo sfondo teorico-metodologico, appena accennato per punti chiave e scansioni funzionali, rinvia all’esigenza di un discorso, non è inutile ripeterlo, che comprenda la questione femminile nell’alveo ampio della storia e critica della cultura. Essenziale mediazione fra storia culturale e analisi dei testi significativi è costituita dal rilievo che assumono le immagini, le rappresentazioni, i ruoli, la ricezione delle scritture prodotte, le modalità comunicative.


2. La politica culturale delle donne. Anche sotto tale rispetto la cultura napoletana – porzione importante e integrata del paesaggio italiano – ha affermato la sua vitalità e pluralità, la lunga gittata di linee di pensiero e azione. Se si rimane con i testi nell’ambito di questa stagione fondativa – poi seguìta da una cesura, se non di ideali, della sequenza fattuale, di ordine politico – qualche spunto di ulteriore riflessione viene suggerito nell’abbinare alla figura, patrocinante, di Eleonora, quella francamente esotica e più misteriosa della duchessa Giovane, cara al Goethe napoletano, apparentemente opposta. C’è un testo, Lettres sur l’éducation des princesses, che apre uno squarcio rivelatore sulla vita di corte negli stessi anni della Pimentel, prima del ‘99. Con quel manualetto che esibiva un plan d’étude la Giovane, la quale abbandonato marito e figlio a Napoli, era rientrata a Vienna, sperava probabilmente – racconta Croce – di tornare a Napoli come istitutrice della prole di Maria Carolina18. «Era una bella donna sui ventun’anni, letterata, filosofa, studiosa di questioni sociali, politiche, umanitarie, scrittrice di libri pedagogici e di poesie filantropiche, donna di sentimento… È quasi inutile soggiungere − scrive Croce con un po’ di malizia −, che viveva separata da suo marito; che suo marito era un uomo rozzo e brutale etc. etc. etc.»19.
Si tratta di un manualetto di sopravvivenza, di grande interesse, laico, di ispirazione rousseauviana, («l’Auteur de l’Emile») tutto teso ad affermare la centralità della istruzione, efficace contrasto agli intrighi e cabale di corte. E c’è la specificità della education du Sexe, a contestare lo stereotipo vigente della instabilità mentale femminile: «Les hommes sont toujours prets à se plaindre de la fouge de l’imagination des femmes, de leur manque de caractère, et de l’incostance de leurs inclinations» – Letto in controluce vi si troveranno allusi gli «indignes courtisans familiers avec tout les vices, tourbillon des distractions et des plaisir».
Se ne cita un passo dall’esordio:

Je connais tout le prix des ouvrages de l’auteur d’Adèle et Théodore, ceux de Mesdames de la Live et de la Fite sont sous la forme gracieuse du dialogue, l’analyse la plus juste du coeur humain dans les premiers âges de la vie, et les écrits si bons que nombreux de ma digne amie de la Roche, n’ont d’autre but que de former l’esprit et le coeur des jeunes personnes du sexe. Je connais le mérite de plusieurs auteurs distingués qui ont écrits sur l’éducation des princes, entre lesquelles l’immortel Fénelon restera à jamais le modèle de tous les Siècles! […]. Si ainsi parmi ce grand nombre d’excellens ouvrages, j’ose faire paraitre celui-ci, c’est comme je l’ai déjà dit, parce-que je n’en connais point qui traite en particulier de l’éducation des princesses! Dont cependant chacun qui considérera leur destination, se persuadera facilement, et de l’importance, et de la différence qu’il doit y avoir entre elle et l’éducation des autre(s) personnes du Sexe20!


«veramente un bel libretto, pieno di buon senso e di osservazioni acute»21, secondo la considerazione crociana. Ma è anche operetta del disincanto e della penuria economica, oltre che dell’orgoglio della cultura, l’ambito sempre sottolineato dalla dottissima e multilingue duchessa, dove campeggia, accanto alle amatissime scienze naturali, la mineralogia soprattutto, proprio la storia, la storia politica, la Staat Geschichte. Ormai chi somministra l’educazione deve tenere conto della indécision des destinations, attiva ai vertici della scala sociale, e poiché tutti i casi sono possibili l’istruzione è chiamata a contrastare l’incertitude effrayante dei tempi, che colpisce doppiamente il soggetto femminile22. È un galateo politico di una lettrice dell’Emile, dove la cultura e l’istruzione, la fatica per conseguirla, configurano un’altra morale, rispetto all’intrigo, rispetto all’«esprit de domination»23. Il titolo individua il genere delle destinatarie, elementi deboli a corte e perciò bisognose di strumenti conoscitivi, ma in verità delinea il negativo-maschile in un modello metaforico, dove la trascuratezza dell’educazione risultava nella violenza di persone ignoranti e dotate di ambizione naturale.
Giunta ad una saggezza dolorosa la Giovane si fa e si propone maestra di una nièce, cui impartire una pedagogia politica sessuata e proiettata in avanti, lontano dal modello di Adèle et Théodore di Madame de Genlis24. Maestra, si chiede Croce, o alla fine avventuriera e briccona? – senza sciogliere il dilemma. Qui interessa l’habitus scientifico ed umanistico che connota il peculiare illuminismo di questa sventata geniale, della Giovane, ridotta alla fine in povertà e in malattia.
Figure contemporanee assai differenti, certo, quelle della Pimentel e della Giovane, ma qui collegate, come casi-limite, dal privilegio rischioso rappresentato dalla cultura, dalla costruzione di sé, di una identità nuova, tale da sollecitare le domande che hanno problematizzato all’origine il progetto della ricerca confluita nel libro. Nella fase in cui si registra il passaggio da una storia separata e rivendicativa che ha approntato materiali ed accumulato temi e questioni, ad una storia integrale, il contesto e la destinazione sociale della competenza femminile assumono una centralità determinante, forse l’unico spazio che fa registrare un percorso evolutivo continuo25.
Nel prospetto configurato dalle sezioni del volume, che si apre emblematicamente con la relazione di Giuseppe Galasso sulle sovrane di Napoli, l’esemplarità poi si manifesta, sui differenti versanti considerati della storia nazionale, nella costanza di un tratto distintivo: la capacità di agire, di esistere, nelle modalità e nei livelli di classe più diversi, innanzi tutto nella oggettivazione del «bene relazionale», cioè l’uso della reciprocità consapevole e finalizzata26, che rappresenta uno stadio ulteriore rispetto alla generica «socievolezza» concettualizzata da Simmel, come sospensione del conflitto interindividuale e spazio di libertà negoziata. Questo «bene», valore culturale, sembra essere il carattere proprio, storicamente formato e perciò variamente orientato, di quella razza autoprodotta ed autoctona, il ghenos gunaikòn, quale aveva rappresentato Esiodo nella Teogonia, e la cui origine − si legge in un saggio giustamente celebre di Nicole Loraux27 − restituiva il mito di fondazione della donna come unità contraddittoria del disparato, rappresentazione primaria ed auto-modellante risultante dal bricolage, dall’assemblaggio “strano” di natura e artificio. Una simile rappresentazione mentale, essa stessa da intendersi storicamente, può forse ancora accompagnare, in quanto immagine e monumento del passato arcaico, una indagine analitica coinvolta nel presente delle donne, oggi: cioè in una dimensione distante della temporalità storica, ma non del tempo profondo che vi si incrocia e mescola, quello delle permanenze e delle forme invarianti – che vengono riconosciute di volta in volta come tali nel loro costante, e pur sempre diverso, ritornare.
Dopo il seminario preparatorio del 9 novembre – incontro festosamente informale fra studiose e studiosi – fu chiaro che non si pensava soltanto di recuperare profili perduti o dimenticati o sottovalutati, di artiste di scienziate di maestre di studiose, di giornaliste-scrittrici, di traduttrici, di organizzatrici dell’educazione, di figure e testi smarriti o rimasti lettera morta, e di ricostruire linee di azione e posizioni, che sarebbe stato poi uno dei risultati rilevanti del laboratorio-convegno del dicembre 2016. Ci sono ora i ritratti finalmente bene orientati di personalità eminenti quali Teresa Ravaschieri e Adelaide Pignatelli, delle studiose e docenti universitarie, la pedagogista Dentice la storica Valente, i profili in apparenza minori e circoscritti (Aganoor); c’è il catalogo delle scienziate a Napoli, si è ricostruito il crogiuolo di competenze e di significative vicende esistenziali intorno alla Stazione Zoologica; importante la relazione sul mondo della pedagogia in azione, delle maestre, e l’analisi del modello educativo Schwabe: i materiali scientifici e i temi messi in campo valgono di per sé a segnare l’importanza del confronto interdisciplinare che ha forse costituito un gruppo di lavoro disponibile ad ulteriori avventure intellettuali. Ed è apparsa ineludibile, in parallelo, l’analisi dei testi, delle scritture, delle rappresentazioni ed immagini del femminile, nella fase storica della trasformazione e delle dinamiche dall’Otto al Novecento. La previsione di una piattaforma digitale che metta in sistema le figure in quanto biografie intrecciate, i gruppi individuati da specifiche comunità – dal salotto al giornale, dalla scuola ai mondi dell’arte – rimane uno scopo da realizzare, dal momento che il quadro storiografico risultante dalla ricerca, appare vivo e nuovo, nei contorni via via definiti. Sicuramente, quel «coefficiente simbolico negativo» indicato da Bourdieu28, che separerebbe la donna dalla cosiddetta società maschile anche quando entra nello spazio sociale del lavoro, dell’insegnamento, della comunicazione, investe i due dati sottesi al seminario: il nesso diretto fra genere e potere, e quello fra genere e democrazia, – chiariti nella sostanza dalla tesi espressa nel 1816 da un reazionario assai acuto, il de Bonald: «Per tenere lo Stato fuori della portata del popolo, bisogna tenere lontana la famiglia dalle mani delle donne»29. Risulta confermata, e proprio nei termini correlati di servizio e prestigio, la forza della presenza femminile nella configurazione del gruppo familiare. Anche nel percorso dinamico verso la modernità (il mondo delle professioni o dell’arte o comunque della attività sociale) la figura femminile e il suo “potere” si confermano, a volte problematicamente, all’interno della trama primaria della famiglia30). La ricostruzione dei gruppi familiari, e delle reti familiari delle élites, dei mutamenti in quella che è la dimora sociale fondamentale, è un corollario non secondario della ricerca, così come emerge da carteggi diari testi autobiografici. Secondo Joan Scott rimane ancora da studiare analiticamente il rapporto fra regimi autoritari e controllo delle donne. In tal senso, viene fatto di aggiungere, un testo letterario e politico come Eros e Priapo di Carlo Emilio Gadda, ha individuato la struttura profonda e la componente sessuata, di genere (ma di un genere trascendentale, non necessariamente legato all’anagrafe), dell’esercizio del potere violento e della sudditanza della vittima, la quale si crede d’accordo, aderendovi, col principio che la soffoca, esempio clamoroso del carattere formativo della rappresentazione (o metafisica) di genere. L’altro fattore importante, e idea propedeutica di questo libro comune, concerne la questione e la definizione di élite: la costituzione in élite, categoria meta-storica e sovrastrutturale che agisce storicamente (come sistema ideologico di valori spirituali civili morali e politici), scatta, nei vari e diversificati livelli e ruoli, dall’aristocrazia alla piccola borghesia, da un rovesciamento, − dal movimento dialettico che trasforma il vuoto in un pieno, il negativo in occasione e chance, a patto di assumere il limite come specialismo. Lo aveva adombrato Simmel, lo ha spiegato esaurientemente Bourdieu, in un libro peraltro centrato sulla interpretazione di un grande testo della letteratura europea del Novecento, Gita al faro, dove l’acume quasi doloroso e l’autocoscienza femminile della Woolf decodifica e svela il gioco marito/moglie in termini di divisione del lavoro rispetto alla libido dominandi, intorno alla quale la coppia si associa, in un contesto storico determinato31.
Bourdieu ha indicato lo spostamento nello spazio pubblico della antica struttura familiare del femminile, ed ha messo in rilievo le permanenze nascoste nella secolarizzazione ed emancipazione: l’occupazione e il governo dello spazio di servizio, di management, concesso al ruolo di genere, la cura, la formazione, la comunicazione morale – dalla letteratura per l’infanzia al libro per giovanette – la traduzione, si vuol dire tutta la fenomenologia della mediazione, trasporterebbe l’antica divisione, specializzandola. Dai dati che il seminario ha cominciato a predisporre emerge l’esigenza di limitare in parte il determinismo di Bourdieu nel circoscrivere quel potere di mediazione – insegnamento, ricerca scientifica ‘secondaria’, giornalismo, letteratura di servizio, traduzione, pubblico impiego nei settori dell’archivio e della biblioteca – ad una automatica e resistente forma di trasmissione del Dominante. Non sempre è così. La capacità di relazione, l’apprendere e gestire il bene relazionale, come connessione fra linguaggi, culture, saperi, persone, habitat diversi, possiede un valore che oltrepassa la mansione tecnica. La modalità diventa sostanza, la direzione del sapere lo modifica e lo riempie di soggettività nuova, oltre la gestione del potere «per procura».
In questo significato precipuo, l’immagine del guanto qui adottata, sostenuta da una preziosa iconografia simbolista di fine Ottocento32 evoca in termini metaforici il rapporto
peculare posto ab antiquo fra potere e seduzione, come elementi caratterizzanti i due campi, maschile-femminile (seduzione del potere/potere della seduzione) e operanti in modo analogo: dichiarato e nello stesso tempo coperto, evidente eppure segreto. Il rovesciamento della forma guanto indica allora il transito femminile verso il potere effettivo prodotto dalla assunzione in proprio del sapere limitato o di servizio o accessorio, trasmutazione della originaria mansione domestica. Ne vengono ribaltati, in una dialettica sociale di tipo marxiano, i paradigmi fondativi della domination masculine, lontano dallo stereotipo funzionale della techne seduttiva assegnata alla «natura» femminile33.
Peraltro, nei processi di secolarizzazione della figura femminile, la capacità di governare l’immagine ricevuta, di giocare con la seduzione, di organizzarla e in certi casi di istituzionalizzarla, rimane sullo sfondo come luogo problematico: il potere della bellezza, il rapporto con i mondi dell’arte e i suoi paradigmi alternativi, la messa a punto della macchina del piacere o dell’inutile, se controllati determinano il possesso del backstage della scena sociale, del mercato dei beni simbolici più immediati, ma in questo caso il femminile si manifesta lungo la linea di confine ove vige il binomio di privilegio e pericolo, di norma e avventura, e gli itinerari esistenziali di personaggi quali Angelina Zampanelli o di Vera Vergani, che sono stati considerati nel libro, possono realizzarsi solo in una zona di sicurezza di classe, di libertà ‘vigilata’ dei costumi34.


3. Le scansioni. Dal Risorgimento al primo Novecento. In questa dimensione complessa nei molti livelli in cui si articola, il Risorgimento, come risulta assodato grazie alla cospicua messe di studi prodotti negli ultimi decenni, ha liberato energie e innescato, anche rendendolo problematico e drammatico, il procedere della presenza femminile, attraverso ed oltre l’«invisibilità»35: la situazione napoletana è attestata oltre che nella nomenclatura della vita politica, nello specchio particolare dei carteggi in parte già pubblicati36. I carteggi disegnano naturalmente, per la loro stessa configurazione dialogica e polilogica, geografie ampie, oltre le mura delle città. Si vada ad un epistolario poco noto, molto centrato su Napoli negli anni Quaranta, della contessa veneto-bolognese Maria Teresa Serego Allighieri Gozzadini, figlia di una personalità rappresentativa del periodo delle lotte risorgimentali, Anna di Schio, moglie e compagna di scavi del conte archeologo Giovanni Gozzadini, scopritore della necropoli di Villanova e fondatore di una archeologia italiana scientificamente preparata.
Anche in questo caso, l’intenzione programmatica del mio discorso è di isolare casi-limite, personalità femminili di spicco nella loro diversità, da poter essere definite figure s-considerate sia perché a lungo sottovalutate sia per la spregiudicatezza e impavidità delle azioni e degli atteggiamenti, rispetto alla classe sociale e rispetto allo stereotipo dominante: Nina è la Contessa rossa, estranea alla corte, ma accanto a Garibaldi nel 1867; membro a Bologna della Società Femminile Artigiana. Una vita activa che ci viene testimoniata dalla rete di lettere raccolte alla sua morte dal marito in un cospicuo volume che delinea in dettaglio, momento per momento, una delle più significative biografie di relazione dell’Ottocento. E c’è a prefazione della seconda edizione ampliata del libro il ritratto che ne compone il Carducci, in un racconto variegato, tra i saggi narrativi più vividi e preziosi della letteratura italiana ottocentesca. Proprio qui il Carducci, segretario della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna, collaboratore del Gozzadini, affrontava a viso aperto, al solito, la questione del posto delle donne nella cultura letteraria. Testimoniava la naturalezza e sapienza di Nina nello scrivere lettere, ne ricordava l’eleganza di dipintrice – che essa aveva messo al servizio della esatta descrizione e illustrazione dei manufatti archeologici man mano che venivano fuori dagli scavi di Villanova. E aggiungeva: «Io non so quale in tanta vertigine dell’operosità sociale sia per essere la parte delle donne nell’arte e nella scienza in avvenire. Quel meglio che elleno poterono fare fin qui, e più consentaneo alle condizioni e agli offici loro, fu nella conversazione e nella letteratura epistolare e delle memorie».
Nel volume è di grande interesse il carteggio della Gozzadini con lo storico Carlo Troya («A Carlo Troya agevolava le ricerche di documenti e di libri per queste province della media ed alta Italia e tra lui e Federico Odorici faceva un po’ da segretario ed interprete»), con Carlo e Alessandro e con Carolina Poerio, con la poetessa Giannina Milli, che sostiene in tutti i modi. Il tema della cultura si intreccia naturalmente con il tema politico. C’è il viaggio e la permanenza di alcuni mesi a Napoli, tra il 1847 e il 1848, la decisione di fare arrivare all’esterno ciò che aveva appreso, più che dalle lettere dei Poerio, dalla conversazione ravvicinata con loro e con gli intellettuali e patrioti napoletani. «In Napoli, scrive ancora il Carducci a sintetizzare le molte pagine documentarie del libro – nel ‘47, sollecitò il De Simone a scrivere l’opuscolo Della moralità politica nel Regno delle Due Sicilie che ella stessa tramite il contatto con il segretario di Cristina di Belgioioso provvide a far pubblicare nell’«Ausonio» a Parigi. È un percorso, dunque, di indipendenza, di autonomia e nello stesso tempo di relazione, qui nel singolare travestimento di un Grand Tour con tanto di ascensioni al Vesuvio e di passeggiate in riviera, che è in realtà un viaggio politico. Nel ritratto messo a prefazione del libro, il Carducci, collegava strettamente il talento nella conversazione, la cultura, la capacità di relazione e di patronage della contessa, al concetto di élite, e alla sopravvivenza della aristocrazia femminile, e interpretava l’operatività e la fervida mobilitazione sociale e politica della contessa Gozzadini come «esempio notevole in questo continuo smontare della nobiltà storica e sormontare d’una pettegola democrazia titolata»37.
In quel contesto arricchito ed amplificato dalle amicizie civili, segnato da personalità formatesi nell’esilio in ambienti sociali avanzati in frequentazioni culturali e politiche più libere, in Francia e in Inghilterra, si afferma la figura post-romantica dell’Amico delle Donne, per citare con qualche forzatura il fortunato dramma di Dumas figlio del 1864; un personaggio intellettuale ribelle ed eccentrico, e perciò attento alle nuove richieste del mondo femminile, dalla parte della emancipazione civile e politica, in un incontro fattivo fra due «secessioni». Si inaugura infatti in tempo di Risorgimento, nel clima d’eccezione di quegli anni, una linea di filoginia che parte da Giuseppe Ricciardi, il patriota deputato libero pensatore organizzatore dell’AntiConcilio del 1869, e giunge fino a Croce, il quale coltivò grandi amicizie femminili, su di un versante opposto al disadattamento di maschi prigionieri del ruolo e dello stereotipo maschile. In sede di letteratura si pensa subito a Salvatore Di Giacomo, ad esempio, il quale dalla incapacità di intendere la donna in via di emancipazione nel passaggio tra Otto e Novecento – fu fidanzato per 11 anni con una maestra che sposò solo alla morte della propria madre – trasse tanti motivi poetici di «amore scontento»; ma nel contempo oggettivò con poche efficaci linee di «verismo sentimentale» la condizione femminile delle classi sociali ultime e si fece storico della prostituzione a Napoli38. In una storia degli intellettuali, ove si confronti la figura eminente del filosofo con la generazione precedente dei De Sanctis o degli Imbriani, è evidente il passaggio dal disastro intersessuale, fra amori platonici e sifilide, alla razionalizzazione moderna dell’eros.
La distinzione tra i sentimenti permette e agevola l’amicizia femminile che Croce coltivò con pienezza. E sulle donne di Napoli Croce è, curiosamente, molto fermo e, di fatto, conseguenziale «Di Napoli amo i filosofi ma non le donne, e con una napoletana non mi intenderei…» scrisse a Gentile, annunciandogli il matrimonio con Adele Rossi. È giudizio bene sperimentato nella vita, se è vero che le due donne amate dal filosofo, Angelina Zampanelli e Adele Rossi, erano la prima di Cesena e la seconda, la più importante, piemontese.
Si può ricorrere a qualche esempio tratto dal vissuto quotidiano, tanto più valido perché centrato su Croce il quale appartiene e non appartiene al proprio tempo – e non permette approcci di tipo antropologico. Colpisce una lettera alla moglie del 1915. È in viaggio, uno dei consueti itinerari Roma-Firenze-Torino-Milano, di visite, di politica di relazioni, e naturalmente per biblioteche e librerie antiquarie. E da Torino scrive: «anche a casa tua provo malinconia, non vedendoti con noi, e vado a guardare i tuoi ritratti». E due giorni dopo: «vuoi che ti dica di più? Viaggio, perché mi sono proposto di viaggiare, ma se seguissi il mio impulso, tornerei presto accanto a te»39. Qui si intravede il Croce di prima, quello dei Nove Musi, della comunità maschile di eruditi artisti e bon vivants che si riunisce allo Scoglio di Frisio, del signore Belle Epoque, che ostenta indipendenza – che è appunto uno dei tratti distintivi dell’uomo ottocentesco – in nome di una sostanziale equiparazione dello stato civile di singolo e di coniugato.
Anche dallo speciale punto di vista qui adottato, la soglia determinante è costituita dalla crisi di fine secolo, e dall’età instaurativa di fenomeni del moderno che è il primo Novecento.


4. Maniere. Saper esistere, saper comunicare. Il periodo post-unitario aveva chiuso lo stato d’eccezione del Risorgimento, e incrementato una pubblicistica volta alla costruzione di una civiltà borghese nazionale; tutto è da imparare e insegnare nella prospettiva italiana. Diversamente dalle grammatiche e dai repertori normativi ad opera dei linguisti – e non sottovalutabile è la natura implicitamente prescrittiva dei contenuti che appaiono negli esempi proposti, tratti dalla tradizione letteraria – i manuali di buone maniere, che mettono in rapporto educazione e comunicazione, registrano una femminilizzazione che riguarda autrici e destinatarie: le prime impegnate o nel campo della educazione o nell’ambito giornalistico-letterario, le seconde da situare in una zona non identificabile senz’altro con la borghesia, ma più indistinta, interclassista e mimetica, dove la maniera è valore residuale ideologico di una realtà elitaria un tempo collegata alla struttura sociale, ad una «intesa che era alla base delle convenzioni nella loro stagione umana»40. Non manca certo il tentativo di intercettare nuovi modi di convivenza e di incanalare nuove esigenze in un simulacro di stabilità. I manuali sono forse interessanti più per quello che rivelano dello spazio dal quale parla la voce autoriale, dei gruppi e dei circoli sociali che ne costituiscono lo sfondo di partenza, che per l’insieme di situazioni in sé che vengono offerte. Sono utili fictions, spesso memoria di un mondo ordinato che, in quell’ambito, funzionava. Allo smarrimento della piemontese Adele Rossi, donna moderna, da poco moglie di Croce e padrona di casa a Napoli, nel ricevere continuamente visite che le facevano perdere tempo, il filosofo che era in viaggio opponeva la consuetudine della regolazione del traffico sociale con il giorno fisso per le visite, una delle norme elementari della sociabilità negoziata dell’Ottocento aristocratico e alto-borghese. Non sempre la semplificazione e liberalizzazione dei rapporti sociali ne garantisce la comodità, tutt’altro. Sicuramente la folta rubrica dei galatei, presto divenuti territorio femminile, costituisce uno snodo storiografico, per la rappresentazione della donna, come soggetto e come oggetto, per l’immaginario che è nel bagaglio mentale di chi scrive e per la modalità in cui viene trasmesso, per i consigli e per i divieti e ancor più per le assenze e le reticenze. Un tema che nel libro è stato affrontato in una delle relazioni portanti, meriterà una giornata di studi di taglio comparatistico, anche nel collegamento con i tanti settori di un sistema del sapere e saper fare, amplissimo: basti pensare alla forza di attrazione e all’interesse storico di una lettura della società italiana, fra Otto e Novecento, attraverso lo specchio dei manuali Hoepli. La duplice rubrica pedagogico-sociale e giornalistico-letteraria in cui di volta in volta si inscrivono i manuali, indica chiaramente la natura di confine di questa vastissima produzione41, dove l’immaginario vi è rilevante quanto il momento utilitario-prescrittivo, avendo al centro le situazioni, di una vita o di una giornata, e quindi disponibili alle leggi dell’apparenza come a quelle della costruzione narrativa. Ne fa fede l’itinerario complesso di una personalità speciale di scrittrice come la Serao, che ad inizio carriera, seppe offrire con un capolavoro del realismo, La virtù di Checchina, la linea della buona condotta, del galateo morale, che oltrepassa la regola mondana del saper-ricevere, e della veste, o della sottoveste adeguata al convegno amoroso; salvo poi praticare con disinvoltura e destrezza narrativa il doppio registro del racconto mondano e della spregiudicata consigliera delle donne.
Risulta allora significativo che nell’utile repertorio Il Plutarco delle donne. Repertorio della pubblicistica educativa e scolastica e della letteratura amena destinate al mondo femminile nell’Italia dell’Ottocento, si ritrovi accanto a titoli come Roba per fanciulle della Vertua Gentile, quel Romanzo della fanciulla che è altra cosa e comprende appunto il racconto La virtù di Checchina. Nel raccogliere i quadri di comunità femminili, dalle classi infime e piccolo borghesi di Telegrafi dello stato, al mondo di Scuola Normale Femminile all’aristocrazia di Per monaca, sotto quel titolo Matilde al solito giocava con scaltrezza le sue carte. Con semplice rotazione del genitivo profittava del genere letterario per giovanette e lasciava intendere il duplice viaggio possibile del testo verso i lettori-lettrici. E il cambio titolo di qualche anno dopo in Telegrafi dello stato. Romanzo per signore, ci informa – lo ha bene illustrato Francesco Bruni offrendo l’edizione originale – del passaggio dal realismo verso la narrativa d’intrattenimento, in un itinerario di vantaggiosa ambiguità.
La Serao rimane una presenza necessaria nel discorso sulle élites a Napoli. Quel nome configura un vero network, dove la pratica del giornalismo individua uno spazio naturalmente interclassista – e intergenerico. Anzi, l’autorevolezza, guadagnata in termini di audience e di vendite Treves, di personalità di questa fatta, deve avere contato la sua parte nell’affermarsi del mito primonovecentesco della classe intellettuale come fluttuante al di sopra delle classi sociali, o almeno al di fuori di una identificazione immediata, nella stagione che sancisce il valore determinante della comunicazione giornalistica.
Il paradosso del galateo nella interpretazione della Serao come della Torriani42, concerne il destinatario, nel senso che l’élite socio-economica non ha bisogno di regole, perché le impone anche quando le trasgredisce e mentre si riscrivono i paradigmi delle buone maniere essi non riflettono ma fondano lo statuto psicologico-ideologico di una classe-non classe, una piccola borghesia senza troppo riconoscibili connotati economici, aggregazione di consuetudini, di rappresentazioni mentali, in certi casi di fisime resistenti. La soglia sarà costituita in questo ambito, nel Novecento, tra industria culturale e nascente società dello spettacolo, da testi che metteranno in relazione i pubblici variegati dei rotocalchi con modelli più sofisticati e irraggiungibili, non più di base, ed ormai accompagnati dall’ironia delle autrici, nel momento stesso in cui si somministrano più che norme, possibili suggestions – come si legge spesso sulle confezioni di prodotti – cioè scollegate dalla effettiva struttura socio-economica, e concernenti non la sostanza ma l’immagine. Così nella Vera Signora (1954) di Elena Canino, dove la casistica è sviluppata con bonomia interclassista, in una sequenza di racconti napoletani ambientati nei palazzi cittadini; così nella rubrica romana di Irene Brin-Contessa Clara, scrittrice e moralista autentica, capace di consegnare nella forma antica del consiglio edificante o scaltro il ritratto incisivo e presago dell’Italia del secondo dopoguerra, vista dalla postazione rivelatrice della Capitale.
Ma tra Otto e Novecento l’impegno è ancora centrato sulle regole del saper vivere, su di una verificabile filosofia della pratica (la questione del sapere e potere esistere, che sarà il problema di donne e uomini della fine del ventesimo secolo, della maniera quale modo di essere-sé, il proprio ethos, è oggi straordinariamente connessa alla questione femminile, almeno per il cospicuo accumulo di coefficiente negativo con cui la donna entra nell’età dell’affermazione della diversità «qualunque» e del post-genere). Per ciò che riguarda la Serao, nonostante l’ottima bibliografia registrata, rimane la discrepanza fra la scrittrice che a tutt’oggi non è titolare di un corpus di testi accreditato da una edizione critica complessiva, e la giornalista capace di intercettare e mettere a frutto le domande del proprio tempo. Nel 1902, sulla rivista da lei diretta, «La Settimana», Matilde apriva tra le lettrici un’inchiesta sul divorzio, nel momento in cui veniva discussa la legge in Parlamento: Si domanda, alle donne. Contestualmente, però, nei numeri seguenti affrontava giudiziosamente il vecchio tema: Perché le ragazze non si maritano. Per la consueta duplicità di approccio, tra sguardo critico-modificatore sul presente e rappresentazione leggera, il manuale del saper vivere costituisce allora una interfaccia, fra la tentazione narrativa e l’uso pubblicitario. Una appendice al Saper vivere sarà infatti costituito, fra l'altro, dal libretto di igiene e di cosmesi scritto per la ditta Bertelli Fascino muliebre e distribuito nelle profumerie.


5. La relazione, la cura. Dal punto di vista del rapporto fra le parole e le azioni, la dimensione testuale è naturalmente rivelatrice, se considerata non solo nella produzione letteraria, attivatrice di immagini e modelli, ma anche comprensiva del versante connesso al vissuto, di carteggi, memorie, autobiografie, e decisiva quando si tratti di seguire nel viaggio delle parole i tracciati delle relazioni, dell’essere insieme. Ci sono le parole-azione, e le parole invece compensative, conservative di stati precedenti, in un gioco di particolare interesse per il discorso generale sviluppato nei saggi nelle varie sezioni.
Lo spettro d’indagine si estende all’interno di due estremi: la comunicazione e la pedagogia, intese come dispositivi chiave dei modelli culturali, all’interno dei quali vanno situati i più rilevanti ambiti e livelli istituzionali: la letteratura fra giornali e riviste (scrittrici-giornaliste), la letteratura cattolica, la scuola e la ricerca scientifica, il servizio sociale43 la formazione ideologica; infine la costruzione dell’immaginario prodotta dalle donne, vale a dire il confronto fra la rappresentazione della donna nella resistenza dello stereotipo o nell’uso e riuso di esso, o nel rovesciamento speculare, e le emergenze o intermittenze di una nuova immagine che non esclude affatto, in un movimento circolare, tutt’altro, l’opera delle scrittrici-scrittori.
Nell’impianto portante del libro – il lettore potrà agevolmente verificarlo –, è sempre l’educazione, il possesso e governo del circuito scrittura-lettura, per comunicare o insegnare, il nucleo della formazione di una nuova élite di servizio e di prestigio intellettuale, nonché della riconversione agevole della «nobiltà storica», per citare ancora il Carducci.
Il dato comune dal quale si è preso l’abbrivo, come idea e filtro della ricerca fin qui realizzata, cioè la capacità di relazione e di cura, la fenomenologia della mediazione, la gestione del potere del servizio, se così si può dire, risulta infatti sottolineata in tutti i casi considerati nelle quattro e interconnesse sezioni. Ne risulta scalzata intanto, com’era da attendersi, la visione monolitica e chiusa di una geografia femminile napoletana, utile però come schema didascalico di partenza. Vige sempre, come per la contessa Gozzadini, la «ragnatela dei rapporti», la forza produttiva ed estensiva del patronage. Così nella biografia notevolissima e densa di implicazioni socio-culturali della principessa Pignatelli si riconosce il valore dell’azione che attraversa livelli sociali e generi44. Ma per le donne che lavorano nel campo dell’insegnamento, della traduzione, della editoria, della scrittura, la tensione all’azione extra moenia, a collegare mondi distanti, è identica. Tanto è vero che nella grande stagione primonovecentesca si moltiplicano percorsi eterodossi, quanto meno percepiti allora come tali, come «singolari». Collegati alla dimensione napoletana risultano profili di nuovo tipo, esogeni, ma alla fine bene innervati in essa. Si torni allora su una figura straordinaria, dalla forte presenza, Adele Rossi, moglie di Croce dal 1914. Tra le prime donne laureate in Italia, la torinese Adele Rossi porta una nuova identità novecentesca e borghese nell’habitat familiare di palazzo Filomarino, a cominciare dallo stile razionalista della casa. Soprattutto comincia presto l’opera di conduzione delle attività di educazione e formazione delle ragazze del popolo nell’istituto Mondragone, del laboratorio di cucito e ricamo, e la discreta azione di patronage a favore di donne impegnate con poco riscontro economico nel mondo del giornalismo, o dell’insegnamento precario, della piccola editoria napoletana, come le sorelle Maria e Gina Algranati e di tante altre, fino alla giovanissima Ortese. Con Adele si registra il passaggio dal salotto Belle Epoque della Zampanelli, alla conversazione che intesse trame di azione, di fattiva opera civile. Tra le pagine dei Taccuini di lavoro di Croce, si intravede costante la presenza di lei, col suo carattere, misto di imprudenza e senno, intraprendenza e timidezza, fuso nel sentimento prevalente della compassione. Tra le relazioni meglio registrate nei Taccuini crociani, c’è l’amicizia e frequentazione con Marussia e Sofia Bakunin, figlie del socialista anarchico Michail, e a loro volta imparentate con la moglie di De Gubernatis, quella Sofia Besobrasoff, che fu al centro insieme con la cognata Teresa de Gubernatis del circolo femminile fiorentino cui si devono iniziative culturali rilevanti tra Otto e Novecento. Si può senz’altro affermare che Adele Rossi e Marussia Bakunin rappresentino modelli significativi della cultura a Napoli nella prima metà del Novecento, proprio nel senso illustrato dal convegno nella sua idea di fondo. Ed è la dimensione testuale, carteggi e pagine autobiografiche, a segnalarci questa duplice esemplarità, di un «potere» esercitato come «servizio» e passato in circolo sociale senza i segni connessi al dominio. Adele viene ritratta da molte pagine della figlia Elena, come figura di relazione eppure segreta, indecifrabile dalle stesse figlie, nell’esercitare un potere che va oltre la dimensione familiare, ma, trattandosi, della famiglia di un grande protagonista della Italia del Novecento, intimamente legato al gruppo di partenza. Lo testimonia la vicenda dell’acquisto e destinazione di Villa Ruffo, collegata alla fondazione «Biblioteca di Benedetto Croce», che fu faccenda «esclusivamente sua», di Adele, decisionista e «individualista», operazione il cui significato si vorrebbe dire politico, sfugge e dispiace alle eredi45. Avrebbe potuto intenderlo Croce, il quale, in una lettera testamentaria diretta ad Alda, rivendicava l’importanza del lascito, oltre che delle proprietà materiali, della autonomia delle ragazze-Croce, tutte laureate e preparate ad attraversare le rivoluzioni sociali (era il 1948).
Ancora maggiore, a riscontro, è l’impatto della grande chimica Bakunin nella sua cerchia culturale e scientifica46. Quella capacità, di cui hanno scritto in tempi e modi diversi Simmel e Bourdieu, di portare nella vita professionale l’antica specializzazione economico-domestica, risalta nella biografia della scienziata russo-napoletana, a capo dell’istituto di Chimica, governato con saggezza, con modestia efficace messa al servizio della ricerca sperimentale ma anche della operosa comunità di professori e impiegati in via Mezzocannone. Basti qui anticipare qualche stralcio del piccolo importante carteggio con Croce, che copre il periodo della guerra e dell’immediato dopoguerra quando il filosofo si trovava a Sorrento e le comunicazioni erano difficili. La Bakunin era allora presidente della Pontaniana, fatto unico e mai più verificatosi nella storia dell’Accademia, a conferma ulteriore del nesso fra avanzata della ragion femminile e stato d’eccezione. Sono lettere di grande interesse documentario, rivelatrici di un temperamento generoso e di una mente equilibrata, doti preziose in un frangente storico drammatico, nella città distrutta dai bombardamenti, tra epurazioni, proposte americane di riassetto dell’Università, generale smarrimento del senso del vivere comune dopo anni di dittatura e poi di guerra. Si veda come Marussia esprima idee molto chiare quanto poco condivise dai più sul clima di vendetta verso i fascisti:

5-VI- 44


Amico nostro, su voi sono fondate le nostre speranze, in voi è riposta la nostra fede. Le manifestazioni che ieri hanno fatto a voi sono quelle che si fanno a Dio e voi lo siete davvero! Ieri sono stata da Sforza, era occupato, mi ha fatto parlare col suo segretario (credo). Dall’insieme del discorso ho avuto l’impressione che Poletti ha proceduto di accordo con lui.
Ora più studio il provvedimento, più mi persuado che la persecuzione che si va organizzando è assai peggiore di quella attuata dal fascismo.
Malgrado le mie note opinioni ed anche i miei procedimenti, nessuno si è sognato di togliermi da Professore, ed il Beneduce Presidente di una delle maggiori aziende l’IRI, non ne è stato rimosso, eppure era apertamente contrario al fascismo ed al Regime.
Invece il bellissimo elenco dell’ordinanza di Poletti vuoterebbe l'Università dei loro Professori e le aziende, vita della Nazione, dei loro tecnici, senza tener conto della loro rettitudine e della loro competenza, perché fan parte di quelle tali categorie.


E ancora, in un momento di sconforto confidava a Croce e ad Adelina:

Tra i casi, assai pochi invero, v’è il mio specialissimo.
Mi trovo sola alla direzione di un laboratorio per metà distrutto, con grande sacrificio lo sto ricostruendo e cerco di tener su il personale ed i collaboratori dei quali conosco le particolari competenze ed attitudini, potete immaginarle. D’altro lato in questo momento manchiamo assolutamente di scienziati atti a occupare il posto, perché e per la guerra e per la prigionia di alcuni di essi e per le interrotte comunicazioni, concorsi, diciamo così, circoscritti, sarebbero una vera rovina.
Questo per quanto riguarda l’interesse dell’università.
Per quanto riguarda me, mi trovo in condizioni molto disagiate, avendo tutto perduto nell’incendio provocato dai tedeschi, cosicché anche se mi occorre un fazzoletto debbo comprarlo. Anche per l’Istituto mentre ho tutto trascurato per la mia casa, avevo pensato a mettere in salvo molti libri e molti apparecchi dell’Istituto stesso, sottraendoli alla distruzione47.


Riparare, curare, ripristinare il funzionamento normale delle cose. Ecco esemplificata, nel vivo della biografia e della storia particolare, la linea di pensiero e azione finora illustrata. E proprio l’approccio descrittivo, empirico, a biografie individuali còlte in momenti cruciali, serve a meglio comprovare, forse, la pervasività del discorso di genere nella costruzione della storia della cultura, che è anche storia dei mutamenti, relativi all’ambiente e al tempo, della stessa specificità femminile, della rappresentazione collettiva di un’epoca: dove il concetto di «genere» viene modificato, nel livello scientifico, dalle applicazioni e verifiche progressive delle studiose. Non è semplice immettere teoria nella galleria di ritratti e di sequenze femminili, sempre che importi, infine, al di là del guadagno innegabile dei risultati conoscitivi apportati dai capitoli di questo importante bel libro. Può essere utile, almeno, in ultima istanza, fare il contrario, rivolgersi cioè alla poesia, e considerare la conferma illuminante che giunge da una immaginazione sessuata divenuta forma letteraria mitico-fantastica. Questa forma suggestiva appare connessa in modo profondo, quasi geologico, con le tipologie reali, biografiche e storiche, che si giocano in superficie. Negli stessi anni a Napoli, a ridosso della guerra, Annamaria Ortese pubblicava il racconto Dio ha gli occhi obliqui, dove il rapporto maschile-femminile veniva posto in termini di dominio: di un giovane bellissimo Padre, onnipotente quanto indifferente all’adorazione da parte della sua creatura, una insignificante povera bambina destinata a non crescere mai. Il rapporto si rovescia, quando il Dio dagli occhi obliqui viene riconosciuto nella fragilità e inquietudine di una sfolgorante inaffidabile giovinezza, e la bambina riconosce invece sé stessa come la Grande Madre, la Terra, nella forza tenace di una perpetua capacità di accoglienza, fatta di «infinita pazienza, fedeltà segreta»48.









NOTE
* Il testo è l’introduzione al volume Potere, prestigio, servizio. Per una storia delle élites femminili a Napoli (1861-1943), Atti del Convegno tenutosi nell'Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa” nel dicembre 2016, in via di pubblicazione presso l’ed. Guida.^
1 Cfr. Storie di donne. Letteratura, società e tradizioni nella pittura napoletana di Otto e Novecento, a cura di Luisa Martorelli, Catalogo della Mostra Galleria moderna del Pio Monte della Misericordia, 16 dic. 2008 - 30 maggio 2009, Napoli, Arte, m, 2008. Su questo punto cfr. Emma Giammattei, Risorgimento e letteratura a Napoli, in Il Romanzo di Napoli. Geografia e storia letteraria nei secoli XIX e XX, ed. riveduta e accresciuta, Napoli, Guida 2016, pp. 41-83, alle pp. 64-67.^
2 Carte dell’Archivio di Stato di Napoli. Si veda l’ottima voce dedicata alla Pimentel, nel Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997) da Cinzia Cassani.^
3 Michel de Certeau, L’operation historiographique, in L’écriture de l’histoire, Paris, Gallimard, 1975, pp. 77-142. E cfr. Hélène Cixous et Jacques Derrida, L’événement comme écriture. Cixous et Derrida se lisant, sous la direction direction de Marta Segarra, Paris, Campagne-Première, 2007.^
4 Joanne Meyerowitz, Una storia del genere, in Joan Wallach Scott, Genere, politica, storia, a cura di Ida Fazio e postfazione di Paola Di Cori, Roma, Viella, 2013, pp. 131-147.^
5 Dalla colonna sonora – Venditti, Cos’avevi in mente – del seminario che si tenne il 9 novembre 2016 al piccolo palazzo del Gaio Sapere in via Chiaia, spazio conversativo e sperimentale dell’Università Suor Orsola Benincasa.^
6 Gianna Pomata, Storia delle donne, Bologna, il Mulino, 1990.^
7 Gender: A Useful Category of Historical Analysis, «The American Historical Review», vol. 91, 1986, n. 5, pp. 1053-1075. Si veda anche l’antologia di saggi della Scott, pubblicata in Francia, dove il dibattito intorno al lavoro storiografico della studiosa americana è particolarmente fervido, per il suo legame con il pensiero di Michel Foucault: Théorie critique de l’histoire. Identités, experiences, politiques, Paris, Fayard, 2009; e De l’utilité du genre, tr. par Claude Servan-Schreiber, Paris, Fayard, 2012.^
8 Nicole Loraux, Les enfants d’Athéna: idées athéniennes sur la citoyenneté et la division des sexes, Paris, F. Maspero, 1981.^
9 J. W. Scott, Genere, politica, storia, cit., p. 283.^
10 M. Gabrielle Spiegel, Il passato come testo. Teoria e pratica della storiografia medievale, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa 1998, ai capp. Storia, storicismo e logica sociale del testo nel Medioevo, e Per una teoria intermedia.^
11 Judith Butler, Parole che provocano. Per una politica del performativo, Milano, Cortina, 2010; sull’analisi della performatività del genere si vedano le importanti voci Queer di Laura Schettini, Andrea Inzerillo e Lo spazio queer di Silvia Lilli in Enciclopedia italiana – Appendice IX (2015), pp. 387-390.^
12 Francesco Remotti, L’ossessione identitaria, Roma-Bari, Laterza, 2010.^
13 «E giudicava che dalla misura assoluta della singolarità possibile a trovarsi nelle persone di un luogo o di un tempo qualsivoglia, si possa conoscere la misura della civiltà degli uomini del medesimo luogo o tempo» (Giacomo Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri in Id., Operette morali, intr. e cura di Antonio Prete, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 156).^
14 Giorgio Agamben, La comunità che viene, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, cfr. i capp. Qualunque e Maneries.^
15 L’articolo uscì nella traduzione inglese di W.D. Briggs in «International Monthly», 1902, fasc. 1, pp. 93-111; in lingua italiana a cura di Nicola Squicciarino e Lorella Cedroni, Roma, Armando, 2000.^
16 Ivi, pp.86-87.^
17 Theodor W. Adorno, Minima Moralia, trad. di Renato Solmi, Torino, Einaudi, 1954, pp. 175-177.^
18 Benedetto Croce, La duchessa Giovane, in «Rassegna pugliese», a. IV, 30 settembre 1887, n. 18, pp. 275-277; poi in Id., Volfango Goethe a Napoli. Aneddoti e ritratti, Napoli, Pierro, 1903.^
19 Ivi, p. 275.^
20 Lettres / sur / l’éducation / des princesses, par / Julie, duchesse de Giovane / née baronne de Mudersbach/ Conscientiae potius quam famae attenderis / a Vienne / chez Joseph Stahel / 1791, pp. [VI-VII]. Il libretto è stato consultato nella Biblioteca della «Fondazione della Biblioteca B. Croce».^
21 B. Croce, La duchessa Giovane, cit., p. 276.^
22 «L’indécision sur la destination de l’enfant qu’on élève, est certainement une des plus grandes difficultés qu’on puisse éprouver dans l’éducation, rien n’en promettant mieux le succès, que de pouvoir élever un enfant, conséquement à ce qu’il sera un jour; cependant combien de points importants sur l’état, la position future d’une jeune princesse, reste indécidés pour tout le tems que dure son éducation! Elle peut devoir vivre dans le célibat, ou peut devenir souveraine d’un grand état, ou peut-être d’un très médiocre, d’un état plus ou moins cultivé, plus ou moins libre! Elle peut devenir l’épouse d’un prince éclairé, ou borné dans ses lumières, d’un prince qui l’unisse aux soins du gouvernement, ou qui l’en exclue, et elle peut, par le malheur de perdre son époux, se trouver seule chargée du soin de régner et de pourvoir à l’éducation et au sort de ses enfants; tant de cas, dont nul n’est impossible, produisent une incertitude effrayante…» (Lettre / sur / l’éducation / des princesses, cit., pp. 14-15).^
23 «Cependant je m’entends déjà dire par des esprits faibles, par des hommes dévoués à la routine, et par ceux qui craignent les lumières dans les princes, que d’élever ainsi les princesses, serait leur inspirer un esprit de domination, les rendre ambitieuses et intrigantes! A ces propos vagues j’opposerai la meilleure de toute[s] les démonstrations, l’expérience! Qu’on ouvre les annales de l’histoire, qu’on lise les mémoires particuliers de toutes les cours, et on trouvera constam[m]ent, que l’intrigue, l’esprit de domination ont été propre aux personnes les plus négligées dans leur éducation, les plus ignorantes mais douées d’une ruse et ambition naturelles!» (Ivi, p. 23).^
24 Si veda il bel saggio di Benedetta Craveri, Mme de Genlis et la transmission d’un savoir vivre, in Madame de Genlis. Littèrature et éducation, sur la direction de François Bessire et Martine Reid, Mont-Saint-Aignan, Universités de Rouen et du Havre, 2008, pp. 117-129.^
25 Su questo punto si vedano i lavori importanti di Emma Scaramuzza, che recuperano la frammentarietà, l’intermittenza della storia delle donne in una visione storicistica più profonda e più scaltrita, nel sapere leggere il carattere positivo e alternativo, rispetto alle istituzioni, dell’intreccio relazionale: La santa e la spudorata: Alessandrina Ravizza e Sibilla Aleramo: amicizia, politica e scrittura, Napoli, Liguori, 2007; Politica e amicizia: relazioni, conflitti e differenze di genere (1860-1915), a cura di E. Scaramuzza, Milano, Angeli, 2010.^
26 Luigino Bruni, Reciprocità. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile, Milano, Mondadori, 2006.^
27 Sur la race des femmes et quelques-unes de ses tribus (1978), in Ead. Les enfants d’Athena, cit., pp. 75-117, in part. pp. 83-87.^
28 Pierre Bourdieu, La domination masculine, Paris, Seul, 1998.^
29 Cfr. J. W. Scott, Genere, politica, storia
, cit., p. 129.^
30 Cfr. Paul Ginsborg, Famiglia Novecento: vita familiare, rivoluzione e dittature, 1900-1950, Torino, Einaudi, 2013.^
31 Cfr. P. Bourdieu, La domination masculine, cit., pp. 78-79. Naturalmente in questa sede non si sviluppa il discorso sulla figura di Mrs Ramsay in cui la Woolf proietta i caratteri di sua madre, in una sorta di autoanalisi liberatoria.^
32 Cfr. la epopea del guanto nel ciclo di incisioni di Max Klinger (Berlino1881) che esaltano nelle peripezie del Guanto il gioco del desiderio maschile.^
33 J.W. Scott, La séduction, une théorie francaise, 2011, in De l’utilité de l’histoire, cit. pp. 157-189.^
34 Cfr. T. W. Adorno, Minima Moralia, cit., pp. 88-89.^
35 Daniela Maldini Chiarito, Le amicizie civili: solidarietà, fraternità, amor patrio in Politica e amicizia. Relazioni, conflitti e differenze di genere (1860-1915), cit., pp. 21-38.^
36 Cfr. Angela Russo, “Nel desiderio delle tue care nuove”: scritture private e relazioni di genere nell’Ottocento risorgimentale, 2004, tesi di dottorato in studi di genere dell’Università degli studi di Napoli “Federico II, XVII ciclo, coordinatrice Adele Nunziante Cesàro, tutor Laura Guidi, poi con una premessa di Daniela Maldini Chiarito, Milano, ed. Franco Angeli, 2006.^
37 Maria Teresa di Serego Allighieri Gozzadini, a cura di di Giovanni Gozzadini, con prefazione di Giosuè Carducci, Zanichelli, 1884. Si veda ora il volume Giovanni Gozzadini nel bicentenario della nascita 1810-2010, Atti del Convegno di studi MUV-Museo della civiltà villa noviana, Villanova di Castenaso, 16 ottobre 2010, a cura di Rita Rimondini, Marina Sindaco, Tiziano Trocchi, [Bologna, Tipolito], 2011.^
38 Salvatore Di Giacomo, La prostituzione in Napoli nei secoli XV, XVI, XVII: documenti inediti, Napoli, R. Marghieri, 1899.^
39 Citiamo da un gruzzolo di lettere di Croce consegnato da Adele Croce all'Archivio della Fondazione Biblioteca di Benedetto Croce come parte di un carteggio molto ampio, ed unica parte destinata alla visione degli studiosi.^
40 T. W. Adorno, Minima Moralia, cit., pp. 122-124.^
41 Anna Ascenzi, Il Plutarco delle donne: repertorio della pubblicistica educativa e scolastica e della letteratura amena destinata al mondo femminile nell’Italia dell’Ottocento, Macerata, EUM, 2009.^
42 Per una esatta valutazione della Marchesa Colombi, autrice, oltre che del fortunato galateo La gente per bene, del romanzo breve Matrimonio di provincia, e per molti versi scrittrice più moderna della Serao, bisogna mettere in conto la componente ironica, affatto assente nel maternalismo bonario della scrittrice napoletana; e tuttavia il discorso sul rapporto con le destinatarie, non cambia.^
43 Cfr. M. Della Valle, Le radici del servizio sociale in Italia. L’azione delle donne: dalla filantropia politica all’impegno nella Resistenza, Torino, Celid, 2008.^
44 Si veda il volume Ragnatele di rapporti: patronage e reti di relazione nella storia delle donne, Atti di un convegno tenuto a Bologna nel 1986, a cura di Lucia Ferrante, Maura Palazzi e Gianna Pomata, Torino, Rosenberg &Sellier, 1988.^
45 «… alla fine degli anni Quaranta, essa venne ad annunziarci che era stata indotta all’acquisto (segreto, e da noi, quando lo rivelò, disapprovatissimo) di una villa che si trovava in una strada panoramica […] lei cercava, in segreto come era suo costume, un luogo dove mio padre, ormai infermo, potesse trascorrere l’estate circondato dal verde di cui proprio perché uomo di biblioteca, aveva bisogno e desiderio. L’aveva comperata non per noi, ma per lui, che scomparve senza saperlo. E quando fu deciso di costituire come fondazione la “Biblioteca Benedetto Croce”, individualista com’era, volle fare qualcosa di esclusivamente suo, e lasciarla come patrimonio ciò che aveva acquistato non per noi, ma per lui» (Elena Croce, Lunga guerra per l’ambiente, Milano, Mondadori, 1979, pp 14-16; rip. a cura di Alessandra Caputi e Anna Fava, con intr. di Salvatore Settis, Napoli, La scuola di Pitagora, 2016).^
46 Si veda il libro di Pasqualina Mongillo, Marussia Bakunin. Una donna nella storia della chimica, pres. di Vittorio Dini, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008.^
47 Dall’Archivio della Biblioteca Benedetto Croce. Si ringraziano il presidente Piero Craveri e la dott.ssa Cinzia Cassani per il permesso concesso di pubblicare stralci delle lettere che sono in corso di pubblicazione (24 lettere della Bakunin ed una minuta di Croce).^
48 Ora in Anna Maria Ortese, L’infanta sepolta, a cura di Monica Farnetti, Milano, Adelphi, 2000. Il racconto è del 1947.^
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