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Lo Stato eurasiatico
di Sandro Petriccione
Le elezioni del presidente della federazione russa, seguite a quelle per le elezioni della Duma, il parlamento russo, che avevano visto lo schiacciante successo del partito di Putin Edinaia Rossia, hanno dato l’esito previsto con la vittoria quasi plebiscitaria di Dmitri Medvedev. Quest’ultimo è stato scelto quale suo successore da Putin il quale assumerebbe il ruolo di presidente del consiglio, presumibilmente con più rilevante peso nelle istituzioni. Mentre alcuni osservatori ipotizzavano un passaggio traumatico di poteri, rifacendosi ai precedenti della storia russa, le elezioni si sono svolte in maniera ordinata facendo prevedere la persistenza del periodo di stabilità iniziatosi con la fine della turbolenta era di Eltzin e l’avvento di Putin al potere. La scelta di Medvedev il quale non proviene dal gruppo dei siloviki cioè delle forze armate e dei servizi di sicurezza, ma da un ambiente manageriale abituato ai contatti con l’Occidente, fa sperare possa avere una positiva influenza sulla politica estera russa.
Negli ultimi tempi l’interesse per la Russia e per le scelte politiche che la riguardano si è molto accresciuto sia in Europa che negli USA non solo per effetto dello straordinario aumento del prezzo degli idrocarburi ed in particolare del gas naturale del quale la Federazione russa è il maggior produttore al mondo, ma anche per l’inaspettato rafforzamento del potere centrale e per la stabilità politica degli ultimi anni. La Russia, anche dopo la disgregazione dell’URSS rimane il Paese più vasto del mondo che abbraccia otto fusi orari (gli Stati Uniti tre) e territori dell’Europa e dell’Asia ricchi di risorse naturali ed il suo futuro ha dato luogo a ipotesi geopolitiche diverse e a previsioni contrastanti. Negli ultimi anni del XX secolo molti ritenevano che dopo la fine del comunismo il governo russo non sarebbe stato nemmeno in grado di assicurare l’unità politica della federazione. Anche in Italia simili ipotesi erano largamente condivise: basta vedere la raccolta di articoli nel numero 6 del 2004 dell’autorevole rivista «Limes» – in pieno periodo Putin – intitolata significativamente La Russia in gioco che esprime tutte le diffidenze e le oscure previsioni dei vari autori a cominciare dalla premessa non firmata che osserva «La disintegrazione della Federazione russa non è un’ipotesi di scuola. Fino a pochi anni fa, era una probabilità ammessa dagli stessi leader russi».


1. La Russia all’inizio della presidenza Medvedev

La situazione attuale già alla vigilia dell’elezione di Medvedev appariva completamente mutata. La stessa rivista «Limes» nel numero 6 del 2006, a soli due anni di distanza dalla precedente raccolta di articoli alla quale si è prima accennato, ha il titolo La Russia in casa che riflette la convinzione del ristabilito prestigio internazionale della Federazione Russa, sia pure derivante in parte dall’aumento del prezzo degli idrocarburi e dalle ingenti risorse finanziarie che realizza soprattutto con la vendita all’Europa di quantità ingenti di gas naturale e che impiega anche per investimenti all’estero, ma anche dall’intelligente politica di Putin che è riuscita nel compito erculeo di indebolire allo stesso tempo gli “oligarchi”, abili imprenditori privi di scrupoli che si erano arricchiti con le privatizzazioni e che dominavano il governo per mezzo del controllo dei principali mezzi di comunicazione di massa, e di demolire il potere dei governatori delle regioni che si erano spesso trasformati in satrapi corrotti e inaffidabili. È a mio avviso più significativo il libro di Fulvio Scaglione (La Russia è tornata. Boroli 2005) apparso già un anno prima del ricordato numero della rivista «Limes» la quale stranamente non lo cita neppure, che metteva in luce con estrema chiarezza la trasformazione della Russia degli anni Novanta del XX secolo da nazione in disgregazione, preda degli “oligarchi” e della delinquenza, e bisognosa addirittura dei generosi aiuti umanitari dell’Ovest e dei meno generosi interventi del Fondo Monetario Internazionale, a Stato finanziariamente solido con forte carattere centralistico, servizi di sicurezza e forze armate notevolmente rafforzati e decisa presenza sulla scena internazionale a cominciare dal “vicino estero” e in primo luogo dagli Stati dell’Asia Centrale e del Caucaso. Il “buco nero” espressione che, secondo Z. Brzezinski nel suo libro The Grand Chessboard del 1997 descriveva la Russia nello scacchiere mondiale, diviene uno Stato ricco di risorse energetiche, dotato di potenzialità industriali e di un livello di cultura abbastanza alto che esercita la sua influenza su tutto il continente eurasiatico e che utilizza il suo quasi monopolio nella fornitura del gas naturale per condizionare i principali Paesi della UE.
La situazione economica attuale della Federazione russa nel momento nel quale inizia la presidenza Medvedev è descritta da Anders Aslund nel rapporto del CSIS (Center for Strategical and International Studies). Il deficit del PIL che si manteneva sul 9% si è trasformato. in un avanzo del 4%. Il debito estero dal 100% del PIL è disceso al 4% consentendo di estinguere in anticipo il debito col FMI. E anche nel periodo del ritorno del controllo dello Stato dei settori definiti strategici (energia, difesa e trasporti) attuata estromettendo – e nel caso della Yukos di Khodorkovski arrestando – gli imprenditori privati (che poi erano alcuni degli “oligarchi”) per contrastare i loro accordi con grandi imprese estere che li avrebbe rafforzati dando loro la possibilità di influenzare le scelte politiche, l’economia ha continuato a svilupparsi anche se con un deficit di giustizia sociale, con la sperequazione dei redditi e la corruzione. Ma lo sviluppo solo in parte, attorno al 20%, dipende dall’energia. Aslund osserva che sarebbe una caricatura definire l’economia russa come un’economia dell’energia; infatti lo sviluppo avviene oggi soprattutto nei settori dell’edilizia, del commercio al minuto e del manifatturiero. La politica finanziaria è caratterizzata da un money supply del 32% a fronte dell’80% nella UE ed un suo aumento nel medio termine permesso dal rafforzamento dell’economia potrà comportare una forte domanda di investimenti capaci di accelerare la crescita. Il tasso di investimenti si mantiene sul 20% del PIL. Per il futuro, e secondo la società Goldman Sachs nei prossimi venti anni la Russia potrà divenire la quinta potenza economica mondiale (nel gruppo degli emergenti: Brasile, Russia, India e Cina) superando la Germania e, molto prima la Francia e la Gran Bretagna e i tempi si abbreviano se petrolio e gas si manterranno ai prezzi attuali.
La presenza dello Stato, e quindi del potere politico, è aumentata nell’ultimo periodo della presidenza Putin, ma ha riguardato i settori cosiddetti “strategici”: l’energia in particolare idrocarburi liquidi e gassosi (ma anche la produzione e la distribuzione a prezzi politici di energia elettrica) e il settore industriale della produzione militare. Per il primo settore dopo lo smembramento della Yukos di Khodorkovski i gruppi statali Gasprom dal quale proviene Medvedev, Rosneft nonché la EES Rossia per l’elettricità controllano la produzione, il trasporto e la distribuzione delle risorse energetiche. Il settore della difesa è totalmente nelle mani dello Stato. La holding statale Rostechnologhii controlla 250 imprese delle quali la maggioranza appartiene a settori strategici. Esponente degli interessi di questi ambienti, legati alle forze armate, è il ministro della difesa e primo vice presidente del Consiglio Sergei Ivanov che era il candidato dei siloviki (cioè dell’esercito e delle forze di sicurezza dalle quali egli proviene) alla successione di Putin e che anche in politica estera veniva ritenuto portatore di una linea più rigida nei confronti dell’Occidente. Per ora Medvedev e Ivanov sembrano marciare d’accordo e l’ultimo ha sostenuto con decisione la scelta del primo come presidente. Dove invece appaiono già dei diversi punti di vista e dei contrasti è, secondo l’autorevole giornale Kommersant, nella eventuale costituzione di una holding alla quale lo Stato conferirebbe le sue partecipazioni. Fautore della proposta di conferimento è uno dei migliori dirigenti di Rostechnologhii, Sergei Chemezov appoggiato da Putin. La commissione parlamentare per le industrie di guerra (una volta tanto si adopera la denominazione vera!) dietro la quale c’è Ivanov si è opposta e la questione è rimasta in sospeso. Mentre dalla parte di Chemezov sta la maggiore efficienza e la prospettiva di privatizzazione con la partecipazione di privati legati alla produzione militare e con maggiori possibilità di competere sul mercato internazionale (ma anche in difesa di Khodorkovskii, finito poi in carcere, furono adoperati simili argomenti) i sostenitori del controllo dello Stato paventano il sorgere di una categoria di “oligarchi di Stato” capaci – come gli “oligarchi” degli anni Novanta del XX secolo – di mettere le mani sul patrimonio pubblico a fini personali. Medvedev si troverà a mediare tra due diverse concezioni della politica russa: da una parte una linea liberista fondata sulle privatizzazioni e sull’apertura al mercato internazionale che rischia però di ripercorrere strade già battute nella storia russa dando luogo a uno Stato patrimoniale nel quale proprietà e potere politico sono strettamente interconnessi; dall’altra il mantenimento o addirittura il rafforzamento dei poteri del lo Stato centrale, almeno nei “settori strategici” pur con tutti i costi di corruzione e di inefficienza derivanti dalla burocratizzazione, per garantire stabilità assicurando un ordinato sviluppo dell’economia di mercato ma rafforzando allo stesso tempo il prestigio internazionale del Paese.


2. Lo Stato eurasiatico nello scacchiere mondiale

La politica interna russa appare caratterizzata dalle due tendenze alle quali si è appena accennato e che hanno trovato negli anni passati in Putin un abile mediatore, ma che riflettono due distinti modi di vedere la collocazione della Federazione russa nel quadro internazionale. Un paese vastissimo che va dal Mar Baltico e dal Mar Nero fino all’oceano Pacifico, con pochi abitanti per unità di superficie, specialmente nella sua parte orientale ai confini con la Cina e dotato di grandi risorse naturali che vanno da tutti i minerali metallici al petrolio e al gas, pone il grave problema del rapporto con i principali attori della scena internazionale. A ben vedere queste due tendenze hanno caratterizzato la cultura politica russa già nel periodo sovietico quando un gruppo di emigrati in Bulgaria dette inizio alla teoria eurasiatica. James Billington, uno dei maggiori esperti dei problemi politici e culturali della Russia, ricorda una serie di studiosi degli anni venti del XX secolo che svilupparono e approfondirono questa teoria che si contrapponeva a quella che considerava la Russia indissolubilmente legata all’Europa. Con la fine dell’Unione Sovietica e l’indipendenza delle repubbliche che oltre che nell’URSS erano, alcune da secoli, parte dell’impero russo, queste correnti si rafforzarono, anche a livello popolare, come reazione alla sconfitta nella “guerra fredda” e al predominio di Washington sulla politica mondiale.
Il rapido ed inaspettato sviluppo della Russia nei primi anni del XXI secolo ed il suo ristabilito prestigio internazionale ha fatto riemergere queste tendenze con una politica di potenza che si manifesta nel tentativo di stabilire la propria egemonia sulle repubbliche del Caucaso e dell’Asia Centrale, la regione che ai tempi degli Czar era chiamata il Turkestan russo. La politica di Putin ha, per alcuni aspetti, dato l’impressione di essere influenzata dalle correnti eurasiatiche presenti in tutti i partiti rappresentati nella Duma, anche se essa si esprimeva spesso in un capitalismo commerciale che manteneva forti rapporti economici con l’Europa della UE. L’equilibrio tra queste due tendenze, non sempre facilmente conciliabili, ha costituito un indiscusso successo della politica di Putin, ed ha di volta in volta dovuto tenere conto della politica che USA e UE hanno seguito nei confronti della Russia. E la presidenza Medvedev si trova anch’essa ad affrontare questi compiti.


3. Le previsioni per l’avvenire

È, perciò, interessante cercare di prevedere quali potranno essere nei prossimi anni gli sviluppi della politica russa. È quanto si è sforzato di fare Andrei Kuchins del CSIS utilizzando, ad avviso di chi scrive con scarsa fortuna anche se con molte interessanti osservazioni, il “metodo degli scenari” per formulare delle previsioni alternative (Alternative Futures for Russia to 2017, Washington 2007). Tra l’altro uno degli “scenari” ha provocato dure reazioni russe in quanto prevedeva le conseguenze di un ipotizzato assassinio di Putin prima delle elezioni presidenziali. Tuttavia anche Kuchins fa delle ipotesi diverse sia nel caso della prosecuzione della politica degli anni appena trascorsi così che nei rapporti con gli USA la Russia manterrebbe un atteggiamento più simile a quello della Francia che non a quello sovietico, sia col prevalere del cekisti (da Ce. Ka., Chrezvichainaia Kommissia precursore del NKVD e KGB) cioè dei siloviki e di tutta una componente autoritaria la quale prenderebbe anche in politica estera una posizione molto più dura nei confronti dell’Occidente provocando un aumento della tensione internazionale.
La riflessione sulle future prospettive del ruolo della Russia nello scenario mondiale è motivo di dibattito anche in Russia. Già alcuni anni fa Anatrolii Chubais, il geniale e cinico ispiratore delle privatizzazioni attuate da Eltzin negli anni Novanta del Ventesimo secolo, osservava che l’idea dello Stato nazionale si affievolisce in tutto il mondo e che il futuro vedrà la competizione soltanto tra realtà sopranazionali; e che la Russia, che a differenza dell’URSS non è uno Stato sopranazionale, dovrà orientare la sua politica al perseguimento di questo obiettivo. Ma è interessante a tal riguardo il recente articolo di Aleksei Arbatov direttore del Centro di Sicurezza Internazionale (La Russia non seguirà più la guida dell’Occidente in www.Politkom.ru 2008). Arbatov è un deciso fautore del riavvicinamento della Russia all’Occidente, pur nei mutati rapporti di forza dopo lo spettacolare sviluppo degli scorsi anni, con gli USA ma soprattutto con la UE. Premessa è il rispetto dei trattati internazionali e delle decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU mantenendo l’attuale livello degli armamenti in Europa e affrontando i temi più controversi quale quello del cosiddetto “scudo spaziale” nella repubblica Ceca ed in Romania, alle frontiere con la Russia. La rinunzia o quanto meno la drastica riduzione dello “scudo” dovrebbe avere come contropartita l’appoggio della Russia per garantire agli USA una uscita onorevole dall’Iraq, l’accordo sulle armi atomiche con l’Iran e con la Corea del Nord. Ma, in primo luogo, un non episodico riavvicinamento della Russia all’Occidente dovrebbe iniziare con la rinunzia a integrare nella NATO la Georgia e, soprattutto l’Ucraina. Bisogna osservare da parte di chi scrive che la politica seguita dall’Amministrazione Bush sembra far propria la teoria del containment seguita con l’URSS di Brejnev; ma la Russia di oggi non è un pericolo per l’Europa e tanto meno per gli Stati Uniti e la volontà degli USA e anche della UE di modificare a proprio vantaggio gli equilibri strategici non può fare altro che provocare la corsa al riarmo e, cosa che Arbatov non scrive ma forse pensa, rafforzare la corrente dei siloviki i cui migliori alleati sono oggettivamente gli strateghi del Pentagono. Mentre al momento attuale gli armamenti della Russia e della Cina sono ben lontani da quelli degli USA, la distanza si sta gradualmente riducendo e non promette nulla di buono.
Ma le idee di Arbatov per gli anni che verranno sono di particolare interesse riguardo alla UE. Infatti, mentre con gli USA prevede uno stabile migliora mento dei rapporti, con la UE il discorso, pur nel suo ottimismo, è di più ampio respiro. La Russia fa parte dell’Europa: la sua storia e la sua cultura sono profondamente europee. Ma anche dal punto di vista dell’economia le due aree si integrano a vicenda; mentre l’Europa Occidentale avrebbe accesso alle ricchezze naturali di cui difetta e si potrebbe avvalere del contributo delle conoscenze e delle capacità russe in alcuni specifici settori, la Russia potrebbe utilizzare il grande patrimonio di competenze e di organizzazione delle quali l’Europa è portatrice. La partecipazione della Russia alla UE, superando gli odi e le rivalità lasciate dai tempi dell’URSS è compito difficile ma non impossibile se si pensa solo all’atavica contrapposizione tra Francia e Germania superata con la costruzione della Comunità Europea, creerebbe una grande formazione sopranazionale capace di competere con la Cina, con l’India oltre che con gli USA.
Fantasticherie? Ma anche quando Arystide Briand, artefice, insieme a Streseman del Patto di Locarno, cominciò negli ultimi anni della sua vita a parlare di unità europea e della conseguente necessità di modificazione delle istituzioni internazionali fu considerato un visionario o quanto meno un illuso. È il caso di ricordare quanto scriveva Bertrand de Jouvenel a proposito della trasformazione delle istituzioni «Lo spirito del nostro tempo […] le fa oggetto di evoluzione. […] Più generalmente l’idea di trasformazione è l’idea centrale del nostro tempo: tutte le forme si mostrano destinate a mutare e di conseguenza diventano oggetto di congettura». Del resto se si ipotizza il futuro vanno prese in considerazione le alternative. La possibile inerzia dell’UE e la sua incapacità di elaborare delle proposte che si distinguano da quelle degli USA, isola la Russia e finisce col rafforzare le tendenze eurasiatiche e il peso del complesso militare-industriale che già stringe rapporti commerciali – e di un particolare commercio – con l’Iran e con la Cina. I suoi esponenti guardano, con non ingiustificata preoccupazione, l’espansione della NATO alle frontiere della Federazione Russa che, oltre a comprendere la Romania minaccia di allargarsi alla piccola, ma strategicamente importante Georgia, e all’Ucraina il mantenimento della cui neutralità sarebbe, invece, premessa per un miglioramento del clima internazionale. La politica di Medvedev e di Putin si troverà a fare i conti con i problemi immediati, ma allo stesso tempo non potrà perdere di vista le prospettive che si pongono per i periodi più lontani e dalle quali dipende il nostro futuro.
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