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Poesia e ritratto nel Rinascimento
di
Gianluca Genovese
Solo nel Rinascimento, è noto, gli artisti acquisiscono uno status paragonabile a quello dei letterati, e il loro lavoro da attività artigianale passa ad essere considerato fonte autonoma di prestigio sociale. In virtù di questo mutamento storico-culturale, la gara tra pittura e poesia non ha più soltanto il valore di un topos riferito alle modalità di rappresentazione del reale (ut pictura poesis), ma può divenire confronto agonistico teso a misurare, su uno stesso soggetto, le potenzialità mimetiche di mezzi espressivi differenti ma egualmente degni. Campo privilegiato del confronto è quello del ritratto, anche perché la capacità di eternare la fama dei potenti – con i versi e con i colori - resta la "prestazione professionale" più redditizia per artisti e poeti. E se il ritratto di corte assurge a forma specifica, come ha attestato la ricchissima mostra allestita nel 2006 nel Museo di Capodimonte (Tiziano e il ritratto di corte, da Raffaello ai Carracci, catalogo Electa, Napoli, 2006), il ritratto tout court diventa genere tra i più praticati, tanto da spingere Aretino a deprecare come «un'infamia» l'abitudine del «secolo» di far «apparire vivi in pittura» persino «i sarti e i beccai». Come Aretino, che per la sua martellante autopromozione adopera congiuntamente strumenti letterari (soprattutto i libri di lettere) e artistici (medaglie e ritratti), molti autori rinascimentali mostrano precoce consapevolezza di quel che David Freedberg ha definito «il potere delle immagini», usate sia per fissare concetti nella memoria di chi le guarda sia per agire sulla volontà , per movere nel senso retorico del termine. E che nel Rinascimento fosse particolarmente viva la consapevolezza del potere illusionistico del ritratto, non solo «segno di riconoscimento, ma presenza stessa del modello al quale si sostituisce» (le parole sono di uno dei più acuti teorici di questa genere pittorico, Edouard Pommier), viene confermato, a posteriori, nel controriformistico Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582) di Gabriele Paleotti. II vescovo di Bologna giudica can severità il ritratto quando costituisce indizio a potenziale fonte di superbia, e ritiene debba essere riservato a un usa strettamente privata e concepito come esemplare, immortalando con composta dignità le più autorevoli personalità politiche, religiose o sociali; negli altri casi, parrebbe «sciochezza ridicola che uno presuma tanto di se stesso, che si reputi degno, per servigio del mondo, di stare in prospettiva degli altri per essere veduto et ammirato». Proprio con riferimento alle cautele moralistiche del Paleotti, che vuole nello stesso tempo contrastare l'iconoclastia protestante e «controllare il fascino pericoloso delle immagini, e in particolare la capacità che il ritratto ha di riassumere in se una vita intera e di agire da modello, fino a plasmare di se chi lo guarda» (p. 69), si chiude il discorso di Lina Bolzoni, che ha ricostruito le modalità dell'incontro (a volte dello scontro) tra poesia e ritratto nel Rinascimento (Poesia e ritratto nel Rinascimento, testi a cura di Federica Pich, Bari, Laterza, 2008, pp. 288). «All'origine di una lunga storia, delle numerose poesie, cioè, in cui si parla di un ritratto» si collocano i celebri sonetti petrarcheschi che evocano il ritratto di Laura realizzato da Simone Martini. Petrarca va considerato dunque «il fondatore di un genere, sia pure minore, che si colloca entro la tradizione lirica e quella celebrativa» (p. 14); dopo di lui centinaia di autori si misureranno col medesimo tema. L'antologia di testi proposta dalla Bolzoni, autorità indiscussa negli studi sul rapporto tra parole e immagini, e curata da Federica Pich con sensibilità e rigore, delinea un percorso tematico di grande interesse, supportato e impreziosito da un ricco apparato iconografico. La competizione tra poesia e pittura, che costituisce il nucleo della prima sezione, dedicata al Ritratto dell'amata, raggiunge uno degli esiti più alti nei sonetti da Giovanni Della Casa dedicati a Elisabetta Quirini, ritratta da Tiziano. Si giunge «per certi aspetti ai confini della tradizionale divisione, e gerarchia» (p. 21) tra le due arti. Della Casa non solo si autoaccusa di incapacità nel ritrarre - si noti il verbo -l'amata («cui lo mio stil ritrarre indarno prova»), ma giudica la poesia un mezzo inidoneo («né in ciò me sol, ma l'arte insieme, accuso»); al contrario nel ritratto tizianesco la donna si muove, parla, respira. «Sembra rinnovarsi il miracolo di Pigmalione», ricorrente in testi diversi e can molteplici variazioni, ad esempio in Lorenzo de' Medici o in Bembo, che parlano direttamente al ritratto, elevandolo a immagine sostitutiva della donna, col «vantaggio di una assoluta disponibilità » e «l'illusione di un completo dominio» (p. 26). Nel contempo, la parola poetica non solo tende a porsi in competizione can l'immagine, nonostante lo scacco denunciato da Della Casa, ma si appropria delle componenti materiali del ritratto per rivitalizzare metafore amorose tradizionali: ad esempio quelle della fiamma o del fuoco, paste in relazione col legno su cui è dipinta l' amata (è il caso del napoletano Berardino Rota), a del laccio, con cui l'amante porta al collo ritratti di piccole dimensioni, ma che richiama anche uno dei più tipici strumenti di Amore, in un vertiginoso gioco di corrispondenze sperimentato da Torquato Tasso. Il mito di Pigmalione può essere declinato anche nei confronti del Ritratto del poeta (cui è dedicata la seconda sezione), sovrapponendosi con il topos dello spossessamento del cuore, perduto dall'innamorato nel momento in cui viene donato alla donna amata. II poeta privo del cuore, e dunque in una situazione al limite tra la vita e la morte (come nel sonetto di Marino Sopra il proprio ritratto di mano di Michelagnolo da Caravaggio), si identifica appieno col proprio ritratto, doppio inerte ma che può essere reso più vivo dell'originale da colei alla quale è donato, attraverso la «tradizione dei miracoli d'amore, convocata a interagire con i miracoli della pittura e della poesia» (p. 39). Accanto ai componimenti di autori più noti, come Serafino Aquilano e Baldassar Castiglione, spicca in questa sezione il sonetto di Girolama Corsi Ramo sul ritratto dipinto da Vittore Carpaccio, non per la qualità dei versi - mediocri - ma perchè, nota la Bolzoni, è «storicamente di grande rilievo che una poetessa parli del proprio ritratto» (p. 43). La terza e la quarta sezione, rispettivamente intitolate Il ritratto come celebrazione e L’omaggio all'artista, esplorano il tema davvero centrale della lode. Paradigmatico, anche perché nuovo e inedito, è il rapporto che si instaura tra Aretino, il quale sulla lode e sul biasimo dei potenti aveva costruito la propria immagine di "flagella dei Principi", e Tiziano, massimo ritrattista del secolo e suo amico e sodale. «Lo Aretina non ritragge le cose men bene in parole che Tiziano in colori», scriveva Sperone Speroni nel Dialogo d'amore; e proseguiva notando che, se riferiti al medesimo soggetto, «il sonetto e il ritratto sana cosa perfetta: questo da voce al ritratto, quello all'incontro di carne e d'ossa veste il sonetto». II mito di Pigmalione (dar «voce al ritratto») viene riproposto «in chiave politica» (p. 45), riadattato ai più illustri tra i contemporanei. I segni della condizione sociale, in primo luogo vesti e ornamenti, si uniscono ad elementi dalle forti connotazioni allusive e simboliche; in altri termini, alla dimensione storica del ritratto si sovrappone, in maniera spesso pervasiva, quella metaforica. Anche in quest'aspetto è attiva l'interazione tra i letterati, che suggeriscono idee iconografiche, metafore, visualizzazioni di topoi retorici, e coloro che devono concretizzarli sulla tela: si pensi, ancora una volta, alle lettere di Aretino a Tiziano. D' altra parte l’autore dei Ragionamenti, proprio in nome della invalsa solidarietà tra artisti e letterati nella gestazione delle opere, nel settembre del 1537 giungeva (senza successo) a suggerire a Michelangelo una dettagliata iconografia del Giudizio universale. Se la «capacità illusionistica del ritratto è chiamata a giocare un'impossibile sfida alla morte», la funzione del poeta si rivela straordinariamente complessa: «egli fa da mediatore fra il committente e l'artista; elogia l'uno e l'altro; riconosce le caratteristiche della perfezione dell'idea e quindi detiene gli strumenti per l' esaltazione della donna; esprime il fascino e i rischi del ritratto, di un doppio artificiale della vita che da vita a un desiderio; da voce all'immagine, così come può dar voce, in prima persona, al desiderio del signore» (p. 53). Nell'ultima sezione, La poesia davanti al ritratto, viene illustrato il complesso gioco di specchi che può crearsi tra la parola e l'immagine, a partire dal celebre ritratto bronziniano di Laura Battiferri, raffigurata mentre stringe tra le mani un volume aperto su due sonetti del Petrarca: «La parola poetica penetra così nel cuore dell'immagine; fra il pittore/poeta, la donna rappresentata (oggetto d'amore, lettrice e poetessa) e gli osservatori si crea un complesso circuito di messaggi, ricco di allusioni e di sottintesi, che tuttora mette alla prova le capacità interpretative dei critici» (p. 56). Suggestiva è anche la ricostruzione che la Bolzoni propone di un episodio, forse romanzesco ma attendibile sul piano dei codici simbolici che mobilita, riferito da un biografo seicentesco di Castiglione, Antonio Beffa Negrini. L'autore del Cortegiano avrebbe nascosto «dietro ad un grande e bellissimo specchio, che si poteva aprire e chiudere da chi sapeva l' artificio» il ritratto raffaellesco di una donna da lui molto amata, insieme con i due sonetti dalla tradizione tramandati come Sonetti del specchio. Specchiandosi, il Castiglione dava dunque vita a un «ritratto doppio», creato dalla sovrapposizione tra la propria immagine riflessa e quella della donna nascosta sotto lo specchio, instaurando con lei un legame segreto e profondo che rimanda a suggestioni platoniche: nel Fedro si legge infatti che chi ama «vede se medesimo nell'innamorato come in uno specchio ma non lo sa». E i sonetti, che riformulano «alcuni dei topoi della contemplazione del ritratto dell' amata» e celebrano la «capacità della parola poetica di superare le barriere del tempo» (p. 61), vengono originalmente letti e interpretati dalla Bolzoni con riferimento alla «macchina ottica» che li conserva e li nasconde. Ogni sezione accoglie, accanto ai più noti protagonisti della cultura rinascimentale, autori meno conosciuti, da Bernardino Tomitano ad Antonio Tebaldeo, da Giacomo Cenci a Giuliano Goselini, su ognuno dei quali Federica Pich offre dettagliate notizie biografiche e bibliografiche, unite a un esemplare commento dei testi antologizzati. Il volume accoppia dunque alla densa ricostruzione teorica di cui si è dato conto per rapidi cenni l'utilità di un agile ma esaustivo strumento di consultazione.
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