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L’EUROPA, LABORATORIO POLITICO E SISTEMA DI STATI
di Fausto Cozzetto
Oltre mezzo secolo fa, Federico Chabod si era posto il problema di individuare gli elementi che caratterizzano l’origine dello Stato moderno e tra questi aveva individuato la formazione di un sistema di Stati europei al tramonto del Medioevo, cogliendone gli aspetti essenziali prima sul piano delle relazioni internazionali, delle quali era, notoriamente, un profondo cultore, poi indagando gli aspetti funzionali di tale sistema, come espressione dei fattori formativi dello Stato moderno tra Quattro e Cinquecento, che venne individuando nei suoi studi su Machiavelli, sul Rinascimento e sullo Stato e la vita religiosa a Milano nell’età di Carlo V. Giuseppe Galasso, a sua volta, riprese, ampliò e definì i temi delle indagini di quello che era stato il suo “maestro”, nei corsi universitari che lo storico napoletano tenne presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Napoli (Federico II), nella seconda metà degli anni Sessanta. Nei decenni successivi più volte è tornato sull’argomento, allargando la sua indagine agli svolgimenti sia del sistema degli Stati europei, quale si era formato agli albori dell’età moderna, sia delle caratteristiche sostanziali che, allora e dopo, permettevano di mantenere solidamente in vita la stessa categoria storica di Stato moderno. Tanto più che una parte non piccola della storiografia europea e italiana tendeva a metterla in discussione, riprendendo antichi filoni interpretativi fondati sulla continuità tra Medioevo ed età moderna; gli stessi si soffermavano a negare discontinuità nel campo delle relazioni tra Stati e svolgimenti nella forma stessa dello Stato.
Aurelio Musi, in una recente raccolta di scritti (L’Europa moderna fra Imperi e Stati, Milano, Guerini e Associati, 2006) dedicata alla formazione e allo sviluppo dell’Europa, come grande sistema politico dal principio del XVI alla seconda metà del secolo successivo, si sofferma, nell’Introduzione al suo libro (pp. 9-14), a individuare le due fasi essenziali entro le quali si muove l’indagine storiografica dei successivi capitoli. Si tratta

[…] di due grandi quadri di integrazione dell’Europa […]. Nel primo l’egemonia predomina sull’equilibrio, è la dinastia imperiale spagnola a garantire l’unità del sistema e a condizionare il quadro delle relazioni internazionali. Il sistema imperiale spagnolo si articola, tuttavia, in una rete di interdipendenze […], e di funzioni tra loro connesse, che contribuiscono a integrare i domini asburgici. Nel secondo sistema l’equilibrio predomina sull’egemonia che, tuttavia, resta come tensione forte delle grandi potenze e come importante posta in gioco nei tre poli in cui si articola il sistema multipolare degli Stati europei: un polo mediterraneo con al centro la Francia; un polo centroeuropeo in cui l’Inghilterra è il cuore, il motore più veloce dell’economia, ma è in netta ascesa la potenza del Brandeburgo-Prussia; un polo settentrionale con la Svezia e la Russia (pp. 10-11).


Dal punto di vista dell’organizzazione interna del sistema imperiale spagnolo, da Filippo II fino al governo del conte-duca di Olivares, Musi individua alcuni caratteri essenziali. L’unità dinastica, che identifica con la fedeltà assoluta al sovrano, proprio in una società, come quella dell’antico regime, caratterizzata dalla coesistenza di più fedeltà e più sensi di appartenenza, assieme a quella religiosa che si fonda sull’adesione rigorosa alla religiosità confessionale della controriforma. La presenza della Castiglia come regione guida del sistema, con la scelta di un’unica capitale Madrid e l’assunzione di un gruppo dirigente imperiale espressione dell’antica e prestigiosa aristocrazia feudale casigliana. L’interdipendenza tra le parti del sistema imperiale, garantita dalla configurazione di sottosistemi (esemplificata dall’autore con il riferimento al sottosistema Italia) attraverso una serie di funzioni coordinate assegnate a ciascun sottosistema, come l’esistenza di un sistema di potenza regionale e di uno spazio politico relativamente unitario. L’autore continua individuando il rapporto tra linee direttrici, relativamente uniformi in tutto il sistema, che sostanziano il dominio del centro sulla periferia dell’impero, e strumenti concreti di politica del territorio che tendono a suscitare forme di consenso e che consentono di spiegare la lunga durata dell’egemonia spagnola. Infine, l’egemonia nelle relazioni internazionali che al suo stadio più avanzato, negli ultimi anni di Filippo II, avrebbe messo insieme un sistema di relazioni internazionali che di fatto inglobava tutto il mondo e, citando Maravall, Musi ritiene che questo sistema di Stati avrebbe obbligato «tutti gli altri paesi a entrare in combinazioni internazionali che abbracciano il pianeta» (pp.35-39). In questo ambito Musi sottolinea le posizioni storiografiche che hanno portato all’acquisizione concettuale di sistema imperiale spagnolo, la cui «endiadi costitutiva […] fu il rapporto strettissimo esistente tra la centralità dell’economia mondo mediterranea, meglio, con una formula più completa, dello spazio mediterraneo, e la strategia politica fondata su questa centralità» (p.43). In particolare cita Braudel e Carlo Galli nella sua opera Spazi politici. L’età moderna e l’età globale (Bologna, 2001). A partire dall’acquisizione che «il rapporto tra la Spagna come potenza mondiale e la penisola italiana risulta meglio comprensibile se guardato attraverso la centralità del Mediterraneo», egli riprende la riflessione crociana sui caratteri della dominazione spagnola in Italia, il quale aveva messo, per la prima volta, in discussione il canone risorgimentale dell’antispagnolismo, come fattore principe della decadenza italiana e rimarcava, altresì, l’essenzialità della spiegazione della lunga durata del governo dei re cattolici nel Mezzogiorno d’Italia. Si avviava così, a parere del Musi, una riflessione storiografica che si è conclusa con la convinzione che quella lunga durata è da attribuire alla costruzione di una via napoletana allo Stato moderno. L’autore nei successivi saggi, ora raccolti nel volume di cui si parla, si è soffermato a lungo sia sul Sistema imperiale spagnolo e sottosistemi, sia sul concetto storiografico de L’Italia come piccolo Stato, in quest’ultimo concentra la sua attenzione sul sottosistema Italia. Egli ricorda, a questo proposito, la posizione di Galasso per il quale il Consiglio d’Italia non rappresenta un’istanza unificante dell’Italia spagnola e che è problematico identificare un “filo italiano” nella politica spagnola in Italia. Musi conclude, invece, che «esist[e] comunque la possibilità di individuare una relazione tra le linee direttrici della politica imperiale spagnola e gli aggiustamenti territoriali nel sottosistema Italia, che corrisponde all’equilibrio complesso fra concentrazione e partecipazione al potere». Lo stesso autore concorda invece con il Galasso quando disapprova che l’avvio della fase conclusiva dell’età dell’egemonia spagnola, sia da individuarsi nella pace di Westfalia e in quella dei Pirenei, a metà del Seicento. Questi momenti vengono considerati da entrambi gli storici un’ulteriore fase depressiva delle energie politiche della “piccola Italia”, attraverso l’emarginazione del sovrano pontefice dalle relazioni internazionali e l’umiliazione degli altri Stati italiani, con la sola eccezione delle «armi dei Savoia».
Mezzo secolo più tardi, almeno in Europa, lo spazio oggettivamente praticabile per una politica di egemonia si riduce fortemente e questa epoca segna l’avvio del secondo dei sistemi di rapporti tra gli Stati che caratterizza il mondo moderno, quello in cui l’equilibrio predomina sull’egemonia con la nascita dei tre poli in cui si articola il sistema degli Stati europei: quello francese, quello inglese-prussiano, quello degli Asburgo d’Austria. Nel nuovo sistema

[…] contano la scala di potenza – grande, media, piccola – e la sfera d’influenza. Le grandi potenze sono i tutori dell’equilibrio [esso] è ritenuto dai sovrani lo strumento più idoneo per il raggiungimento della pace universale; […] è strettamente connesso con l’unità etico culturale dell’Europa, con una concezione comunitaria della sua vita politica: la guerra è l’extrema ratio per frenare il potente che vuole imporre il suo dominio. Nella pratica politica internazionale della prima metà del Settecento l’interpretazione dell’equilibrio fu di volta in volta piegata agli interessi delle grandi potenze […] che cercarono invece di affermare il principio dell’egemonia parziale di singole potenze nella loro sfera di influenza: gli equilibri così realizzati erano necessariamente precari e instabili per la vicinanza delle sfere di influenza e per l’interdipendenza nel sistema europeo di potenze (pp.90-1).


Come è noto, nella nuova situazione multipolare l’Italia, a partire dalla svolta compiutasi con la guerra di successione spagnola, entra a far parte del polo asburgico viennese e, con l’interruzione prodottasi con l’età napoleonica vi rimane fino all’Unità nazionale. Ma al di là di queste troppo ovvie considerazioni resta il dato che quell’equilibrio multipolare sopravvive a lungo, almeno fino alla seconda guerra mondiale e alla nascita del duopolio russo-americano e, conclusosi questa fase nota come “equilibrio del terrore” , nel 1989, si realizza una nuova fase egemonica negli equilibri mondiali con la permanenza della superpotenza americana. Vicende che sembrano riproporre in alcuni tratti, come nota lo stesso Musi, aspetti della nascita del sistema imperiale ed egemonico spagnolo di cui si è dianzi parlato. Per cui alla fine, nel corso dell’Età moderna, il sistema delle relazioni tra gli Stati mostra di esprimersi attraverso un andamento alterno in un sostanziale modulo ciclico della durata di mezzo millennio.
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