Nota introduttiva
1.
La figura di Hermann Schell
Herman Schell (1850-1906) fu un teologo e un filosofo cattolico tedesco vissuto in piena temperie modernistica
1. Le sue opere principali, infatti, si collocano tra gli anni Ottanta dell’Ottocento e i primi anni del Novecento:
Katholische Dogmatik (Dogmatica cattolica, 1889-1891, 3 volumi);
Die göttliche Wahrheit des Christentums (La verità divina del cristianesimo, 1895-1896, 2 volumi);
Apologie des Christentums (Apologia del cristianesimo, 1902-1905, 2 volumi);
Christus. Das Evangelium und seine weltgeschichtliche Bedeutung (Cristo. Il Vangelo e il suo significato storico-universale, 1903). Ricordiamo, inoltre, due opuscoli di carattere etico-politico che lo resero piuttosto noto nel mondo politico e culturale cattolico tedesco ed europeo:
Der Katholicismus als Princip des Fortschritts (Il cattolicesimo quale principio di progresso, 1897);
Die neue Zeit und der alte Glaube. Eine culturgeschichtliche Studie (L’età nuova e il credo antico. Studio storico-culturale, 1898).
Nato a Friburgo in Bresgovia, Schell vi studiò teologia e filosofia sotto il dogmatista neoscolastico Konstantin von Schaenzler e il tardo-idealista Jacob Sengler. Si laureò tuttavia a Würzburg sotto l’egida di Franz Brentano con una tesi intitolata
Die Einheit des Seelenslebens aus den Principien der Aristotelischen Philosophie entwickelt (L’unità della vita dell’anima sviluppata secondo i principi della filosofia aristotelica, 1872), che pubblicò l’anno successivo a Friburgo grazie al sostegno di Sengler.
Dopo aver preso i voti il 17 agosto 1873, Schell ricoprì per sei anni l’incarico di cappellano e di insegnante di religione ad Amorbach e a Obertheres, nella Baviera francona. Dal 1879 al 1881 si recò a Roma per proseguire i propri studi, che, al suo ritorno, gli consentirono di perfezionare la sua tesi. Nel 1885 discusse il lavoro dottorale intitolato
Das Wirken des dreieinigen Gottes (L’azione del Dio trinitario) presso l’Università di Tubinga, che poi pubblicò col medesimo titolo. Dal 1884 iniziò a insegnare Apologetica, Storia dell’arte cristiana e Archeologia presso l’università di Würzburg, dove ottenne l’ordinariato di Apologetica e Archeologia cristiana nel 1888. Due anni dopo assunse la cattedra di Dogmatica e, dal 1894, ricevette anche le cattedre di Scienza religiosa comparate e di Storia dell’arte cristiana.
Nel 1896 Schell divenne magnifico rettore dell’università di Würzburg.
Veritati (dedicato alla verità ) fu motto che lui stesso fece scolpire sul portale dell’edificio principale della propria università . Si aprì una stagione d’intensa attività speculativa e apologetica, culminata nei due volumi dedicati alla
göttliche Wahrheit des Christentums (
Gott und Geist, Dio e spirito, 1895-1896) e negli opuscoli incentrati sul rapporto fra fede e ragione. Queste opere, ardite per la forma più che per la sostanza, gli attirarono il sospetto della Congregazione dell’Indice. Con un decreto del 23 febbraio 1899 la dogmatica, l’apologetica e l’opera pubblicistica di Schell furono messe all’Indice.
La condanna romana era addebitabile, più che alla presenza di affermazioni eccessivamente ardite, all’esigenza di far rientrare nei ranghi quello che era unanimemente ritenuto il principale teologo cattolico tedesco
2. Il fondato sospetto di simpatie liberali, la critica serrata all’azione culturale gesuitica nel mondo tedesco e il dialogo metodologico intessuto con la teologia protestante costrinsero la Chiesa romana a bloccare sul nascere le possibili derive modernistiche insite nel magistero e nell’insegnamento di Schell
3. Il quale, dopo aver compiuto il rituale atto di sottomissione sincera, completa e dovuta al soglio pontificio, proseguì la propria attività teologico-speculativa dando alle stampe una seconda edizione riveduta dell’
Apologie e il
Christus. Poco tempo dopo, colpito nell’animo e nello spirito, si spense improvvisamente a Würzburg all’età di 56 anni.
L’opera teologica e filosofica di Schell è complessa, variegata e originale
4. Non è questo il luogo più adatto per approfondirne gli aspetti salienti. Qui basti ricordare che una delle motivazioni teologiche alla base dell’indicizzazione del 1899 era la concezione schelliana di Dio come
causa sui, come identità di essenza ed esistenza, di
ratio sui e
volitio sui, identità delle identità . Opponendosi alla concezione neotomisticica intesa a imputare a Dio una «trascendenza quantitativa» (e non qualitatativa), Schell intendeva dimostrare che «Dio non è l’essere semplicemente assoluto», ma è sviluppo spirituale del pensiero e della volontà e immutabilità in pari misura
5. Tale concezione di Dio come
actus purus, intrisa di elementi idealistici e dialettici, si spiega con l’influenza esercitata dall’aristotelismo di Brentano e dal suo tentativo di restituire dignità scientifica alla scienza filosofica
6.
2.
Nietzsche e il cristianesimo
Il rapporto tra la filosofia nietzscheana e il cristianesimo, apparentemente risolto nella netta stroncatura fornita dal filosofo sassone
7, può essere considerato a partire dall’interpretazione fornita da Karl Jaspers alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Qui il filosofo e psichiatra tedesco cercò di contestualizzare l’anticristianesimo nietzscheano alla luce dello strumentalismo nazista: la visione nietzscheana del cristianesimo risente di una visione storicizzata che ha svuotato completamente la religione dei suoi contenuti specifici
8.
Le
Vorlesungen di Schell rappresentano la prima lettura in assoluto di Nietzsche da parte di un teologo cristiano di spessore. Non si tratta di un teologo cattolico qualsiasi, ma – come abbiamo visto – di un teologo ravveduto. È sin troppo facile ravvisare un nesso profondo tra il pensiero religioso di Brentano, la dogmatica di Schell e gli sviluppi fenomenologici di uomini come Jaspers e lo stesso Martin Heidegger, che seguì il corso di Apologetica all’università di Würzburg tenuto dallo stesso Schell
9. Quello che intendiamo dire è che non è possibile comprendere la lettura schelliana di Nietzsche se non comprendiamo la metodica profondamente idealistica e soggettivistica assunta dalla sua apologetica.
L’obiettivo delle lezioni di Schell non è certo quello di condannare drasticamente l’anticristianesimo di Nietzsche, anche perché – per sua stessa ammissione – l’Ottocento tedesco fu ricco di filosofi atei di ben altra virulenza (Schopenhauer e Hartmann). Il teologo francone cerca piuttosto di fornire un’interpretazione esistenziale e cristiana della figura di Nietzsche, insistendo sulla rilevanza assunta in tutta la sua opera (in
Zarathustra, soprattutto) dall’autonomia spirituale della persona. Personalità e spirito sono i due cardini intorno ai quali Nietzsche elabora e costruisce la propria battaglia esistenziale contro l’immiserimento morale del cristianesimo tedesco.
Innegabilmente, in queste righe si respira a pieni polmoni il problema di un cattolicesimo personalistico che Schell cercò in qualche modo di sostenere come terza via tra il luteranesimo e il modernismo. Non a caso, abbondano i riferimenti soprattutto a due opere nietzscheane:
Also Sprach Zarathustra e
Der Antichrist. Sono gli scritti cristianamente più delicati, perché maggiore e diretto è l’attacco rivolto alla religione nata in Palestina. Ma è indubbio come al teologo francone prema entrare a contatto diretto con il problema del super-uomo e col rapporto fra questa icona e messaggio salvifico cristiano attraverso il corrispettivo «vangelo» di Nietzsche.
Pagine curiose e mirabili sono quelle che Schell dedica all’uomo bruttissimo zarathustriano, pagine che forse avrebbero potuto insegnare qualcosa a tutti gli eugenetisti nazisti volti a eliminare le forme di vita ritenute diverse e disprezzabili. In mezzo alla congerie aforistica e al frammento, il teologo francone ritrae la figura di un Nietzsche vitale, perché spirituale. Nello spirito battagliero di Nietzsche è custodita – secondo Schell – la speranza che la fiamma divina continui a bruciare quaggiù in terra.
Le Vorlesungen di Schell
I.
Il rapporto di Nietzsche col cristianesimo**
Il problema sembra avere un esito indiscutibile; tuttavia ci riguarda: i problemi esigono un confronto e uno scontro con essi. L’evoluzione generale della vita spirituale di Nietzsche fu la seguente:
Nella prima fase pensò soprattutto da estetico;
Nella seconda pensò soprattutto da filosofo critico;
Nella terza pensò soprattutto da profeta. Egli disse: i pensieri non mi raggiungono quando lo voglio io, ma quando lo vogliono loro; penso meno di quanto non sia pensato; non esiste razza più miserabile di quella che è una tabula rasa, uno specchio passivo della realtà effettiva. Le tre fasi non sono però a se stanti, ma risultano legate fra loro in maniera organica.
Per valutare la posizione di Nietzsche di fronte al cristianesimo dobbiamo considerarne il rapporto da punti di vista differenti: qual era il suo rapporto con la fede in Dio e col Dio cristiano?
Uno dei suoi motti preferiti è: «Dio è morto»; chi l’ha ucciso? «Dio è morto», dice Nietzsche, ma affronteremo ancora a lungo la sua ombra.
Come giunse Nietzsche, nato nella casa di un pastore, a scorgere nella morte di Dio la vera redenzione e liberazione dell’umanità ?
Nietzsche stesso ci dice di non aver rotto i ponti col vangelo della sua gioventù a seguito dell’ostilità verso la divinità di Dio, ma di avervi rintracciato l’«anti-divino». Ne deriva quanto segue:
I.
Lo sviluppo della filosofia e della visione della vita moderne
1. Lo sviluppo dell’età moderna ha valorizzato il monismo quale affermazione dell’al di qua. Il mondo deve diventare il bene, ciò che si è guadagnato, amato e vissuto, perché è immagine e visione della bellezza, perché è una lotta per l’abnegazione di sé virile ed eroica. Vivere è un piacere, non perché si sia più liberi dall’orrore e dalla compassione, come diceva Aristotele, ma perché è un piacere eroico compiere gioiosamente una vita di per se stessa insignificante e miserabile. Vale la pena di vivere non perché il mondo ci appaga, ma per avvertire la tragica voluttà dell’esistenza. Questo è l’ideale di vita rinascimentale. Dal Rinascimento si è giunti, attraverso Cartesio, alla scoperta e alla percezione intime del pensiero dell’Io, che si emancipa anche da Dio e dal bene e dal male. Questa emancipazione dello spirito padrone di sé ha condotto alla distruzione delle prove dell’esistenza di Dio in Kant e così, dunque, alla morte di Dio in Nietzsche.
2. Poi Schopenhauer ha scoperto la volontà .
La volontà è considerata la realtà effettiva presente in maniera più profonda nel proprio Io e in tutto il mondo. Quindi il mondo del velo è strappato dal viso. Ma che volontà è mai questa che vive appieno negli uomini e nella natura?
La volontà , dice Schopenhauer, è ciò che bisogna lacerare, anche se è doloroso farlo, per essere. La volontà non è nient’altro che la necessità della sofferenza e del dolore, la necessità della ricerca continua, della lotta per l’unità e la molteplicità (
Quotiescumque biberitis, mortem domini annuntiabitis!). Il filosofo è lui stesso inorridito dalla scoperta fatta; quest’immagine svelata della divinità l’ha pietrificato e l’ha indotto alla compassione per se stesso, producendo il gusto cristiano per la predica della morale compassionevole e la negazione della volontà di vivere.
Per questo Nietzsche si è scrollato di dosso Schopenhauer, perché questi non era insorto per amare e affermare l’immagine svelata: l’uomo non deve essere denigrato, né semplicemente sopportato, ma deve essere chiamato «da capo»
10 alla tragedia della vita.
3. In seguito bisogna menzionare questa nuova idea: Ciò che Kant e Schopenhauer hanno intravisto solo da lontano è la crescita della realtà effettiva. Ma ciò che cresce non ha bisogno di alcun creatore. «La crescita, non il fatto, è la categoria fondamentale della realtà effettiva». Il mondo dello sviluppo è la morte di Dio.
II. Tra le figure che circondano Zarathustra vi è, accanto all’ultimo Papa, l’uomo bruttissimo. L’uomo bruttissimo è l’assassino di Dio. Tutto questo significa che: 1. Nell’uomo bruttissimo Nietzsche ha rappresentato in maniera ipostatizzata la realtà dolorosa e miserabile.
Questa miserabilità dell’esistenza è la morte di Dio! Com’è possibile, dunque, che questa realtà effettiva della natura e della storia sia una creazione dell’onnipotenza cosciente e della bontà incondizionata? La miseria del mondo è «la putrefazione di Dio». Dio è morto per la sua onnipresenza e onniscienza. La realtà effettiva non tollera di essere sempre ravvisata in uno spirito creatore cosciente, libero e benevolo.
Ma come si coniuga, dunque, l’appello al «da capo»
11 di Nietzsche con la tragedia universale? In questi termini: Ciò che è incomprensibile ed enigmatico come creazione di Dio è innocente come necessità , come libertà di un creatore cosciente e responsabile; l’assenza di consapevolezza porta con sé l’innocenza del divenire.
O amici miei! Il sapiente parla così: vergogna, vergogna, vergogna, questa è la storia dell’uomo! E perciò il nobile s’impone di non umiliare: impone vergogna a se stesso davanti a tutti i sofferenti. In realtà , a me non piacciono i misericordiosi, che sono beati della loro compassione: mancano troppo di vergogna. Io devo essere compassionevole, ma non voglio essere detto tale; e se lo sono, meglio allora dai lontani. Nascondo volentieri la testa e fuggo via, prima di essere riconosciuto: e ingiungo anche a voi di fare così, amici miei!12
L’uomo bruttissimo si struggerebbe per la vergogna se qualcun altro fosse consapevole della sua bruttezza; l’uomo deve essere irrispettoso, disattento e impassibile di fronte a ogni super-ragione, se vuole essere veramente il super-uomo. L’uomo si rovina con la fede e la pressione di Dio. Che cos’è dunque che Nietzsche scaccia da Dio? Si chiede continuamente cosa bisognerebbe fare se ci fossero gli dèi? Nietzsche vuole vivere; sente a ragione che la vita è possibile soltanto dove è libertà . La vita è volontà di potenza. Come può crescere la vita, come può agire liberamente l’uomo se al di sopra di sé conosce un Dio che interviene a piacimento nel corso del mondo, persino nelle proprie azioni? Qual è il senso e lo scopo della vita, della ricerca e della creazione? Non è tutta una commedia se un Dio ultraterreno ordina e guida qualsiasi cosa?
13
In Nietzsche sta scritto:
Volere libera: questa é la vera dottrina della volontà e della libertà , così ve la insegna Zarathustra. Non più volere e non più valutare e non più creare! Ah, rimanga sempre da me lontana questa grande stanchezza! Anche nel conoscere io sento solo la mia volontà che gode di generare e di divenire; e se nella mia conoscenza è innocenza, ciò accade perché in essa è volontà di generare. Via da Dio e dagli dèi mi ha allettato questa volontà : che cosa mai resterebbe da creare, se gli dèi esistessero! Ma la mia ardente volontà creatrice mi spinge sempre di nuovo verso l’uomo; così il martello viene spinto verso la pietra. Ah, uomini, nella pietra é addormentata un’immagine, l’immagine delle mie immagini! Ah, che essa debba dormire nella pietra più dura e più informe! E ora il mio martello infuria crudelmente contro la sua prigione. Dalla pietra un polverìo di frammenti: che mi importa? Io voglio compiere la mia opera: un’ombra venne infatti a me, la più silenziosa e lieve di tutte le cose é venuta una volta da me! La bellezza del super-uomo venne a me come un’ombra. Ah, fratelli! Che mai possono importarmi ancora gli dèi!14
III. La perfidia più orrenda è la virtù retribuita. Ma più perfido ancora è ciò che escogita il tesoriere e che chiama Dio. Dio è morto per questa bruttezza. Dio non è altro che la metafisica del carnefice, l’espressione di quella miserevole debolezza che dice: non posso vendicarmi, sono troppo debole per farlo; ma è la giustizia che mi farà vendicare. «
Vae victis» si diceva nell’antichità ; ma in seguito è risuonato il richiamo: «
Vae victoribus», quando si è trovato il Dio cristiano. Dio è il carnefice che appaga la vendetta dei deboli che non vogliono o possono vendicarsi da sé. La loro debolezza si chiama bontà , indulgenza, mansuetudine e amore. Ma la virtù non ha bisogno di alcun premio, altrimenti non è più l’urlo morente e giubilante del morituro, perché morendo fa spazio a un combattente avvenire che prosegue la tragica lotta di Dioniso, del dio che morendo fa risorgere continuamente il mondo.
IV. Ne consegue l’interpretazione del pensiero: Dio è il nulla divinizzato, la suprema stanchezza, l’apoteosi della debolezza, la grande illusione creata per evitare il problema della vita e della verità .
Ciò che Nietzsche osteggia nella concezione cristiana di Dio non è l’idea della razza ebraica, non è l’idea popolare specificamente ebraica; perché l’ideale stesso è proprio che Yahvé sia il cancello della vita. In questi termini Nietzsche apprezza la fede in Yahvé. L’ebraismo è riuscito a preservare correttamente questa «affermazione della vita» quando non disponeva di alcuna posizione di forza sociale, economica e politica.
Lo spirito del popolo degli ebrei affermò e amò anche i periodi di declino della sua storia; e bisogna ringraziare soprattutto i sacerdoti che tramandavano l’istinto nazionale della volontà di vivere. Tuttavia questa decadenza nazionale è diventata oggetto della problematica grazie allo spirito romano. L’ebreo ha vinto nel Vaticano, non i romani aristocratici. Dio è adesso il Dio ospedaliero; ma il grande ragno metafisico (Kant) ha testimoniato ulteriormente il sangue dell’antico Yahvé ebraico elevando Dio al rango di
ens absolutum.
Critica: Nietzsche è sempre stato convinto che Dioniso e Apollo spieghino l’esistenza. La nascita della tragedia è la cosmogonia del mondo. Il singolo individuo deve essere contento di essere un fermento della crescente volontà di vivere. Dato che soltanto il dolore e il contrasto dell’individualizzazione producono la lotta per l’esistenza, lo sviluppo è dunque la negazione del creatore.
I. Chiediamoci a questo punto se sia giusto il confronto tra crescita e fatto.
Il materiale, la legge e il fine che governano lo sviluppo della crescita, che permettono la crescita dal caos al cosmo, non spiegano lo sviluppo. Da dove proviene la volontà che influisce sullo sviluppo? Il pensiero dello sviluppo non fornisce alcuna risposta a questa domanda! Creare non è fare, ma è produrre premesse, visto che il cosmo si sviluppa dal caos grazie alla propria affermazione di potenza. La fede nella creazione ammette dunque il pensiero dello sviluppo e, anzi, lo rende possibile.
II. L’uomo bruttissimo è l’assassino di Dio. Da un lato l’ottimismo è sicuramente falso; ma, dall’altro, è vero; perché non si basa sull’immagine del mondo nello spazio e nel tempo, ma in quella attraverso cui anche Nietzsche amplia la propria immagine del mondo ammirando la meravigliosa visione del super-uomo Zarathustra! E questa visione lo incanta a tal punto che l’uomo bruttissimo grida: Per questa sola ora che mi ha portato Zarathustra vorrò vivere volentieri per l’eternità così come sono. In
Così parlò Zarathustra sta scritto:
Oh voi, amici miei tutti quanti siete – disse quell’uomo bruttissimo – che ve ne sembra? Per amore di questo giorno io, per la prima volta, sono felice d’aver vissuto. E non mi stanco di affermarlo. Vale la pena di vivere sulla terra: un solo giorno, una festa trascorsa con Zarathustra mi ha insegnato ad amare la terra. È dunque questa la vita?, dico e ripeto alla Morte. Ebbene, se è così, ricominciamo! Amici miei, che ve ne sembra? Non volete ripetere anche voi con me: È allora questa la vita? E dunque: per amore di Zarathustra, ricominciamo!15
Da capo: perché Zarathustra è l’ideale; il presente non ci può rinchiudere nei suoi angusti limiti, perché noi pronunciamo una sentenza che va al di là del bene e del male del mondo. Il pessimismo ha ragione nei limiti dell’attuale visione del mondo; ma è Nietzsche stesso che ce ne porta fuori. Quando Nietzsche pone l’ideale di questo mondo al termine dello sviluppo culturale mondano, batte le vie spianate dai profeti dell’antico Israele. Perché anch’essi dissero: «Io creo nuovi cieli e una nuova terra!»
16 Anche Nietzsche si ispira all’ideale biblico del Messia!
III. Bisogna ritenere che la creazione realmente valida sia quella di Dio? Nietzsche ha ragione nel dire: non è il piacere l’ago della bilancia su cui soppesare il mondo; questo succede ai conigli; i forti hanno come ago della bilancia non il piacere, ma la forza; l’ago della bilancia non è l’effemminata quiete interiore, ma la forza della lotta dal caos al cosmo. Ma perché Dio deve avere come ago della bilancia ciò che i conigli ritengono tale? Il nome più antico di Dio si trova accanto al patronimico Elu, cioè il forte, il possente stesso. Yahvé è la vita, la forza e non un rifugio per i conigli.
IV. Dio ha creato l’egoismo, no? Il pensiero della ricompensa ultraterrena è il sangue dei teologi, pensa Nietzsche. Tuttavia questa idea non è il sangue dei teologi, ma un’idea della concezione popolare. Non è lo spirito del pensiero teologico a sostenere che cielo e inferno siano l’egoismo metafisicamente inteso. I teologi e i filosofi sono tutti deterministi e negavano perciò quella che è la concezione popolare della libertà . Il super-uomo appartiene alla libertà in senso popolare e pelagiano, è un essere spontaneamente creativo, un uomo che non si pone sotto il dominio della legge determinante. I teologi sono deterministi: ma il presupposto del principio della libertà di rappresaglia è l’idea della libertà stessa, che pone spontaneamente il proprio atto anche di fronte a Dio. Il nucleo della fede nell’eternità è l’ideale supremo: nella libertà l’uomo possiede una forza iniziale con cui poter sfidare e opporsi all’Altissimo.
V. È insopportabile un Dio onnisciente. È un’idea del tutto corretta questa. Un Dio onnisciente è indiscreto ogni oltre misura, non ci lascia mai soli e caccia sempre il naso dovunque e vede in qualsiasi «nicchia». Solo nell’inosservata quiete può farsi o crescere qualcosa. La miseria non vuole compassione, ma profondo rispetto, che guarda altrove e trascura l’uomo bruttissimo come fa Zarathustra
17 . Secondo Nietzsche, la compassione è il veleno con cui la religione dei sacerdoti guasta il mondo; la sofferenza, la vera sofferenza, esige profondo rispetto e delicata inosservanza: «Io non posso porgere la mano al sofferente, debbo farlo sprofondare sino in fondo nella miseria».
Confutazione: Dio non ci guarda come se fosse uno sconosciuto, un indifferente e quant’altro. Il creatore non è «un altro» per il mondo. Proprio come la poesia è indivisibile del poeta e non è turbata, ma ne è causata dal suo creatore consapevole, così il mondo non è disturbato o ferito come da uno sconosciuto se pensiamo all’onniscienza di Dio su di esso; anzi, essa viene prodotta, composta e così scoperta da Dio non dall’esterno, ma dall’interno.
VI. Dio è la quintessenza di ogni diffamazione della terra, è lo sguardo cattivo sulla terra, e Cristo è colui che, secondo Nietzsche, ebbe più di tutti questo sguardo cattivo. Dio è la vera fuga di fronte alla realtà , alla volontà del nulla.
La volontà di potenza è quella veramente buona, è l’istinto per l’esistenza; ma ciò che le si oppone ed è distrutto dalla riflessione è quella cattiva. Il suo movente più profondo è l’impotenza interiore. In questi casi bisogna che ogni correttivo derivante dalle riflessione dell’ordine ideale delle cose non sia più l’azione rettilinea dell’istinto, ma la riflessione dell’istinto strisciante dal retro.
Tuttavia Nietzsche è unilaterale in questa teoria naturalistica dello sviluppo?
Quando Nietzsche vuole spiegarci ciò che è Dio, risponde in questi termini: Dio è la volontà del nulla, l’impotenza della potenza. Così intende dire che la volontà di potenza è la volontà di sfruttamento dei più deboli? A dire il vero ce lo dice spesso, ma non lo pensa! Per lui la massa condannata alla servitù è solo quella per cui la servitù è la cosa migliore di tutte, ciò che essa stessa desidera. Se noi accettiamo la servitù per le masse, ne accettiamo la parte migliore, perché nella libertà si tratta non di libertà «da», ma di libertà «per», e chi non pensa a questo «per» non è libero. L’ideale di Nietzsche è ciò che produce ed è spiritualmente fecondo.
Come Nietzsche si trasforma effettivamente nell’Anticristo? Lui è l’assassino di Dio ed è sicuramente uno dei critici più fecondi della fede in Dio nel senso della devozione della fede in Dio. Nietzsche stesso lo intuiva. L’uomo più pericoloso insorto contro la fede in Dio, dice, non è chi ha offerto il simbolo più indegno di Dio, ma chi ha detto: Dio è uno spirito e noi lo adoriamo, dobbiamo adorarlo nello spirito e nella verità . « Colui che disse: “Dio è Spirito†fu anche colui che fino ad oggi sulla terra ha fatto il passo e il salto più lungo verso l’ateismo: un detto di questo genere non è facile ripararlo!»
18
Chi accetta il simbolo rafforza la fede in Dio, chi accetta il simbolo nega Dio. Perciò Nietzsche pensa di essere assai più devoto alla fede in Dio rispetto a Gesù di Nazareth. Nietzsche adopera la volontà di potenza nel senso di essere creatore, donatore e confidente. Nietzsche trova che Gesù sia il rappresentante supremo dello spirito e perciò la sua posizione verso di lui non è chiara e onesta. All’inizio della Bibbia, così pensa lui, viene spiegato e rivelato il segreto dell’autentico sacerdozio. Il compilatore ci mostra Dio in Paradiso, cioè nella condizione della quieta beatitudine, che tuttavia è impossibile come condizione e ideale. In Paradiso Dio è annoiato; crea perciò l’uomo e con lui uno spirito indagatore insolente e inquieto. Gli fornisce intimamente l’elemento autenticamente spirituale e l’immagine divina. Così Dio crea, per noia, gli animali come sua compagnia; questa sarebbe stata una seconda mossa sbagliata. Ma non gli basta. Dio crea allora la donna, la più sua grande mossa sbagliata, questo il sacerdote lo sa; ogni male deriva dalla donna, perché è partoriente, generatrice, fertile e vitale. Ma lei odia il sacerdote ascetico così come la scienza del maschio, perché anche in questo caso l’uomo è generatore, creatore e partoriente. Così i sacerdoti hanno annunciato l’astinenza contro la donna e la scienza (Così dice l’Anticristo di Nietzsche).
Sintesi provvisoria: La questione della posizione di Nietzsche verso il cristianesimo ha sortito risposte differenti; per propria consapevolezza in maniera criticamente negativa; ma anche qui bisogna porsi la difficile domanda: la consapevolezza determina l’essere? Il pensiero non è il velo che cela il pensatore dai lati più dolorosi di sé? Il pensiero esprime compiutamente l’esistenza? Nietzsche stesso ammette l’inadeguatezza della formulazione intellettuale
19 .
Sorge la domanda: Nietzsche conosce il sacrificio, visto che riconosce soltanto lo sviluppo? Ma i valori esistono sempre, non hanno bisogno di essere soltanto raggiunti con la rinascita.
Per Nietzsche la fascinazione è la pienezza della vita desiderabile. Nietzsche non sostiene alcuna degradazione della storia. Per la sua valutazione del popolo e della società rispetto all’umanità e all’individuo è indicativo questo passo di Zarathustra:
Da tempo immemorabile i veritieri dimorarono nel deserto, i liberi spiriti, padroni del deserto; nelle città dimorarono invece saggi celebri, ben pasciuti: gli animali da tiro. Sempre essi infatti tirano, come asini, il carretto del popolo! Non che io sia in collera con loro per questo: ma essi rimangono per me servitori e attaccati al carro, anche se brillano di finimenti d’oro. E spesso essi furono buoni ed encomiabili servi. Siccome così parla la virtù: “Se devi essere servo, allora cerca colui al quale il tuo servizio meglio giovi! Lo spirito e la virtù del tuo padrone devono crescere, con ciò che tu sei il suo servo: così tu stesso ti accrescerai insieme al suo spirito e alla sua virtù!†E in realtà , o celebri saggi, o servi del popolo! voi stessi siete cresciuti con lo spirito e la virtù del popolo, e il popolo per mezzo di voi! A vostro onore io dico questo!20
Sintomatico del tono prevalente in Nietzsche è l’alto valore conferito alla personalità di fronte al grandissimo pericolo del monismo moderno, che significa l’annientamento della personalità :
Oh tu, mia volontà ! Tu, svolta di ogni necessità , tu mia necessità ! Salvami da tutte le piccole vittorie! Tu, missione della mia anima che io chiamo Destino! Tu, in me! Tu, sopra di me! Salvami e serbami per un grande destino! E l’ultima tua grandezza, mia volontà , serbatela per la tua ultima impresa, onde tu sia inesorabile nella vittoria! […] Perché io un giorno sia pronto e maturo per il grande meriggio: pronto e maturo come bronzo incandescente, nube gravida di folgore e mammella turgida di latte: pronto per me stesso e per la mia volontà più recondita; un arco cupido della sua freccia, una freccia cupida della sua stella: una stella, pronta e matura nel suo meriggio, incandescente, trafitta, beata dinanzi ai distruttori raggi del sole: un sole essa stessa e una inflessibile volontà solare, pronta a distruggere nella vittoria. Oh volontà , tesa in ogni necessità , tu, mia necessità ! Serbami per una grande vittoria!21
Ma Nietzsche non conosce alcuna fiera compiutezza della persona
22. Egli riconosce una grande funzione all’abnegazione disinteressata: «Dall’amore soltanto deve levarsi in volo il mio disprezzo, il mio uccello ammonitore; ma non dalla palude!»
23 Il suo individualismo non è dunque una forza arbitraria autosufficiente e indipendente, ma la forza del bene, come mostra Zarathustra:
Rivolta: questa è la distinzione dello schiavo. La vostra distinzione sia l’obbedienza! Il vostro stesso comando sia l’obbedienza! A un buon guerriero suona più gradito “tu devi†che “io voglioâ€. E tutto ciò che a voi è caro, voi dovete lasciare che prima ve lo comandino. Il vostro amore alla vita sia amore alla vostra speranza più alta: e la vostra speranza più alta sia il più alto ideale della vita! Ma il vostro più alto ideale voi dovete lasciarvelo comandare da me: esso dice che l’uomo è qualcosa che deve essere superato. Dunque, vivete la vostra vita di obbedienza e di guerra! Che importa una lunga vita? Quale guerriero vuole mai essere risparmiato?24
Zarathustra menziona i motivi per cui Dio è morto:
E recentemente l’ho udito pronunciare queste parole: “Dio è morto; la sua compassione per gli uomini lo ha uccisoâ€. State in guardia dunque contro la compassione: da essa scende sugli uomini una nube pesante! Attenti; io capisco i segni premonitori della tempesta! Ma ricordatevi questa parola: ogni grande amore è sempre superiore alla propria compassione: perché esso vuole altresì creare il prediletto! “Al mio cuore io sacrifico me stesso, e come me il mio prossimoâ€: così va il discorso a tutti i creatori. Ma tutti i creatori sono duri25.
Nietzsche vuole che l’uomo utilizzi radicalmente la propria libera volontà lontano da ogni falsa compassione, per creare l’esistenza del super-uomo. Così dice Zarathustra: «Allora il tramontante benedirà se stesso, perché egli è Colui che passa oltre; e il sole della sua conoscenza starà allo zenit. Tutti gli dèi sono morti, ora vogliamo che viva il super-uomo: questo sia nel grande meriggio il nostro ultimo volere!»
26 Zarathustra aggiunge questo:
E come potrei sopportare di essere uomo, se l’uomo non fosse anche poeta e risolutore di enigmi e redentore del caso! Redimere i trapassati e trasformare ogni “fu†in un “così volli!â€: questo sarebbe per me redenzione! Volontà – così si chiama il liberatore e l’apportatore di felicità : così io vi ho insegnato, oh amici miei! Ma ora imparate questo in più: la volontà stessa è un prigioniero. “Volere libera: ma come si chiama ciò che mette in catene anche il liberatore?†“Fuâ€: così si chiama l’arrotar dei denti del volere e la più solitaria angoscia. Impotente contro ciò che è un fatto, cattivo spettatore di tutto il passato. La volontà non può tornare indietro; il fatto che essa non possa infrangere il tempo e i desideri del tempo: questa è la più solitaria afflizione della volontà . Volere libera: ma che cosa inventerà la volontà , per liberarsi dalla sua afflizione e farsi gioco del suo carcere?27
Conclude in questi termini:
“Oh voi Uomini Superioriâ€, sembra dire ammiccando, la plebe “non esistono gli Uomini Superiori, noi siamo tutti uguali, l’uomo è uomo; davanti a Dio, siamo tutti uguali!†[…] Davanti a Dio! Ma ora questo Dio è morto! Oh Uomini Superiori, quel Dio era il vostro più grande Pericolo. Solo ora, che ormai giace nel sepolcro, siete di nuovo resuscitati. Ora soltanto giunge il grande mezzogiorno, ora soltanto l’Uomo Superiore diviene padrone! Comprendete queste parole, fratelli miei? Voi siete spaventati: i vostri cuori vanno soggetti a vertigini? Vi si spalanca l’abisso? Vi abbaia addosso il cane infernale? Orsù, dunque, Uomini Superiori! Soltanto ora la montagna partorisce, l’avvenire dell’uomo. Dio è morto: vogliamo, ormai, che viva il Super-uomo28.
Ma la posizione di Nietzsche verso Cristo e la fede in Dio non è del tutto chiara. Pur respingendoli nella forma tramandata («anti divina» – eteronoma) nel senso di affermazione dell’autonomia del pensiero e della volontà umana kantiana relativamente autorizzata, non riesce mai a liberarsene del tutto, come indicano le espressioni accusatorie dell’illusionista di fronte a Dio in Zarathustra:
Vuoi tu lì dentro,
nel fondo del mio cuore
discendere, e laggiù, nei più segreti
pensieri penetrare?
Tu, spudorato! sconosciuto! ladro!
Che vuoi tu trafugare?
Che vuoi tu qui ascoltare?
Che vuoi tu tormentare,
tormentatore mio,
tu, carnefice-Iddio?
O debbo io, pari al cane,
rotolarmi a te innanzi?
Ebbro, fuori di me,
scodinzolarti amore?
Invano! Colpisci ancora,
orrendo pungiglione!
Non un cane; tua selvaggina io sono,
crudele cacciatore!
Tuo prigione più altero,
oh predone che stai
dietro le nubi!
Parla! Che vuoi tu, grassatore, mai da me?
Tu nei fulmini avvolto! Ignoto! Parla:
che vuoi qui mai, tu, sconosciuto Iddio?
Come? Un riscatto?
Che vuoi tu per riscatto?
Pretendi molto - questo ti consiglia il mio orgoglio -
e parla breve, ancora!
Ah, ah! Vuoi tu Me?
Me, tutto me?
Ah, ah!
E mi torturi, folle che tu sei,
martirizzi il mio orgoglio?
DÃ amore a me; chi ancora mi riscalda?
Chi m’ama ancora? Dammi calde mani!
Dammi bracieri al cuore,
dona a me, solitario,
a cui anche il ghiaccio, un settemplice ghiaccio,
insegna già ad amare,
ad amare persino i suoi nemici,
dona, sì, dona,
terribile nemico, te a me!
Via dunque!
È fuggito anche lui,
il mio ultimo e solo mio compagno,
il mio grande nemico,
lo sconosciuto mio
carnefice-Iddio!
No! Torna indietro,
con tutti i tuoi martirî!
All’ultimo eremita
ritorna tu ancora!
Tutti i torrenti del mio pianto corrono
a fiotti verso te!
E l’ultima fiammata del mio cuore
fiammeggia per te!
Oh, torna ancora,
mio sconosciuto Iddio! Mio dolore! Ultima mia felicità !29
Nel suo sforzo di volere l’affermazione dell’autonomia del pensiero e della volontà umana, di voler oscurare, cioè spegnere la luce della fede in Cristo e in Dio accendendo la fiamma più luminosa dell’Io sovrumano, Nietzsche – nolente o volente – deve confessare a se stesso che questo comporta il rischio dell’auto-incenerimento dell’Io del super-uomo, come indica questa sentenza citata inizialmente: «Sì, so da dove vengo, ardo e mi consumo insaziato come la fiamma. Luce è tutto ciò che contengo. Carbone tutto ciò che lascio. Fiamma sono di sicuro»
30. Zarathustra volle trasportare a valle il suo fuoco; ma dovette trasportare la sua cenere in montagna
31.
II.
Nietzsche è l’Anticristo?
Nietzsche è l’Anticristo? Porre la domanda in questi termini significa risolverla in senso affermativo stante la consapevolezza dei più. Se c’è uno scrittore moderno ostile al cristianesimo e noto all’opinione pubblica, questo è sicuramente Friedrich Nietzsche. Questa concezione si impone formalmente leggendo Nietzsche. Lui stesso ritiene di essere l’Anticristo; il modo in cui si pone di fronte al mondo morale e religioso è, di primo acchito, così radicalmente diverso dalle idee fondamentali cristiane che una domanda intorno alla posizione di Nietzsche verso il cristianesimo deve inizialmente attendersi una risposta categoricamente negativa.
Ne consegue che Nietzsche ha compiuto anche spiritualmente l’opera dell’Anticristo. Nella sua figura si sintetizzava buona parte della protesta agitata e appassionata contro il cristianesimo. Così, suppergiù, tutto ciò che nella letteratura tedesca moderna desidera una vita prodotta da una sensibilità immediata (che si è smarrita nel cristianesimo), tutto ciò che alimenta la nostalgia per le fonti della vita si trova sotto il segno, se non sotto il nome di Nietzsche.
Tuttavia, a chiarimento della nostra interrogazione, non è significativo il fatto che si schierino con Nietzsche ampi settori tutt’altro che interessati a un pensiero serio e intimamente concepito e a una lotta per il problema della vita: Dove non starebbero coloro che trasformano in una raffinatezza esteticamente scherzosa le lotte ardenti e dolorose intorno a Dio e alla loro anima? E chi ignora che molti di questi attori dello spirito si schierano con Nietzsche?
Vogliamo sicuramente esser liberi di far nostra la loro interpretazione di Nietzsche. Quando avrebbero il diritto di udire gli spiriti di tutto il mondo che si limitano alle opinioni di rilievo di tutte le cose, se si tratta della comprensione compassionevole di un combattente che lottava così intimamente e violentemente come Nietzsche.
Tuttavia, a parte questi settori, è molto più importante che Nietzsche sia ritenuto irrimediabilmente agli antipodi da alcuni pensatori seri o credenti a contatto intimo con la vita spirituale più conflittuale e con il bene cristiano della vita e del pensiero. Questa parte l’ha onorato di annoverarlo tra gli oppositori più violenti del cristianesimo. Sì, crediamo di dover risalire indietro nel tempo sino a Celso, al più grande avversario di Origene, per trovare una critica altrettanto violenta e sconvolgente dei valori cristiani.
Bisogna innanzitutto osservare che, in tal senso, Nietzsche ci pare essenzialmente sopravvalutato. Questo perché la sostanza del suo pensiero da lui difesa (la ricchezza dello spirito oggettivo) non è così inoffensiva da mettere in ombra tutto il resto intorno a sé. Un serio conoscitore di Nietzsche osservava perfino che, al di là del pensiero del super-uomo e dell’eterno ritorno dell’eguale, non vi fosse alcun pensiero peculiare di Nietzsche.
Infatti la speculazione tedesca ha intrapreso violente battaglie contro le tesi del cristianesimo, che Nietzsche conosceva soltanto superficialmente, ha scatenato energie più proficue e persistenti contro il cristianesimo di quanto fosse possibile a Nietzsche.
Chi conosce Schopenhauer o Eduard von Hartmann sa che questi pensatori, con tutte le differenze del caso, sono i più violenti combattenti del pensiero cristiano, proprio perché cercano uno sradicamento metafisico di tutto lo spirito cristiano. Di fronte a loro Nietzsche può apparire soltanto come un elegante fiorettista che ha influito soprattutto sulla critica artistica e letteraria, visto che può inoltrarsi in quei settori da cui si discende in pozzi dove vengono distrutte le possenti pietre granitiche delle idee volte alla costruzione spirituale del mondo.
E, di certo, anche noi abbiamo un grosso problema. Anche se scontiamo il debito della sua affascinante arte linguistica; anche se prescindiamo dal meraviglioso smalto dorato della parola; dietro a tutta la veste linguistica superba ed elegante si trova una personalità riflessiva così ricca e imponente, un soggetto che arde così appassionatamente di vita spirituale che non può esserci indifferente il modo in cui quest’uomo affronta con tutte le sue forze più profonde il pensiero cristiano.
Ho già espresso l’unica espressione che, a mio giudizio, può chiarirci questo problema: come mai Nietzsche affronta il cristianesimo con tutte le sue forze più profonde e con tutte le sue tendenze vitali effettivamente determinanti? Se ci chiedessimo come Nietzsche affronti il cristianesimo con tutte le sue convinzioni coscienti e i suoi pensieri espressi, non otterremmo il vero Nietzsche e porremmo la domanda a livello di banali brusii. (In realtà , questo metodo crea amici e nemici del suo pensiero, ma impedisce la comprensione interiore della sua personalità , cioè della parte veramente centrale e decisiva nell’
opera vitale e
intellettuale di un filosofo).
Concentriamoci su Nietzsche, dato che esiste un apriori dello spirito che è la parte veramente decisiva e puramente spirituale del nostro pensiero, ma che può restare incompresa al pensatore stesso.
Quindi non esiste soltanto un apriori nel senso gnoseologico del termine, ma anche in quello psicologico, cioè delle forze fondamentali e delle manifestazioni vitali pulsionali. Un esempio: La corrente elettrica è qualcosa di diverso dalla scintilla elettrica che si accende.
Questa è sicuramente l’elemento centrale e imperituro del volontarismo dominante nel nostro mondo filosofico, dato che ci indica energicamente il fatto che le formulazioni logiche fornite da un pensatore ai suoi contenuti spirituali, di per se stesse, separate dall’atmosfera generale delineata nelle forme logiche, forniscono alla verità spirituale un’immagine del filosofo insufficiente e di certo superficiale.
Oggi è sicuramente insorta l’antica e fatale domanda umana: l’essere coincide col pensiero? Il pensiero formulato raggiunge gli ultimi abissi dell’essere oppure il pensiero, l’immagine del pensiero formulato è soltanto la sublimazione più esteriore del processo spirituale fondamentale, indica soltanto l’ombra più modellata che getta sull’orizzonte della vita il sole ardente nell’intimo dell’anima alla ricerca della verità ?
Il sole orientale, che illumina gli antichi saggi indiani nel corso della vita, irradia il suo ultimo raggio anche su di noi in Occidente, dove tutte le cose ottengono una nuova misura, una nuova prospettiva e la quiete serale di un pensiero, che rappacifica interiormente le cose una con l’altra.
Quindi gli antichi pensatori indiani hanno già trovato la soluzione per padroneggiare la confusa molteplicità del pensiero. Hanno concepito la verità come principio, non come risultato. Ci hanno insistentemente insegnato che l’aspetto decisivo della figura spirituale di un pensatore non consiste nella riserva di convinzioni formulate, nel contenuto delle figure ideali coscienti, ma nei punti di vista alla base di tutto, con cui l’uomo si accinge a compiere spiritualmente il mondo. Splende dunque sulla vita spirituale occidentale ancora un flebile chiarore di quel sole crepuscolare orientale, un chiarore che, come la luce crepuscolare, concilia interiormente l’un l’altra le cose nella loro unione appassionata.
Nietzsche rifiuta ovviamente il dogma cristiano, scorgendovi così poca verità , visto che non fa più valere il senso allegorico schopenhaueriano per la verità del cristianesimo. Ma così facendo Nietzsche non si è allontanato definitivamente dal dogma. Perché i dogmi non sono la logizzazione, la lavorazione mentale dell’esperienza religiosamente umana anche al di fuori della forma in cui si crea la saggezza sovrannaturale? In essi non vive il sangue dell’anima, il nucleo della personalità religiosa proprio mentre si eleva oltre la vetta del concetto? Ciò che la vita religiosa possiede nel pensiero immediato, nelle forze raggiungibili, nel fuoco centrale che arde interiormente, sopravvivere completamente nel dogma, si eleva unicamente nel reame splendente del concetto a partire dall’impulso alla vita, dalla lotta e dagli aneliti degli impulsi nostalgici, non distolto dalla realtà religiosa vivente, ma quale suo chiaro rispecchiamento nella corrente spirituale della vita.
Quindi può darsi che Nietzsche, che disprezza il dogma formulato concettualmente, combatta religiosamente partendo dalle stesse forze e con gli stessi mezzi da cui anche il dogma era prodotto.
Perciò un’acquisizione sotterranea e nascosta all’abituale considerazione ci porta agli ultimi oscuri precipizi e alle forze principali di un pensatore. Bisogna riconoscere il lavoro intellettuale di Nietzsche alla luce di queste ultime conoscenze.
Naturalmente è impossibile analizzare in una breve discussione sino nei particolari il modo in cui Nietzsche affronta il cristianesimo. Dobbiamo perciò accontentarci di orientare la nostra indagine verso alcuni importanti aspetti.
Per una migliore visione d’insieme del lavoro vitale di Nietzsche rivolgiamo la nostra analisi alla questione etica e metafisica nietzscheana circa l’autosufficienza etica della personalità .
I. L’autosufficienza etica della personalità :
Quando un insigne studioso (Friendrich Naumann) ci ha descritto il cristianesimo di Nietzsche e le forze missionarie viventi in lui, ci ha insegnato a considerare l’assistenza fraterna come la forza basilare della vita cristiana originaria, che unisce i membri della comunità . Così si esprime sicuramente un carattere fondamentale dell’Io cristiano. Questo fu indubbiamente il passo decisivo oltre la Stoà ; la fondazione dell’Io nel nuovo cristianesimo. Se per la Stoà l’Io era la forza basilare più profonda che si ritirava dal mondo, dalla sua cupidigia e avidità , per il pensiero cristiano la personalità , l’Io non era la forza della raffinata e apatica separazione dal mondo e dal suo destino, ma la forza vitale che spezzava l’orgogliosa riservatezza dello spirito per unirsi al prossimo con le forze dell’amore.
Se nella Stoà la salvezza dell’anima era salvaguardata dall’inflessibile affermazione di sé, dal risoluto individualismo, il Cristo ottiene la salvezza del proprio sé nella totale dedizione, nel dono al servizio dell’Io altrui. Il motto di Cristo «Chi perde la propria anima finirà per ottenerla» è stato il motivo basilare della vittoria della fede cristiana.
Chiediamoci di fronte a tutto questo come Nietzsche affronti il pensiero della personalità , dove trovi il suo sé? Rivive in lui l’eredità della Stoà oppure festeggia la propria rinascita il pensiero cristiano della personalità colma d’amore?
Nella filosofia moderna Nietzsche può essere considerato, accanto a Stirner, come il più risoluto individualista. La sua parola d’ordine dal molto ai molti, il suo disprezzo per la gentaglia, lo spregio per i miserabili sono alcuni dei suoi tratti distintivi. E accanto ai provocanti e bruschi aforismi, in cui il sé s’impone come assoluto sovrano dell’Io, riecheggia in Nietzsche un altro ragionamento altrettanto caustico. Specialmente in Zarathustra, dove Nietzsche ci ha fornito i propri motti più personali.
Qui, in particolare, il brusco e duro essere se stesso è qualcosa di diverso dall’assoluta volontà del bene supremo. Qui la personalità si afferma in sé non come l’unica forza basilare elementare del mondo, ma è immersa nella difesa e nella rappresentanza del bene, dei valori supremi. (Nietzsche c’insegna l’auto-superamento? Zarathustra porterà il suo fuoco a valle, ma deve portare le sue ceneri in montagna).
Possiamo meravigliarci se un uomo spiritualmente così combattivo come Nietzsche conosca l’altra faccia del senso dell’Io? Di certo il compito che ci siamo prefissi è la conciliazione dell’Io con il mondo, del soggetto con l’oggetto. E, possiamo chiederci, in quale personalità la lotta si è risolta?
Dobbiamo osservare che qualunque persona mostra una doppia faccia del proprio Io, una che vuole seccamente affermarsi, e un’altra rivolta ai compiti e agli obiettivi che l’Io potrebbe creare a misura del suo spirito oggettivo. Nel primo caso riprende vigore l’etica greca della Stoà e l’uomo viene divorato dalle potenze del mondo; nel secondo, che sembra proprio essere il caso di Nietzsche, il regno dei beni e dei fini è sacrificato a favore del soggetto assoluto, che si affermerà a ogni prezzo.
Possiamo meravigliarci del fatto che lo spirito colpito dall’appassionata bramosia di risolvere questo contrasto trovi la più secca affermazione di sé nelle parole di Nietzsche. Parole in cui sembra giustificarsi il fatto che l’Io frantumi tutti gli ordini e tutte le misure, e altre ancora in cui l’uomo è considerato solo come un ponte, un utensile, privo di valore dell’Io.
Sarà sempre così: dove si combatte questa battaglia con appassionata energia, anche il linguaggio parlato reca con sé un che di questa forza impulsiva; nella sua miseria l’Io coglie con forza e conseguenza inaudite un punto di vista e rimpiazza la scarsa legittimità di questo punto di vista unilaterale con la bruschezza dell’affermazione.
Si tratta soltanto del punto più alto, dell’altezza solare nella nostra vita; delle ore in cui l’uomo trova la sintesi superiore tra Io e mondo. Non può essere ritenuta una condizione duratura, ma come ogni dovere va conseguito continuamente.
Anche Nietzsche conosce la quiete finale e superiore della sintesi spirituale, il luogo in cui si calma anche lo spirito turbato dai doveri e dai segreti. («Certo che in me è un lago, solitario, contento di sé; ma il mio torrente d'amore trascina anche lui verso il mare!»)
32.
Il mondo non è proprio perfetto. Nietzsche trova negli istanti una sintesi che può essere chiamata la parola essenzialmente cristiana. Essa obbliga a sé tutte le cose che si sprigionano abbondantemente dalla fonte del suo amore. E lui chiama chiara e sacra tale ricerca di sé che esige la pienezza del mondo, non per scialacquarsi nello sterile godimento, ma per esalare intriso del suo sangue nella virtù donatrice. La soluzione dell’antinomia tra soggetto e oggetto, che Nietzsche trova in questa sintesi, appare indubbiamente non come una trasvalutazione dei vecchi valori, ma come una loro conferma e validità .
II. L’autosufficienza gnoseologica della personalità :
Interiormente affine col problema appena analizzato, generalmente una sua specificazione è la domanda del modo in cui Nietzsche affronta la verità , il regno del pensiero della saggezza oggettiva?
Anche in questo caso la posizione di Nietzsche è variabile. La letteratura nietzscheana testimonia un periodo intellettuale molteplice; ma si accetta generalmente il fatto che Nietzsche non si sia mai seriamente distanziato dal pensiero contenuto nell’audace motto: «Niente è vero, tutto è permesso».
Ma anche nella sua posizione verso la verità oggettiva bisogna ammettere che Nietzsche è un problema, e con i problemi bisogna lottare spiritualmente; essi chiariscono senza esitazione la loro forza estrema. Il modo in cui Nietzsche affronta la verità oggettiva sembra unire lo spirito alle eterne e inalienabili verità , oppure la verità è in lui semplicemente l’esito del suo proprio pensiero autoritario, un gioco del suo umore soggettivo. Appare del tutto inutile difendere la posizione di Nietzsche verso l’appunto di scetticismo eccessivo o di soggettivismo: sarebbe inutile soprattutto perché Nietzsche si sarebbe lui stesso difeso in maniera decisa dall’essere integrato nello spirito oggettivo, nel modo di essere vicino alle idee platoniche.
E Nietzsche non è certamente un sofista, che tende a fare della verità il risultato e l’esito della singola personalità pensante. In realtà , sottolinea con forza il carattere soggettivo di ogni verità . Ma bisogna riservare a un’analisi più approfondita il fatto se lui tenda a riconoscere un elemento oggettivo nella formazione della conoscenza. Vogliamo cercare di aprirci un varco nella comprensione.
Nietzsche ha detto una volta: Se ci fossero degli dèi, come sopporterei di non essere Dio. Egli temeva che la volontà creatrice non avesse più spazio vicino a Dio; perciò lotta contro Dio. Anche questo timore di Nietzsche è del tutto inesatto; ma si spiega col tentativo di negare Dio.
A causa di un simile e infondato timore scorgiamo la confusione nietzscheana di fronte alla verità . Nel capitolo del saggio osservante Zarathustra, l’uomo appare come un mostro, un tormento, perché può essere soltanto spettatore di fronte al regno oggettivo della verità . Egli ravvisa l’ideale dello spirito non nel rispecchiamento passivo delle immagini ideali divine, ma nella lotta per la verità afferrata vitalmente.
Nietzsche non può immaginarsi che si possa condividere la verità oggettiva per altre vie come quella dell’accoglienza passiva, eliminando ogni attività propria. Ma poiché ama la lotta per la verità e la tragedia dei testimoni della verità , finisce per decretare: Nulla è vero in senso oggettivo. Esamina da vicino il timore delle potenze dell’individuazione della verità non spirituale, che Nietzsche può concepire con sospetto di fronte al regno delle idee.
Nietzsche ammette che l’impossessamento della verità sia solo spirituale, che sia l’esito dalla semplice propria attività dello spirito. Sono belle e affascinanti parole quelle che Nietzsche sa coniare parlando del tormento della ricerca della verità , un tormento che considera un timore regale dello spirito: Parole come «alle proprie sorgenti essa [la vita] accresce la sua saggezza», oppure «Voi conoscete solo le faville dello spirito: ma non vedete l’incudine, che esso è, e la crudeltà del suo martello!»
33, sono sprigionate dal profondo di una vita che ha un legame interiore con una vita spirituale molto tesa. Nietzsche è così ingiusto a escludere una potente vita spirituale interiore in presenza della verità oggettiva, a escludere qualsiasi sforzo conoscitivo che attraversi tutti gli ardori del desiderio questuante, ma svela tuttavia il motivo decisivo del suo scetticismo. «Dov’è la bellezza? Là dove io debbo volere con tutta la forza della volontà ; là dove io voglio amare e consumarmi, affinché un'immagine non resti solo immagine»
34.
Ma per sua intima essenza Nietzsche non era un sofista. Ripetiamolo: L’aspetto peculiare del sofista, quanto meno del tipo tramandatoci dalla filosofia greca, è quello di consegnare ogni verità e valore al pensiero individuale, in modo da non potersi più parlare di bene oggettivo o di verità oggettiva, di responsabilità e di fedeltà . Questo pericolo corso da Nietzsche per lungo tempo fu superato scrivendo Zarathustra.
Possiamo pensare ai super-uomini come vogliamo; è oggetto di discussione se nella sua figura prevalgano i tratti naturalistici o quelli spirituali. I primi ce li fornisce sicuramente la filosofia di Nietzsche, che definiamo criterio oggettivo delle idee! Simmel ha visto giusto in questo caso quando dice: «L’essenza della sofistica è quella di scambiare il senso oggettivo e il valore del fare e dell’essere con il suo valore soggettivo; al contrario, per Nietzsche, il soggetto ha solo un significato se è oggettivamente abbruttito!»
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III. Come si redime l’uomo?
L’unica redenzione disponibile all’uomo è, per Nietzsche, il super-uomo. Dobbiamo essere chiari sul ruolo assunto dall’ideale del super-uomo nella sua etica. Si tratta effettivamente dell’obiettivo, dell’intenzione finale, è il senso dell’avvenimento della vita umana. Il super-uomo occupa nell’etica nietzscheana il ruolo di Dio in quella cattolica, aspetto che accade generalmente a ogni etica che riconosca un fine, un obiettivo, una griglia valoriale suprema.
È di fondamentale importanza il fatto che il super-uomo nietzscheano sia ottenibile attraverso l’energia. Si tratta sicuramente di un caso fortuito per l’umanità , ma di un caso fortuito per cui esiste una via da intraprendere. E nessun’altra via conduce a questo supremo obiettivo mondano come la ricerca scottante e faticosa. Questo ideale mobilita tutte le forze dell’uomo, le sue energie migliori sono chiamate in causa, tutta la sua vita è dedicata a questo dovere.
Se prescindiamo dalla mondanità dei fini etici, per Nietzsche si sfugge massimamente al modo in cui questa griglia valoriale superiore affronta il cristianesimo in base al sentimento vitale che lo spinge all’espressione.
Abbiamo visto come avvenga la redenzione nel monismo idealistico, quale via riconosca il monismo al regno di Dio. Dai Vedanta a Spinoza e Nietzsche, attraverso Plotino, si tratta della via dello smascheramento intellettuale delle illusioni. L’uomo giunge alla quiete, all’Uno-Unico attendendo nella contemplazione interiore lo schiudersi in lui della conoscenza salvifica. Per questo non c’è alcuna via, alcun lavoro, non contano le energie profuse, ma solo un’attesa quietistica, una prontezza nel cogliere il momento giusto.
A questo riguardo l’etica di Nietzsche è intrinsecamente affine al senso della vita cristiano. La vita è ottenuta solo sul carro di battaglia, è una disputa, una militanza, una sfida all’ultimo sangue, un eroismo, un’azione che esige e richiede la vita. Qui risuona tutta la violenza verbale dello spirito di Nietzsche, qui ha riscosso la simpatia soprattutto della gioventù, che spera nel futuro, che foggerà la sua vita e la vita nel mondo attraverso la forza gioiosa e diretta.
A prima vista, l’ideale mondano del super-uomo e il regno di Dio trascendente, come insegna il cristianesimo, sembrano non aver nulla in comune e di certo, con tutte le differenze d’orientamento concettuale, in entrambe le forme l’ideale collettivo della volontà attiva e dell’amore dell’anima spinge soprattutto verso ciò che eleva la vita e stimola l’energia.
Forse qui affrontiamo meglio un problema intorno al quale Nietzsche si dibatte e che ha valorizzato in modo affascinante grazie alla magia della sua forza linguistica, dato che il suo modo di porsi ha esercitato profondi influssi su ambiti che altrimenti sarebbero rimasti distanti dal suo pensiero. Chiediamoci come l’uomo ottenga la sua anima. Dalla solitudine della meditazione estranea al mondo o nell’ingranaggio della vita sibilante? (A questo proposito: valgono in sé e sono assolutamente vincolanti per l’Io solitario e per l’individuo il mondo e il suo modo di valutazione, il suo ideale, il suo lavoro?). Nietzsche elogia la solitudine dello spirito, il mondo colmo di pensiero, distante dalle vie maestre.
Se noi esistiamo per inquadrarci assolutamente nella società e nella vita, le forze della nostra anima maturano in modo più tranquillo e indisturbato nella comunità o nella solitudine? La società e il suo dovere, il suo lavoro, la sua anima sono un’esigenza della nostra essenza più profonda oppure dell’aspirazione in cui l’individuo represso deve sacrificare tutta la sua parte migliore e più sacra?
È una domanda che può tenere col fiato sospeso la vita, cui, per quanto vedo, si affezionano le migliori lotte degli spiriti più nobili, a partire dal brahmanismo dell’India antica, attraverso tutte le filosofie e le religioni, sino al modo in cui oggi opera a suo modo il tranquillo novizio o la vivace beatitudine culturale.
Nietzsche può essere ritenuto il più brillante interprete moderno della visione secondo cui la redenzione alberghi nella più profonda solitudine, nella ritirata dal mondo del proprio Io. Riecheggia un rumore dalla profondità dall’animo più vivace su parole nietzscheane come solitudine: «Tu solitudine, mia patria!!»
36, e lui godette di 10 anni di solitudine senza mai stancarsene. Qui Nietzsche è diventato l’araldo di altri settori che, stanchi degli sconcertanti doveri esteriori, riflettono sul fatto che un dovere che reprime la personalità sia una servitù, visto che un lavoro che mina l’anima è nemico della vita.
Se prescindiamo dalle precipitose e malsane svolte, dagli aforismi taglienti che frantumano tutti i valori esteriori e consideriamo soltanto l’auto-potenziamento dell’Io, ricaviamo un tratto inconfondibilmente sano nel carattere di Nietzsche. Così anche una parte seria dello spirito tedesco ritrova le fonti più profonde di ogni dovere, del lavoro e dell’approfondimento del proprio Io.
A suo modo, Nietzsche ha richiamato energicamente l’attenzione del cristianesimo sul fatto che tutti i valori esteriori non sono nulla se si accende la lotta per la salvezza dell’anima. Il motto «cosa serve all’uomo che ha ottenuto tutto il mondo, se l’ombra afferra la sua anima» si trova alle origini del cristianesimo, all’inizio della sua carriera, alla calunnia dell’Impero romano, visto che anche oggi fornisce la più sacra espressione di libertà contro tutti i tentativi di sottomettere l’anima operati dai beni esteriori della cultura, dello Stato, della civiltà e della religione.
Resta sempre valido ciò che ha detto Grillparzer: «L’uomo è solo unicamente nella morte, ma si lega in vita e nella ricerca». Ma – e questo oppone energicamente Nietzsche alla sua epoca: L’opera esteriore ha valore soltanto quando è accolta in lui come spirito personale e come vita personale. Qui taglia i ponti con la speculazione idealistica tedesca, di cui Nietzsche è interprete, in direzione delle più profonde posizioni ideali del cristianesimo.
La cifra fondamentale del pensiero di Nietzsche è la personalità . I valori più importanti sono di tipo personale. La tesi del suo super-uomo è fondamentalmente nient’altro che un tentativo di valorizzare i valori personali di fronte ad altri valori materiali e di contenuto. In questo senso della vita si trova assolutamente nella direzione che ha fondato il cristianesimo e su cui Kant ha lottato a suo modo.
Se ho visto giusto, è soprattutto quest’aspetto di Nietzsche, questa volontà di essere se stessi che ha fatto breccia in larga parte della vita spirituale tedesca. Può derivarne molta oscurità , molta slealtà , molto arbitrio e capriccio in questa valutazione della personalità . Dobbiamo tuttavia riconoscere con assoluta fermezza che Nietzsche stabilisce quasi sempre il valore delle persone in base al contenuto spirituale, e non tutti gli Io tronfi parlano profondamente. Il monismo si confronta col senso della vita cristiano in maniera assai più dura e ostile rispetto a Nietzsche.
Se potessimo essere sicuri che dall’impulso della personalità nietzscheano venisse rafforzato non il senso dell’Io inesauribile e naturale, ma venisse rinvigorito l’Io spirituale, Nietzsche sarebbe un potente alleato cristiano nella lotta contro la dissoluzione monistica e l’asservimento dell’Io.
Ho detto poc’anzi: Nietzsche stesso considera la forza basilare dell’Io non l’autocoscienza di una vuota armonia, ma calcola il valore dell’Io in base ai fini che persegue. Debbo confrontarmi con una dichiarazione fatta da Nietzsche annunciando un’etica libertinistica, in cui l’Io enormemente folle costruisce e fracassa i mondi.
Questa è un’interpretazione erronea misurata all’apice della creazione nietzscheana. Possiamo tuttavia accostare sino alla noia gli aforismi in cui Nietzsche degrada l’autodisciplina e l’ascesi. Ma in questo modo – che, a prima vista, sembra essere il caso – non chiariamo la traiettoria verso il senso della vita libertinistico.
Nietzsche stesso venera la vita come proprio supremo ideale, il suo amore più caldo e appassionato è diretto non alla considerazione del mondo calma e meditativa che riflette su di sé la ricchezza del mondo con appassionata soggezione priva di tutte le cose e delle creature, come accade a Spinoza o ai mistici cristiani, ma all’impulso gioiosamente attivo e impetuoso verso il futuro. (Non aver chiuso un’esperienza è già un segno di decadenza per Nietzsche)
37. Tuttavia lui venera sicuramente la volontà di vivere schopenhaueriana, l’irrequieto e impulsivo impeto verso nuove forme, ma solo con altro contenuto. («Per placare le sue ossessioni deve annientarle o crocifiggerle»)
38.
Nietzsche agisce dunque come molti altri pensatori moderni che attendono di chiarire e comprendere la volontà di vivere morale non attraverso l’energia distolta dai sensi e quella repressiva dell’ascesi, il taglio e la distruzione dello spirito maligno. Nietzsche spera invece che nel viaggio burrascoso verso mète più lontane e superiori svanisca ogni vile egoismo dai supplici della ruota della vita come il fango dalle ruote del carro, che l’ardente impulso verso la vita verace consumi ogni disordine senza bisogno d’energia.
Per ottenere un’adeguata valutazione di Nietzsche sul tema, dobbiamo necessariamente attenerci al fatto che il carattere fondamentale spirituale dell’uomo dotato di un’etica profonda sia essenzialmente duplice. Da un lato egli taglia e brucia intorno al nostro Io per creare spazio alla nuova vita; dall’altro, cattura nuova vita e si aspetta che questa venga completamente bruciata e purificata nella tempesta della volontà rivolta in avanti. Ci saranno sempre uomini che chiederanno al Padre Nostro: «Perdonaci» piuttosto che «venga il tuo regno». Ma chi non può schiacciare la vita etica in una sistematicità ignara della vita, può scegliere quale sia la condotta realmente morale. Io penso che non poniamo la domanda già in partenza.
Nietzsche avverte a proprio modo profondamente il fatto che la realtà effettiva priva dello spirito pensante è un torso, un frammento incomprensibile. Perciò esalta l’Io, perché è l’unica garanzia che la realtà effettiva non resti un frammento, ma si elevi nella sfera spirituale. Non è inesatto dire: Nietzsche vuole che il pensiero, la sfera spirituale domini l’esistenza materiale; la ragione della volontà creatrice del mondo dev’essere anche la forza che domina questo mondo. Perciò lui dice che l’uomo, l’Io deve creare la verità , deve imprimere il proprio senso sul mondo, non perché faccia della verità un gioco scettico, ma perché non vede nient’altro al mondo come il pensiero dominante sulla materia, dove ci sia l’appiglio, il punto di partenza spirituale da cui foggiare il mondo. Con Zarathustra Nietzsche riesce a centralizzare le forze creatrici di valore, perché non crede in una ragione creatrice dell’esistente nell’al di là e indipendentemente dalla vita spirituale umana.
Riscontriamo in Nietzsche un pensiero affine al teismo cristiano laddove ci chiediamo:
Come Nietzsche insignorisce il mondo? Come domina il destino, come dispone il soggetto di fronte all’avvenimento oggettivo? Si tratta soprattutto del regno della verità che lo circonda, la cui anima celata deve essere fatta risonare, oppure di un regno dell’irrazionale, della realtà sposa dello spirito o sua acerrima nemica?
(Dobbiamo tuttavia sempre tenere a mente che i tentativi nietzscheani di sicuro superamento spirituale del mondo sono quelli di un ricercatore).
La dottrina di Nietzsche è normalmente presentata come se lui, quand’anche abbia dato nuovo contenuto alla metafisica della volontà di Schopenhauer, non l’abbia mai effettivamente superata. Schopenhauer poneva a fondamento del mondo l’impulso cieco della volontà , che, essendo lui proprio volontà , deve restare necessariamente una potenza universale cieca e irredenta. Il filosofo si irrigidisce su questo punto e non trova alcuna via d’uscita se non il riconoscimento della volontà , finché non la redime e non l’acquieta l’illusione artistica.
Nietzsche si attiene al lato volitivo del mondo, ma non si lascia impressionare sino nelle più recondite profondità dalla dolorosa conoscenza come succede a Schopenhauer. Non vuole sfuggire al dolore del mondo, ma conferirgli un senso e uno scopo! (Ed è per questo che afferma il dolore, ama e abbraccia con ardente amore il
mysterium magnum della vita: questa è la via al super-uomo).
NOTE
* Si tratta della rielaborazione del nostro intervento intitolato
Nietzsche e il modernismo cattolico nella Germania di fine Ottocento (La figura di Hermann Schell), tenuto al convegno SISSCO di Marsala (TP) nel settembre 2007.
^
1 Cfr. O. Weiß,
Der Modernismus in Deutschland. E Beitrag zur Theologiegeschichte, mit einem Geleitwort von Heinrich Fries, Regensburg, Pustet, 1995, pp. 134 ss.
^
2 Cfr. S. Jacini
Il pensiero di Hermann Schell, «Il Rinnovamento», 1 (1907), pp. 166-182; N. Trippen,
Theologie und Lehramt im Konflikt. Die kirchlichen Maßnahmen gegen den Modernismus im Jahre 1907 und ihre Auswirkungen in Deutschland, Freiburg im Breisgau, Herder, 1977, pp. 190 ss.
^
3 Cfr. K. Hennemann,
Widerrufe Herman Schells? Eine aktenmässige Darstellung (Mit Benützung ungedrukten Materials), Würzburg, Goebel & Scherer, 1908; F.X. Kiefl,
Die Stellung der Kirche zur Theologie von Herman Schell, auf Grund der kirchlichen Akten und der literarischen Quellen erläutert, Paderborn, Schöningh, 1908.
^
4 Cfr. J. Hasenfuss,
Herman Schell als existentieller Denker und Theologe. Zum 50. Todestag, Würzburg, Echter, 1956 V. Berning,
Das Denken Herman Schells. Die philosophische Systematik seiner Theologie genestisch entfaltet, Essen, Wingen, 1964, Id.,
Gott, Geist und Welt. Herman Schell als Philosoph und Theologe, Einführung in die spekulativen Grundlinien seines Werkes, München, Paderborn, Wien, Schöningh, 1978; G.E. Griener Jr.,
Ernst Troeltsch and Herman Schell. Christianity and the World Religions (An ecumenical contribution to the history of apologetics), Frankfurt am Main, Bern, New York, and Paris, Peter Lang, 1990; K. Hausberger,
Herman Schell (1850-1906). Ein Theologenschicksal im Bannkreis der Modernismuskontroverse, Regensburg, Pustet, 1999.
^
5 Cfr. Berning,
Gott, cit., pp. 78 ss.
^
6 Cfr. J. Koch,
H. Schell und F. Brentano, in F.J. von Rintelen (hrsg.),
Philosophia Perennis. Festschrift für J. Geyser zum 60. Geburtstag, Bd. II, Habbel, Regensburg 1930, pp. 337-348.
^
7 Cfr. P. Valadier,
Nietzsche e la critica radicale del cristianesimo, a cura di S. Decloux, Palermo, Augustinus, 1991; B. Welte,
L’ateismo di Nietzsche e il cristianesimo, postfazione di G. Penzo, Brescia, Queriniana, 20052.
^
8 Cfr. K. Jaspers,
Nietzsche e il cristianesimo, traduzione di G. Dolei, Milano, Marinotti, 2008.
^
9 Cfr. A. Caputo,
Pensiero e affettività . Heidegger e le “Stimmungenâ€, 1889-1928, Milano, Angeli, 2001.
**Le
Vorlesungen di Schell sono state pubblicate in J. Hasenfuss (hrsgb.),
Herman Schell als Wegbereiter zum II. Vatikanischen Konzil. Sein Briefwechsel mit Franz Brentano und Nachschriften seiner Vorlesungen über Friedrich Nietzsche, über christliche Kunst und über Fundamentaltheologie, Paderborn, München, Wien und Zürich, Schöningh, 1978, pp. 105 ss.
^
10 In italiano nel testo [NdC].
^
11 In italiano nel testo [NdC].
^
12 F.W. Nietzsche,
Also sprach Zarathustra. Ein Buch für alle und Keinen, Lipsia, C.G. Naumann, 1891, p. 12 [NdA].
^
13 Dr. Jankuche,
Nietzsche als Prophet, Beilage zur Allgemeinen Zeitung, 171, 1902 [NdA].
^
14 Nietzsche,
Zarathustra, cit., pp. 125-126 [NdA].
^
15 Ivi, p. 462 [NdA].
^
16 Isaia, 65,17 [NdC].
^
17 Cfr. Nietzsche,
Zarathustra, cit., p. 127, 384 [NdA].
^
18 Nietzsche,
Zarathustra, p. 456 [NdA].
^
19 Nietzsches Werke, Abt. 1, B. 8 (
Der Fall Wagner, Götzendämmerung, Nietzsche contra Wagner, Der Wille zur Macht, Der Antichrist, Dichtungen), Lipsia, C.G. Naumann, 1899, p. 274 [NdA].
^
20 Id,
Zarathustra, cit., pp. 150-151 [NdA].
^
21 Ivi, p. 313 [NdA].
^
22 Cfr.
ivi, p. 21 [NdA].
^
23 Ivi, p. 261 [NdA].
^
24 Ivi, p. 68 [NdA].
^
25 Ivi, pp. 128-130 [NdA].
^
26 Ivi, p. 115 [NdA].
^
27 Ivi, p. 206 [NdA].
^
28 Ivi, pp. 417 ss. [NdA].
^
29 Ivi, p. 368 [NdA].
^
30 F.W., Nietzsche,
Die fröhliche Wissenschaft (Vorrede 62), Chemnitz, Schmeitzer, 1882 [NdA].
^
31 Id.,
Zarathustra, cit., p. 10 [NdA].
^
32 Ivi, parte II (
Il bimbo con lo specchio) [NdC].
^
33 Ivi, p. 151 [NdA].
^
34 Ivi, p. 180 [NdA].
^
35 G. Simmel,
Schopenhauer und Nietzsche. Ein Vortragszyklus, Lipsia, Duncker & Humblot. 1907, p. 103 [NdC].
^
36 Ivi, parte III (
Il ritorno) [NdC].
^
37 Cfr. id.,
Menschliches, Allzumenschliches. Ein Buch für freie Geister, Chemnitz, Schmeitzer, 1878 (aforisma 323 contro il pentimento) [NdA].
^
38 Cfr.
Nietzsches Werke, Abt. 2, B. 1 (
Schriften und Entwürfe, 1869-1872), Lipsia, C.G. Naumann, 1896, p. 175 [NdA].
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