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Museo dell'ebraismo in Italia e della Shoah
di Cesare De Seta
Il governo Prodi deliberò la creazione del Museo dell’ebraismo italiano e della Shoa, da erigersi a Ferrara nelle ex Carceri: il Ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli nominò il Consiglio d'Amministrazione pochi giorni prima della caduta del governo. Esso è così composto: Riccardo Calimani (presidente), Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, Bruno De Santis, Cesare de Seta, Gad Lerner, Saul Meghnagi, Antonio Paolucci, Paolo Ravenna, Michele Sacerdoti. Il CdA deliberò all’unanimità nel giugno del 2008 di affidare un incarico speciale a Cesare de Seta per redigere un rapporto sulle linee guida dell’erigendo museo che è stato consegnato nel dicembre 2008. Il CdA ha intanto nominato il Direttore del Museo dott. Pietro Stefani e un Comitato Scientifico che elaboreranno in totale autonomia il progetto del Museo da realizzarsi.


A cosa serve il Museo dell’ebraismo e della Shoa?

Il museo serve a rendere gli uomini più consapevoli, a far capire cosa sia la tolleranza ed il rispetto dei diversi da sé a qualunque titolo, a scoprire il valore della solidarietà.


A chi si rivolge il Museo dell’Ebraismo in Italia e della Shoah?

Date per fondate le ragioni già espresse nel rapporto CDEC che si debba privilegiare la dizione in Italia la prima risposta è che esso è rivolto al più vasto pubblico di chi ebreo non è sia esso italiano o non.
-    Bisogna infatti liberarsi dall’ambizione di voler rappresentare in tale museo tutto il mondo ebraico nelle sue molteplici e assai complesse sfaccettature. Questo non è compito di un museo (ma di una enciclopedia dell’ebraismo di cui abbiamo eccellenti esempi) che deve puntare su alcuni nodi essenziali: per altro anche il mondo classico, in qualsivoglia museo del mondo, è rappresentato per lacerti e frammenti che sono segno di una plurisecolare civiltà.
-    Il Museo dell’ebraismo in Italia e della Shoa deve aprirsi con una forte immagine che sia capace di qualificare l’indicazione topografico-cronologica esplicitata nel titolo.
In Italia: significa puntare su un sistema di immagini che immediatamente ci dia la complessità storica e la diversificazione spazio-temporale dell’Ebraismo a Roma e a Venezia, in Sicilia o in Piemonte. Una grande mappa dell’Italia con luoghi e date capaci di offrire, come primo impatto, la storia di questa civiltà: infatti l’ebraismo non è solo una religione, così come il mondo classico non è l’Olimpo degli dei pagani, ma essi sono parte essenziale di tale civiltà iconica. Naturalmente assai più difficile illustrare una tradizione secolare prevalentemente a-iconica come quella ebraica e islamica.
Ciascun luogo (città o area regionale) presente nella mappa generale rimanderà ad altrettante STANZE che dovranno entrare nel dettaglio delle singole storie con articolazione cronologica sul filo del tempo. Poiché si parla di un museo con oggetti originali questi possono essere disposti secondo la sequenza alimentazione, saperi, istruzione, vestiario, abitare ed essere evidenziati con un colore o un’illuminazione differente che consenta di connettere gli oggetti in modo tematico in ciascuna stanza esposti. In breve una doppia lettura topografico-cronologica e tematica.
Gli oggetti originali dovranno essere collocati (possibilmente) nel contesto in cui sono nati, come prodotto di una storia particolare radicata a Venezia o a Ferrara, a Torino o a Palermo, o a Livorno.
Laicizzare l’immagine dell’ebraismo deve essere uno degli obiettivi del museo che rappresenta una civiltà del mondo, come la civiltà del mondo classico o quella cinese. Una tavola comparativa con la nascita delle grandi civiltà umane servirà a contestualizzare la nascita dell’ebraismo.
In seconda istanza, la religione dell’ebraismo, parte essenziale di questa civiltà, avrà uno SPAZIO compatto ad esso dedicato. Ma se le STANZE di cui si è detto hanno una scansione topografica-cronologica, lo SPAZIO DELLA RELIGIONE ne ha una a-temporale, illustrata attraverso oggetti originali, con la scansione di temi e sottotemi analiticamente indicati in ogni storia della religione ebraica. A puro titolo orientativo si veda Ebraismo, a cura di D. Bidussa, Einaudi, 2008.
Dunque dal punto di vista strettamente museografico ovvero di allestimento espositivo le STANZE hanno un’articolazione a raggio, centrifuga; lo SPAZIO DELLA RELIGIONE sarà centrato, centripeto.
Essenziale ai fini museografici è avere nel più breve tempo possibile una lista degli oggetti originali di cui può avvalersi il museo: il fatto che molte comunità siano gelose custodi ovviamente dei loro oggetti nulla toglie che possano crearsi (in casi del tutto eccezionali) dei duplicati (esplicitamente presentati come tali): ma sarebbe auspicabile che possano essere trasferiti in prestito oggetti importanti per prestiti temporanei e anche in modo alternato. Non si spoglia dunque nessuna comunità dei propri materiali ma li s’invita a concorrere a questa grande vetrina nazionale.
Alla sequenza storica delle STANZE dell’ebraismo in Italia deve corrispondere una STANZA che spieghi visivamente la GRANDE DIASPORA del popolo ebraico dalla terra di Israele in tutto il mondo dall’Africa alla Spagna, dalla Russia all’India. Questo straordinario albero, che ha le sue radici infisse in terra d’Israele, non potrà avere uno sviluppo museografico pari a quello destinato alle STANZE in Italia, ma dovrà essere risolto con una immagine forte magari affidata all’opera di un grande artista contemporaneo (penso al Anselm Kiefer che si è misurato negli anni con i temi della Kabaala e dell’ebraismo più in generale o a Dani Karavan) che poi viene decodificata o esplicitata in pannelli con funzione didascalica.
Mescolerei di continuo il momento didascalico a quello dell’illustrazione per via di metafore simboliche affidate ad artisti contemporanei: in tal senso il museo si fa committente, sollecita la contemporanea creatività e mostra – in concreto – che quella dell’ebraismo non è una storia estinta (come quella del mondo classico o quella del mondo azteco o maya) ma viva e vitale capace di sollecitare il mondo del nostro tempo.
Lo SPAZIO DELLA SHOAH avrà un’articolazione molteplice: quella europea e quella italiana sono unica tragedia, ma all’italiana andrà dedicato maggiore spazio. Anche qui una mappa è indispensabile. Ma ad essa andrà premessa la persecuzione ricorrente (dal Medioevo alla Russa zarista) delle comunità ebraiche. L’olocausto nazista e fascista è la conclusione altamente drammatica di questa vicenda ricorrente nei secoli. Il Museo ebraico di Berlino grazie all’acume di Libenskind ha efficacemente risolto nello spazio architettonico la drammaticità di questo evento, mentre tale soluzione è contraddetta dagli oggetti disseminati nello stesso museo. È soluzione simbolica da tenere presente come punto di riferimento che potrà essere risolta in una mise en scéne (in una scenografia) o in un’opera.
Punto delicatissimo sarà spiegare come proprio in Germania e in Italia le comunità ebraiche erano intimamente mescolate alle comunità nazionali: gli ebrei erano essi stessi parte integranti delle nazioni: dalla partecipazione alla prima guerra mondiale all’avvento del fascismo, non come ad esempio in Francia dove l’integrazione era stata sempre ostacolata e assai più lenta.
Il grande corridoio centrale dell’ex carcere di Ferrara può essere lo spazio idoneo che aggrega attorno a sé tutte le STANZE che danno o convergono su di esso.
Ma il museo di Ferrara non può chiudersi (come capita in molti musei ebraici) con lo sterminio, perché conviene esaltare la continuità e la presenza vitalissima della civiltà ebraica dopo la Shoah.
A tal fine ed infine il museo deve avere STANZE TEMATICHE: esse debbono illustrare il contributo di scrittori e artisti di origine ebraica siano essi italiani o non alla civiltà nel corso di millenni e con particolare attenzione a dopo il 1945. Molti sanno che Primo Levi era ebreo, ma pochi sanno che tale era Alberto Moravia, molti sanno che Joseph Rot è ebreo, ma pochi che lo fosse Josif Brodskij. E lo stesso si dica per le arti figurative, per la musica, il teatro ecc. Queste stanze potranno essere illustrate con opere originali di artisti, prime edizioni di libri o manoscritti (si veda quello di Giorgio Bassani del Giardino dei Finzi Contini quanto mai pertinente nella sua città) e altre testimonianze atte a documentare la ricca presenza dell’ebraismo nelle civiltà di ogni tempo e di ogni paese o continente.
Un tema interessante potrebbe esser quello delle tipologie sociali e professionali dominanti tra gli ebrei italiani: per intenderci medici, scienziati, giuristi-avvocati, banchieri, assicuratori, librai-editori, scrittori ecc.
La MUSICA ebraica dovrà essere un filo conduttore di brani da scegliere con la dovuta competenza e seguirà il percorso espositivo.
Poiché il Museo ha per sede FERRARA ci sarà uno spazio che consenta di rimandare ai pochi luoghi superstiti del ghetto e al bellissimo cimitero.


Lo spazio dell'ex carcere di Ferrara

Senza voler entrare nel merito dell’immobile dell’ex Carcere di Ferrara - al quale dedicammo un sopraluogo – l’accurato dossier iconografico reso disponibile dal Comune di Ferrara e dalla Facoltà di Architettura di Ferrara mi consentono di confermare che esso è del tutto idoneo alla destinazione prevista. Le mie considerazioni sopra esposte sono strettamente funzionali a questo spazio, o per essere più precisi al mallo dell’edificio. Se avessimo avuto uno spazio diverso le considerazioni fatte avrebbero di necessità aver avuto una diversa articolazione.
Intendo dire con ciò che lo schema distributivo dell’edificio con una navata centrale e due piani di stanze (celle) che si affacciano su di esso sono un sistema architettonico pertinente ai concetti e agli oggetti che si potranno esporre. Il complesso, che è una corte ben ritagliata nel sistema regolare dell’impianto urbano di Ferrara, ha una sua forte autonomia, ma nello stesso tempo deve aprirsi sui giardini contigui e sul sistema delle strade che configurano l’insula. Non ho affrontato in questa sede i problemi connessi all’amministrazione, all’accoglienza, agli indispensabili servizi di biblioteca, book shop, caffè, ristorante ecc.
Sarà questo compito di un rapporto analitico che dovrà essere di base per l’eventuale bando-concorso per il progetto architettonico. Per la lunga esperienza che ho di concorsi di architettura posso dire che più precise saranno le nostre indicazioni meno sorprese ci potranno venire dai progetti architettonici: fermo restando che agli architetti va lasciata la necessaria libertà nella modellazione degli spazi e nella loro articolazione distributiva. Contributo essenziale per trasformare una struttura architettonica “debole”, cioè senza particolari valori, in uno spazio di forte suggestione museale.
Poiché ho insistito nella necessità di avvalersi di opere creative che possano assume una forte valenza simbolica (ed esprimere dunque attraverso questo mezzo problematiche di forte impatto) è evidente che al momento del concorso (nelle forme che si vorranno convenire) bisogna avere un’idea di tali opere e far sì che esse possano essere parte integrante della configurazione architettonica ventura.
Le mie idee in tal senso, i riferimenti a taluni artisti sensibili alla civiltà giudaica, ça va sens dire, sono del tutto indicative: vogliono piuttosto sottolineare la necessità di percorrere questa via nell’articolazione concettuale e tematica del museo.
Nessun museo ebreo al mondo, tra i molti che conosco, contemplano opere commissionate ad artisti contemporanei. Questa indicazione va nella direzione delle continuità volta al futuro della civiltà ebraica: non civiltà appunto estinta ma ben viva e presente. Per questo motivo considero punto essenziale non chiudere il museo con l’illustrazione della Shoa: episodio spaventosamente drammatico nella storia della civiltà umana ma non suggello-tomba di questa civiltà.
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