Uno studio del gruppo di Filosofia della Fondazione Italianieuropei sull’attuale configurazione dello Stato in quanto forma politica e sulle sue interazioni con la vita dei cittadini si propone di verificare quale possa essere il ruolo del filosofo, dell’intellettuale e, particolarmente, del socialismo riformista all’interno degli scenari del presente [
Filosofia al presente, Italianieuropei, Editrice Solaris, Roma, 2009].
La premessa su cui si basano le analisi dei saggi contenuti nel libro è quella secondo cui si debba ripensare il ruolo dello Stato, in seguito alle trasformazioni che si sono verificate nell’ultimo decennio e, soprattutto, dopo la crisi economica mondiale palesatasi nel settembre 2008.
Con la diffusione negli anni ’80 di quella dottrina economica passata sotto il nome di ‘neoliberismo’ e successivamente al fallimento dei regimi del “socialismo realeâ€, la forma-Stato e la sua sovranità sono state messe in discussione. Nel momento in cui si parlava di un mondo “riapertoâ€, di “fine della storia†e in cui sembrava irrevocabile la vittoria del sistema economico capitalista - e quindi, secondo gli entusiasti acritici del libero mercato, della democrazia
tout court – si è aperto un processo innestato nel fenomeno “globalizzazione†che ha visto la svalutazione dell’intervento statale in economia – anche a causa della parallela “glocalizzazione†- e il depotenziamento delle forme di
welfare state.
Ciò avrebbe impedito alle istituzioni politiche di esercitare un controllo sull’economia
1. Come nota Danilo Zolo, accanto alle tradizionali strutture sovranazionali sono emersi nuovi soggetti istituzionali e giuridici di vario tipo, sia legati ad istituzioni, sia non governativi. Ma «in un sistema internazionale fortemente condizionato dalle convenienze delle grandi agenzie economiche e finanziarie, il potere decisionale, dinamico e innovativo, delle forze dei mercati tende a prevalere sulla decrescente efficacia regolativa delle legislazioni statali e delle istituzioni internazionali»
2. Quindi, secondo tali analisi sarebbe la vittoria incontrastabile della
lex mercatoria3.
Il processo a cui si è assistito e che rende i mercati sempre più autonomi dalla politica, pertanto, inclina «alla privatizzazione e alla deformalizzazione delle regole giuridiche»
4, in quanto tali norme spesso non derivano da enti eletti dalla cittadinanza, mentre gli Stati nazionali sono stati «sempre meno in grado di difendere i diritti fondamentali degli individui»
5. Il rischio ravvisato da alcuni filosofi del diritto è stato quello che la creazione di un ‘sistema dualistico di giustizia’ – quella «confezionata su misura dai detentori del potere economico»
6 e quella per i «consumatori ordinari» – potesse addirittura minacciare la sussistenza stessa dello Stato di diritto
7.
La svolta storica determinata dal crollo dei regimi comunisti e dell’ideologia che li aveva sostenuti, la demonizzazione dello Stato sociale e l’imporsi delle ricette economiche liberiste sia hanno influito pesantemente sulla fine dei partiti di ispirazione marxista, sia hanno imposto una trasformazione alle formazioni politiche di tipo socialdemocratico.
La sinistra democratica europea ha ritenuto di dover attuare un forte cambiamento nella propria impostazione in ambito economico. Ciò si è evidenziato maggiormente nel caso del partito laburista britannico, che nel 1994 ha avviato – e, dalla vittoria elettorale di Tony Blair 1997, ha attuato - la politica del
New Labour, che ha avuto come bussola la ricetta della “terza viaâ€, configurata da Anthony Giddens come punto intermedio tra le impostazioni socialdemocratiche e quelle liberiste. Paradigma di questa visione è stata un’accettazione del sistema economico capitalista, «giudicato immodificabile»
8, che rapidamente si è trasformata nella persuasione che, ponendo la minima resistenza alle forze del mercato, «fosse possibile uno sviluppo senza interruzioni, una progressione economica non più contrappuntata da oscillazioni cicliche. E ha creduto che i livelli di benessere potessero essere irrobustiti senza un intervento per correggere la sperequazione dei redditi»
9.
Escludendo le vecchie ricette interventiste in economia, e proseguendo quindi sulla strada tracciata dal thatcherismo, i laburisti hanno rivolto maggiormente l’attenzione alle politiche dedicate alla formazione, lasciando che fossero i singoli lavoratori a far fruttare nel mercato del lavoro le capacità acquisite. Per di più, autodefinendosi come il partito
pro-business, il Labour ha identificato la propria missione nello «spianare la strada alle procedure di mercato»
10, credendo in tal modo che potesse verificarsi una autonoma regolamentazione dell’economia che avrebbe portato alla stabilità .
Se la politica dei laburisti è stata la punta estrema dell’evoluzione in senso liberista delle forze socialdemocratiche europee, va anche detto che ne è stata l’avanguardia. Se si escludono i fronzoli retorici e l’attaccamento quasi sentimentale a una parola come “socialismoâ€
11 , spesso pronunciata durante le assemblee congressuali, anche il corso preso dalla SPD tedesca con la
Neue Mitte di Gerhard Schröder presenta notevoli affinità con la “terza via†blairiana, mentre in Italia il maggiore partito che si collocava nell’alveo del PSE – il PDS – dalla fine degli anni ’90 ha subito successive metamorfosi che lo hanno portato ad approdare ad una conformazione “liquida†né socialista, né liberaldemocratica.
Con la recente crisi finanziaria, tante illusioni sulle
magnifiche sorti e progressive del neoliberismo sono venute a cadere, e l’abbandono delle teorie keynesiane e “westfaliane†è apparso inadeguato, e la stessa sinistra democratica, che aveva abbracciato una visione più o meno “mercatista†ha visto, dopo la fine del
Welfare State, cadere nuovamente i propri miti, ritrovandosi così svuotata di ogni progetto di società . Tutto ciò mentre si impone un nuovo ruolo forte per lo Stato e le forze politiche di destra possono rispolverare e vantare un retroterra maggiormente diffidente nei confronti del libero mercato e ricette “neocolbertiste†e comunitariste
12.
Come scrive Massimo Adinolfi nella Prefazione a
Filosofia al presente, la questione che ora si pone è quella del ruolo che ricoprirà lo Stato e quali conseguenze da ciò scaturiranno. Il ritorno di un protagonismo statale potrebbe comportare un ritorno al paternalismo, quindi provocare un deterioramento della democrazia, ovvero essere l’unica soluzione per tutelare la democrazia stessa
13.
Il discorso che ritorna è quello sul biopotere, presente ad esempio nell’intervento prodotto da Maria Laura Lanzillo e Geminello Preterossi, secondo i quali quella che dagli ultimi decenni è stata presentata come «epoca della crisi dello Stato» è in realtà «una vera e propria età dell’iper-Stato»
14. Per contrastare la crisi economica, infatti, si starebbe tornando, anche sul versante economico, ad un «ritorno in grande stile del potere pubblico»
15, perché nessun sostituto si è dimostrato all’altezza e benché gli Stati siano stati indeboliti dalla finanza internazionale
16.
Se da un lato il ritorno alla potenza statale – anche su scala sovranazionale – incute timori per l’invasività nella vita privata delle persone e nelle loro scelte
17 e quindi per un processo che proviene ‘dall’alto’, d’altra parte vi è anche una richiesta di tale presenza forte che nasce diffusamente ‘dal basso’, da individui che hanno paura di relazionarsi con soggetti che sentono come estranei e diversi. Questo ‘comune sentire’ produrrebbe, quindi, una «logica dell’identico»
18 che mette in gioco concetti come cittadinanza, diritti e libertà .
Se il costituzionalismo si è rivelato inadatto a tenere a bada «il corto-circuito immediato tra paura e adesione (plebiscitarismo, populismo mediatico, assolutizzazione della legge del più forte)»
19, senza che per questo si debba proporre la liquidazione del costituzionalismo, si impone la questione di una nuova cittadinanza intesa come «pratica politica, operata da una corporeità concreta, reale» che si basi su «dinamiche di relazione con gli altri soggetti che abitano e attraversano lo spazio politico»
20.
Nella relazione di Alfredo D’Attorre la cittadinanza oggi risulta fiaccata dal progressivo venir meno della distinzione tra pubblico e privato: «il lato pubblico-statuale perde ogni fondamento di giustificazione indipendente dalla sfera dei bisogni e delle aspirazioni private degli individui, il lato privato-personale diventa l’oggetto di politiche pubbliche e di conflitto politico»
21. Lo scontro che si verifica è quello tra «riconoscimento dell’autonomia individuale e valorizzazione sociale dell’individuo»
22. E qui si inserisce la crisi di idee e di consensi della sinistra, incapace di proporre una nuova idea di cittadinanza che tenesse conto dei cambiamenti sociali avvenuti, che hanno innanzitutto portato a un superamento dei recinti nazionali.
La causa del superamento della sovranità degli Stati nazionali, che si verificherebbe progressivamente a partire dagli anni ’70 del Novecento
23, viene identificata nuovamente nella caduta della distinzione tra economico e politico, confermando l’attualità delle tesi foucaultiane sul biopotere – «uno degli elementi indispensabili allo sviluppo del capitalismo; questo non ha potuto consolidarsi che a prezzo dell’inserimento controllato dei corpi nell’apparato di produzione, e grazie ad un adattamento dei fenomeni di popolazione ai processi economici»
24 – quando «la sovranità è sempre più post hobbesiana: non più primariamente potere di coercizione fondato su un patto giuridico stretto all’interno di una comunità omogenea […], ma una soggettività politica nella quale i processi economici giocano un ruolo assolutamente cruciale quale matrice generativa6raquo;
25.
Una delle chiavi della fase che si va aprendo sarà la gestione del superamento del liberismo e dell’equazione «fine della sovranità -libero commercio-diritto sovranazionale-rispetto dei diritti umani». Tutto ciò mentre si accresce l’influenza politica ed economica di paesi che uniscono capitalismo di Stato e gestione autoritaria del potere.
Come si è visto i punti intorno a cui si articolano variamente i saggi di
Filosofia al presente sono costituiti dall’idea che, dietro ad un sistema economico che prometteva maggiore libertà individuale e una più estesa diffusione dei diritti, si siano sviluppate forme di potere che hanno di fatto limitato tali libertà e determinato «la presa in carico della vita da parte del potere» – paradigmatica del “potere pastorale†descritto da Foucault – per garantire la sicurezza e la sopravvivenza del sistema. Come scrive Massimo De Carolis nelle sue
Osservazioni sulla biopolitica il liberismo è diventato “il paradigma†dell’ «accordo tra potere sovrano e biopotere», con lo Stato che viene ridotto a difensore del libero mercato,con il ruolo di arginare «gli interessi estranei alla realtà economica»
27, al punto che Bazzicalupo e Piro, rifacendosi all’analisi foucaultiane, affermano che il «neoliberalismo, inteso come teoria pan-economicista della vita sociale», più che il nazismo, «costituirebbe l’esperimento più ambizioso di biopolitica»
28.
Quindi si è reso necessario da parte dello Stato determinare le scelte individuali dei suoi cittadini, anche per molto prosaiche esigenze di bilancio, varando delle piani di
welfare responsabile o intervenendo con politiche di manipolazione velata – il
nudge29 – che trovano oggi nuove formulazioni, ma che già Edward Louis Bernays in
Propaganda, durante gli anni della Grande Crisi aveva descritto. La salute diventa uno degli ambiti che più interessano il potere, che si caratterizza più per l’interesse a preservare l’integrità dei corpi stessi dei propri cittadini, intesi in questo caso come lavoratori e consumatori, e non, come già Foucault aveva notato, per la possibilità di determinarne la morte.
Ciò che preme agli estensori dei saggi di
Filosofia al presente è ripensare il ruolo dell’intellettuale e del filosofo, che deve concepire l’uomo come «ente al tempo stesso biologico e socio-culturale»
30 – in modo da arginare la “deriva biopolitica†–, svelare i processi di discriminazione, sfruttamento e abbrutimento, senza tirarsi pavidamente indietro di fronte alle sue responsabilitÃ
31. Ovviamente con lo scopo di rilanciare la democrazia, che troverà nuova linfa dal «riconoscimento del pluralismo delle opinioni e degli stili di vita, ma anche dalla legittimazione del mutamento sociale e del conflitto» affinché si ricrei quella che era la «differenza costitutiva della concezione occidentale della politica»: quella tra «il governo degli uomini» e l’ «allevamento» di una popolazione ridotta a gregge
32.
NOTE
1 Si inaugurerebbe, secondo Michel Wieviorka, «un’epoca del tutto-economico, dove la forza del denaro non incontrerebbe più frontiere». M. Wieviorka,
La sinistra fra malinconia, oblio e lutto, in «il Mulino», 2/09, p. 250.
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2 D. Zolo,
Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 89.
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3 Per sintetizzare con le parole di Luciano Canfora, si potrebbe dire che «gli Stati sono ormai quinte teatrali e il potere risiede nel più ‘internazionalista’ dei soggetti, il capitale finanziario sovranazionale». L. Canfora,
La natura del potere, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 59.
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4 D. Zolo,
Globalizzazione, cit., p. 89.
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5 Ivi, p. 91. A sua volta Zolo rimanda alle analisi di P.P. Portinaro contenute nel saggio
Oltre lo Stato di diritto. Tirannia dei giudici o anarchia degli avvocati?, in P. Costa, D. Zolo, (a cura di),
Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 398.
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6 Ivi, p. 92.
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7 Dahrendorf, descrivendo in un saggio del 2003 gli effetti dei processi sociali, economici e politici successivi all’Ottantanove, parlava invece di una democrazia «dovunque sottoposta a pressione» e di una «fondamentale tendenza all’autoritarismo» da parte delle nomenclature degli apparati di partito e delle organizzazioni internazionali che sfruttavano l’individualismo e «l’apatia dei cittadini», e associava questa situazione allo scenario di «sorveglianti e […] guardiani della ‘ferrea gabbia della servitù’» indicato da Max Weber come «prodotto del dominio della burocrazia». R. Dahrendorf,
Libertà attiva. Sei lezioni su un mondo instabile, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 112-113.
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8 G. Berta,
Eclisse della socialdemocrazia, Bologna, il Mulino, 2009, p. 22.
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9 Ivi, p. 8.
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10 Ivi, p. 79.
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11 Ivi, p. 29.
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12 Si vedano in proposito G. Tremonti,
La paura e la speranza, Milano, Mondadori, 2008, e A. Campi, A. Mellone (a cura di),
La destra nuova, Venezia, Marsilio, 2009.
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13 M. Adinolfi,
Prefazione a
Filosofia al presente, Italianieuropei, Roma, Editrice Solaris, 2009, pp. 6-7.
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14 M.L. Lanzillo, G. Preterossi,
Per una critica dell’ideologia post politica e una nuova pratica della politica, in
Filosofia al presente, cit. 25.
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15 Ivi, p. 20.
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16 Ivi, p. 25.
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17 Si vedano le forme di
soft power, descritte ad esempio da J.S. Nye Jr. in
Leadership e potere, Roma-Bari, Laterza, 2009.
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18 M.L. Lanzillo, G. Preterossi,
Per una critica dell’ideologia post politica, cit., p. 31.
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19 Ivi, p. 31.
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20 Ivi, p. 33.
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21 A. D’Attorre,
L’Europa e la metamorfosi della sovranità , in
Filosofia al presente, cit., p. 66.
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22 Ivi, p.67.
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23 Massimo L. Salvadori definisce il sistema politico che si viene a creare da questo momento «secondo sistema liberaldemocratico» o «di ultima evoluzione». M.L. Salvadori,
Democrazie senza democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 20 e pp. 54-65.
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24 M. Foucault,
Bio-potere, guerra e razzismo (1976), in Id.,
Antologia. L’impazienza della libertà , p. 97.
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25 A. D’Attorre,
L’Europa e la metamorfosi della sovranità , cit., p. 74.
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26 S. Forti, D. Tarizzo,
La vita autonoma all’epoca della Grande Salute, in
Filosofia al presente, cit., p. 144.
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27 M. De Carolis,
Osservazioni sulla biopolitica, in
Filosofia al presente, cit., p. 115.
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28 L. Bazzicalupo, F. Piro,
Conflitti politici o guerre di religione a bassa intensità ?, in
Filosofia al presente, cit., p. 128.
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29 Si veda il cosiddetto “paternalismo libertario†proposto da R.H. Thaler e C.R. Sunstein in
La spinta gentile, Milano, Feltrinelli, 2009.
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30 L. Bazzicalupo, F. Piro,
Conflitti politici o guerre di religione a bassa intensità ?, cit., p. 130.
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31 Cfr. M. Adinolfi,
Prefazione, cit., p. 10.
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32 Cfr. L. Bazzicalupo, F. Piro,
Conflitti politici o guerre di religione a bassa intensità ?, cit., pp. 129-130.
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