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L’archivio degli archivisti
di
Giuseppe Giarrizzo
È lodevole la recente decisione di Stefano Palmieri di raccogliere in volume una serie di originali contributi sulla storia del Grande Archivio di Napoli, e sui suoi archivisti, specialmente in merito allo studio delle origini degli archivi pubblici pre-unitari.
Il nucleo storico del Grande Archivio, la cui ricchezza e varietà dei corpora ne fanno il maggior archivio del Mezzogiorno, è costituito dall’archivio della Zecca e Palmieri ne rintraccia l’origine nella prassi di Carlo d’Angiò di portarsi dietro i quaderni della Curia, poi gli Aragonesi daranno sede stabile agli archivi mentre la più complessa struttura di governo ne imporrà la costruzione di altri.
Alla fine del Cinquecento l’archivio napoletano della Zecca, sistemato nel castello di Capuana, comprenderà 436 volumi, danneggiato dalla rivolta di Macchia sarà riordinato tra Sette e Ottocento per volere dei Borboni.
Nel 1943 il 30 settembre l’archivio della cancelleria angioina fu distrutto da guastatori tedeschi in ritirata, ciò ha “fermato” il lavoro del Palmieri sull’archivistica napoletana riguardante gli Svevi e soprattutto Federico II. La ricostruzione della cancelleria angioina toccherà a R. Filangieri e a J. Mazzoleni, è suggestivo il recupero di una pergamena (la n°100 del registro angioino 20), a suo tempo sottratto ad ora ricomparsa nella biblioteca dell’Istituto storico domenicano di Roma. Nel suo libro Palmieri pone a monte una storia dell’Archivio della Zecca, a valle l’opera di ricostruzione di R. Filangeri e Jole Mazzoleni, esponente di spicco della scuola napoletana di studi archivistici e storici di cui anche il Palmieri si sente parte.
Sintesi a cura della redazione
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