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Corbino. L'Alleanza Democratica Nazionale e la legge maggioritaria*
di Sandro Rogari
C’è un filo che lega l’evoluzione politica di Epicarmo Corbino, dentro e fuori il Partito liberale, nel corso della prima legislatura repubblicana, e questo filo ruota attorno alla questione elettorale. Tuttavia, preciso subito che il tema, nella sua analisi e nel suo dissenso dalla linea del partito che lo porta fino alla rottura col PLI, non è fine a se stesso. Corbino individua il vero nodo del problema nella partitocrazia. È una questione ch’egli illustra nel modo più compiuto nel suo lungo e alto intervento alla Camera dei deputati, pronunciato il 9 dicembre 1952 1: senza dubbio il discorso politico di maggior spessore e profondità di giudizio fra i suoi ed anche, nel contesto dell’aspro scontro sulla legge maggioritaria, uno fra i più nobili e alti, capace di unire alla profondità dell’analisi il giudizio equilibrato e non fazioso dell’oppositore.
Ma procediamo con ordine. Per Corbino la questione elettorale, assieme a quella dell’istituto regionale, è centrale per giustificare l’uscita dei liberali dalla compagine governativa nel gennaio 1950. Egli negò decisamente che il motivo di distacco, pur rimanendo il PLI nella maggioranza parlamentare, fosse da attribuirsi al rigetto della riforma agraria. Alla Camera, l’8 febbraio 1950 lo disse esplicitamente:
debbo dissentire dall’onorevole Saragat secondo cui questo rifiuto sarebbe dettato da disaccordo sulla riforma agraria; ne dissento nella maniera più formale, e non soltanto come opinione mia personale o come espressione del pensiero del gruppo per conto del quale io parlo: dissento dal punto di vista sostanziale su questa questione 2.

A detta di Corbino, i motivi forti di dissenso erano la legge elettorale per le amministrative e le regioni 3. Per la verità, nel prosieguo del discorso, Corbino espresse una critica tanto sarcastica verso la riforma agraria proposta dalla DC da lasciare intendere la sua avversione. Ma prendiamo alla lettera le sue parole, anche perché erano pronunciate dal capo gruppo liberale a Montecitorio e quindi non riflettevano l’opinione personale di un parlamentare, quanto piuttosto la posizione ufficiale del PLI. Prendiamone atto, pur sapendo che tutta l’ala meridionale del partito, anche dopo l’uscita dalla segreteria e poi dal partito stesso di Lucifero, avversava duramente la riforma agraria.
Le argomentazioni di Corbino erano del tutto fondate su più punti. Anzitutto, la crisi del governo De Gasperi non era stata aperta dai liberali, bensì dal disimpegno dei saragattiani, che peraltro poi rientrarono nel governo nel gennaio 1950 4. Quindi non si poteva dire che si fosse verificata una vera e propria rottura sui patti agrari e sulla riforma agraria, anche se i malumori e le difficoltà interne del partito erano stati crescenti. Quando nel gennaio 1950 si aprì e si chiuse senza successo la trattativa con la Democrazia cristiana per il rientro dei liberali al governo, fra i punti in discussione c’era anche la riforma agraria che i liberali non rigettavano in linea di principio, bensì nella visione che ne dava la DC. Per il PLI, la riforma doveva avere un carattere produttivistico e prevedere esproprio solo nel caso in cui i proprietari non intervenissero 5. Al contrario, la DC voleva diffondere la figura del proprietario coltivatore in applicazione dell’antica tradizione cattolica e sotto la pressione di Bonomi e della Coldiretti che, dentro la DC, stava acquisendo un peso e una influenza politica crescente. È vero, tuttavia, che indirettamente le due questioni, quella della riforma agraria e quella della riforma in senso proporzionale della legge elettorale amministrativa, un legame ce l’avevano. Nei piccoli comuni rurali, dove le liste elettorali per la DC erano fatte sostanzialmente dalla Coldiretti, la legge maggioritaria favoriva i maggiori partiti. Quindi, rivendicare una riforma proporzionale della legge cozzava ancora una volta con gli interessi della Coldiretti. Su questo punto le parole di Corbino alla Camera, l’8 febbraio 1950, furono chiare:
Per la questione delle leggi elettorali non è stato, come si potrebbe supporre, un problema di bottega elettorale che ci ha indotto a non accettare le proposte che venivano da parte dell’onorevole De Gasperi. Noi pensiamo che, ai fini dell’esistenza di una vera democrazia in Italia, i partiti minori debbano avere condizioni di sviluppo possibile, perché noi dobbiamo evitare di spingere il corpo elettorale nel bivio della scelta fra comunismo e democrazia cristiana. Se dovessimo arrivare a questa soluzione, la nostra democrazia sarebbe in pericolo 6.

Tralascio le altre argomentazioni di dissenso, come la questione delle regioni, o di stimolo al governo, come la questione della stabilità della lira, che peraltro in questa fase era fatta propria dalla politica di Pella, nonostante le critiche che provenivano dal Country study elaborato dall’organo che a Washintgon amministrava i fondi Marshall. Sono temi che esulano dal tema specifico di questa relazione. Accenno solo al fatto che Corbino non perde occasione per spezzare una lancia a favore dell’istituto parlamentare nel quale vedeva «la sola guarentigia per le libertà di tutti i cittadini» 7. Non siamo ancora all’attacco ch’egli porterà alla partitocrazia, ma ne cogliamo un’anticipazione.
Superata, senza il rientro dei liberali al governo, la crisi del gennaio 1950, la permanenza nel partito di Corbino si fece sempre più difficile. Dopo la sconfitta elettorale del 18 aprile 1948 che aveva sancito il fallimento della politica dei Blocchi nazionali, ossia della convergenza con l’Uomo Qualunque, voluta dal segretario Lucifero e deliberata al congresso del dicembre 1947, Corbino era stato cofirmatario di una Lettera ai liberali d’Italia che chiedeva il recupero di posizioni centriste per il partito 8. In apparenza, quindi, la fine della segreteria Lucifero e l’ascesa prima come reggente e poi come segretario generale di Villabruna al congresso nazionale del 1949 sembravano seguire la linea Corbino che nel frattempo aveva assunto la carica di capogruppo liberale alla Camera. Tuttavia, ad aggravare le condizioni di convivenza con la segreteria Villabruna, che forse soffriva anche di difficoltà caratteriali 9, intervennero i risultati fallimentari del primo turno delle elezioni amministrative del 1951. Corbino riunì il 27 giugno otto deputati del gruppo e dopo ampia discussione chiese a Villabruna di convocare la direzione del partito, ponendo il problema di una revisione generale della linea del partito e del governo. Allora, per usare le parole dello stesso Corbino, era necessario:
andare incontro a quelle che erano le nuove aspirazioni del corpo politico italiano, quali si rivelavano attraverso i risultati delle elezioni amministrative. Fu allora che io domandai di riesaminare la posizione di tutti i partiti rispetto al Governo. Il segretario del mio partito trattò me e i miei colleghi del gruppo parlamentare liberale come se fossimo stati degli scolaretti: ci tirò per la giacca dicendo che non avevamo il diritto di porci problemi di questa natura, perché spettava al consiglio nazionale del partito di esaminarli 10.

Quando si tenne il Consiglio nazionale del partito, il 14-15 luglio 1951, che approvò un odg che preparava il terreno alla riunificazione liberale, poi sancita dal Congresso di Torino del 7-8 dicembre 1951, la rottura fra Corbino e il partito si era già consumata 11. Epicarmo aveva abbandonato il gruppo liberale ed aveva aderito al gruppo misto, dopo avere lasciato il partito per forti dissensi con Villabruna 12.
La tornata elettorale amministrativa dell’anno successivo non fece altro che confermare la critica di Corbino alla politica governativa, tanto più perché la riforma della legge elettorale per l’elezione dei consigli comunali era andata proprio nel senso contrario rispetto alle sue richieste proporzionaliste che avrebbero dovuto tutelare i partiti minori. Comunque, per De Gasperi e la Democrazia Cristiana contava il trend elettorale che dimostrava come alle prossime politiche era consistente il rischio che la maggioranza centrista del quadripartito, che era una maggioranza obbligata, senza alternative in quel momento storico, soccombesse. Se alle politiche del 1948, i dati aggregati dicevano che nei comuni sopra i 10.000 abitanti i quattro partiti di centro avevano riscosso il 58,9% dei suffragi, alle comunali del 1951-52 erano calati al 44,2%: un risultato che si avvicinava paurosamente a quello del blocco socialcomunista del 43,5% 13. Il danno era stato minimizzato, anche permettendo la sottrazione di molte amministrazioni comunali alla sinistra social comunista, come a Torino, Genova, Milano, Pavia, Venezia, Piacenza, Firenze, Pisa, Ancona, grazie al premio di maggioranza determinato dagli apparentamenti. Certo, non era stato solo effetto della legge elettorale; avevano pesato anche fattori politici come le figure dei candidati – vedi il caso di La Pira a Firenze che aveva sfondato a sinistra – e il trasferimento all’alleanza di centro di socialdemocratici e repubblicani che nel 1946 erano alleati della sinistra, o, i primi, dentro lo PSIUP. Ma la legge elettorale aveva avuto il suo peso 14. Scrivendo a Sturzo, De Gasperi parlò di proiezioni che davano alle future politiche 288 seggi alla maggioranza di centro e 291 alle opposizioni e ne concludeva che la democrazia andava blindata contro il rischio Weimar 15. Da questa premessa la maggioranza partiva per garantire una stabilizzazione politica, anche in chiave di garanzia della collocazione internazionale dell’Italia dopo lo scontro durissimo che in Parlamento si era avuto sulla ratifica del Trattato dell’Alleanza Atlantica.
Questo stato di cose creò una singolare divaricazione fra la maggioranza guidata da De Gasperi, che intendeva varare una legge da inserire nel quadro di “democrazia protetta” nel contesto di una situazione interna e internazionale nella quale il centrismo non aveva alternative; e gli oppositori, fra i quali Corbino si collocava fra i più schietti e politicamente disinteressati, che avversavano il disegno di legge per motivazioni e con argomentazioni diverse. Ma prima di esaminare le ragioni di questi, e in particolare di Corbino a critica della legge Scelba sugli apparentamenti e sul premio di maggioranza, facciamo due premesse. La prima riguarda proprio il tema della “democrazia protetta” che spiega e giustifica la legge in quel contesto storico particolare nel quale non c’erano alternative politiche se non lo scivolamento a destra verso la ricerca di un appoggio più o meno esplicito della destra monarchica o missina che a sua volta prefigurava di nuovo lo spettro della tentata operazione Sturzo per le amministrative di Roma del 1952 16. Il tema della difesa della democrazia contro gli attacchi che possono provenire da destra e da sinistra è centrale e se trascurato finisce per restare occulta la ragione forte che spiega tutta l’operazione. La seconda premessa riguarda il fatto che in Francia era stato fatto qualcosa di analogo in chiave elettorale, sempre nella prospettiva della democrazia protetta. La riforma elettorale varata dall’Assemblea nazionale nel 1951, fortemente voluta dal MRP, la Democrazia cristiana francese, aveva inteso indebolire le opposizioni di destra e di sinistra, rispettivamente i gollisti e i comunisti, usando strumenti ben più manipolatori del consenso di quelli che poi furono introdotti nella realtà italiana. Il premio di maggioranza permetteva l’attribuzione di tutti i seggi del collegio alle liste apparentate che ottenessero almeno il 50% dei suffragi, salvo che per il collegio di Parigi, che esprimeva ben 75 seggi, perché i comunisti avrebbero potuto conquistarlo 17! Il disegno era volto a consolidare quella terza forza comprensiva di MRP, SFIO e radicali che viveva in clima di assedio. Se vogliamo trarre una considerazione storica sulla riforma francese, dobbiamo constatare che non ha funzionato in termini di stabilizzazione del sistema e delle istituzioni. Naturalmente, questo niente ci dice su quello che sarebbe avvenuto in Italia se la riforma avesse trovato conferma da parte degli elettori. Ogni paese ha una storia a sé e le debolezze della Quarta Repubblica erano diverse da quella italiana. Tuttavia, la vicenda dimostra i limiti delle riforme elettorali se vengono intese come vie esclusive di consolidamento istituzionale.
Fatte queste premesse di contesto e sottolineato che la legge Scelba non operava un abbandono del proporzionalismo a favore del maggioritario, perché assegnava solo un premio di rappresentanza mantenendo lo scrutinio di lista 18, vediamo sinteticamente quali erano le argomentazioni critiche di Corbino che furono poi premessa per la costituzione dell’Alleanza Democratica Nazionale e per la presentazione di liste autonome alle politiche del giugno 1953.
Il primo tema riguarda le difficoltà create dai partiti alla stabilità del governo. Corbino nega che siano venute dai partiti laici. Fa piuttosto riferimento al manifestarsi delle correnti nella DC, in particolare alla destra dei Vespisti 19 di Carmine De Martino che era nata attorno alla contestazione contro la riforma agraria. L’argomento di Epicarmo era che i numeri non contavano, ma contavano le divisioni interne alla DC che nessun premio di maggioranza poteva compensare. Comunque, era la buona occasione per ribadire che la riforma agraria aveva fatto perdere il consenso della proprietà agraria meridionale che ora si mobilitava contro la DC 20. Il tema è di grande spessore perché Corbino torna sulla questione delle relazioni fra partiti e gruppi parlamentari che viziano e condizionano la volontà del deputato come espressione dalla sovranità popolare. È un aspetto della partitocrazia che si sta manifestando e che va al di là del dibattito sulla legge elettorale. Non è una critica che Corbino fa solo alla DC. Non è difficile trovare nelle sue parole il riflesso dello scontro con la segreteria del suo partito quando era capogruppo liberale alla Camera e il suo allontanamento dal partito.
Io pongo qui una questione che supera il carattere contingente della legge elettorale – disse alla Camera il 9 dicembre del ’52 –, quella cioè dei rapporti fra la direzione dei partiti e i deputati, perché trovo che è veramente insopportabile la tirannia delle direzioni dei partiti sui parlamentari, attraverso i loro parlamentari. Il Parlamento è un organo autonomo, il Parlamento trae le sue origini dal corpo elettorale e deve rendere i suoi conti al corpo elettorale! D’accordo che le direzioni dei partiti esercitino una certa influenza sulle direttive politiche; ma che la qualità di deputato debba essere completamente eliminata dall’influenza dell’accordo dei segretari dei partiti, questo mi sembra non conforme né alla natura delle cose né all’interesse stesso del sistema che si vuol difendere 21.

Il riferimento andava agli ordini di scuderia che provenivano dalle segreterie dei partiti di maggioranza per chiudere rapidamente con l’approvazione della legge di riforma elettorale, ma investiva una questione più ampia. La sua condanna era indirizzata al modo d’imporsi e di sovrapporsi dei partiti alla sovranità popolare. Egli ragionava avendo ben presente l’esperienza parlamentare italiana prefascista nella quale il rapporto del deputato con il suo elettorato era per lo più diretto. Aveva vissuto l’esperienza del ’19, quando il ceto politico liberale era stato sconfitto dall’avanzata dei partiti organizzati, d’apparato, come il partito socialista e quello popolare, e quindi percepiva quella dipendenza del parlamentare come un vizio degenerativo. Aveva ben chiara l’esperienza delle crisi di governo che avevano punteggiato la storia di una maggioranza pure molto ampia nel corso della prima legislatura repubblicana e che erano state sempre crisi extraparlamentari, determinate da vicende di partito esterne al Parlamento. E da qui partiva per portare il suo affondo critico. In perfetta coerenza, più tardi, promuovendo l’Alleanza Democratica Nazionale, dichiarò esplicitamente di rigettare la partitocrazia. In quella Lettera da Montecitorio che Corbino, Giuseppe Nitti e Raffaele Terranova inviano nel maggio 1953 agli elettori, sotto l’intestazione della Alleanza Democratica Nazionale, e che costituisce una specie di programma di lista, si dichiara esplicitamente di volersi rivolgere a coloro che «non si vogliono sottomettere ad alcun partito» e che si vogliono interpretare i «dubbi e le ansie dell’uomo della strada».
[La legge elettorale] vuol dare poteri illimitati, senza alcun controllo dell’opinione pubblica attraverso il libero gioco parlamentare e politico, a un governo di partito che nulla ha fatto per amministrare saggiamente e senza sperpero gli interessi dei cittadini italiani, e che quindi non si merita la fiducia dell’elettorato 22.

Tornando al punto delle sue critiche alla legge, possono essere distinte in tre categorie: la critica ispirata a motivi di principio, la critica sul merito dell’accordo e la critica determinata da motivi di opportunità. Alla prima categoria appartiene l’obiezione che
Le elezioni servono per dimostrare se un governo o una serie di governi, durante il periodo di vita della legislatura, abbiano svolto quel programma che il corpo elettorale gli aveva assegnato. È evidente che se noi, quando abbiamo la sensazione che il corpo elettorale si allontani da noi, rettifichiamo la legge elettorale, per arrivare agli stessi risultati ai quali si sarebbe arrivati se il corpo elettorale non avesse cambiato parere, evidentemente le elezioni non servono più a nulla 23.

È l’argomento classico, e senza dubbio fondato, che le regole del gioco non si cambiano in corsa e che giustificava la tesi delle sinistre secondo la quale il governo si faceva una legge elettorale a proprio uso e consumo per coprire i propri fallimenti. Sul merito dell’accordo, Corbino esprime la tesi che si tratti di un’alleanza per trarre vantaggi elettorali, ma che non esprime una vera convergenza politica, mentre i partiti minori sono sacrificati alla DC 24. Quanto ai motivi di opportunità, Corbino ravvisa nella legge un errore strategico ed uno tattico: strategico perché parte dal presupposto che l’apparentamento di centro prenda appena il 50% e tattico perché la legge è atta a sviluppare il fuoco concentrico della destra e della sinistra contro la maggioranza 25. In privata sede, Cesare Merzagora espresse la stessa preoccupazione a De Gasperi, ipotizzando che il risultato finale della battaglia fosse opposto rispetto ai fini che si volevano raggiungere 26. Corbino partiva dal presupposto, che si rivelò fondato, che il 50% non sarebbe stato raggiunto 27, anche per la mobilitazione che sarebbe stata messa in campo per impedire alla maggioranza di raggiungere questo obiettivo. Lo stesso Epicarmo avrebbe concorso con Alleanza Democratica Nazionale all’obiettivo.
Ma la sua posizione critica non lo assimila all’opposizione. È ben consapevole, e lo dichiara, che la sua posizione pregiudicherà la sua carriera politica, ma non cerca sponde di salvataggio presso l’opposizione 28. In fin dei conti, fa un’opposizione molto pragmatica e consapevole, come dimostra il suo famoso “ponte”, ossia la proposta alla maggioranza di rivedere la legge in modo tale che le assicuri «50 voti di maggioranza rispetto all’opposizione e 25 rispetto alla normalità del risultato elettorale» 29. Per comprendere questi numeri bisogna ricordare che secondo i suoi stessi calcoli, alle elezioni del 1948 il sistema elettorale pur proporzionale aveva permesso alla DC di recuperare al collegio unico nazionale ben 25 seggi. Corbino proponeva che a questi se ne aggiungessero altrettanti ai partiti apparentati. Per lui era una soglia di sicurezza che, d’altra parte, non apriva il varco alla formazione artificiosa di maggioranze che avrebbero potuto incidere sulla Costituzione. Il “ponte Corbino” si inseriva nel contesto di un complesso di proposte che, pur andando nel senso del rafforzamento della maggioranza, evitavano forzature e stravolgimenti della legge proporzionale. Fra queste ricordo quella di Paolo Rossi che in una lettera del 27 agosto 1952 aveva illustrato a De Gasperi come bastasse modificare il meccanismo di recupero dei resti, eliminando il collegio unico nazionale, per fare acquisire alla maggioranza un largo margine di sicurezza. La tesi di Paolo Rossi era che con leggere rettifiche alla legge corrente, che pure avrebbe mantenuto il suo impianto, sarebbe stata rafforzata la maggioranza e si sarebbe garantita l’«intrinseca moralità del sistema che, pur preoccupandosi di garantire un governo alla nazione, lascia grandissima rappresentanza alle minoranze» 30.
Insomma, si trattava di un complesso di proposte, “ponte Corbino” compreso, che non si configuravano come pregiudiziali e puntavano ad abbassare il livello dello scontro. In realtà, il “ponte”, per usare la stessa espressione di Corbino 31 restò inutilizzato: sia perché l’opposizione, di destra e di sinistra, non era disponibile ad accettarlo, sia, ancor più, perché Gonella si oppose ad attenuazioni del premio di maggioranza interpretando la linea unanime della DC, nonostante che, a detta di Scelba, a De Gasperi il ponte di Corbino piacesse e fosse disposto a recepirlo 32 anche perché molti deputati della maggioranza e in particolare del gruppo democristiano erano dell’idea che fosso opportuno recepire il compromesso da lui proposto 33. L’argomento di Gonella, che era segretario del partito, era che o si andava avanti col premio previsto dal disegno di legge corrente, oppure la DC avrebbe potuto desistere. Questo la dice lunga sul desiderio della DC di riconquistare la maggioranza assoluta e la fondatezza degli argomenti di Corbino sul danno che la legge portava ai partiti laici dell’alleanza di centro, nonostante che Saragat pensasse di acquisire un vantaggio competitivo sul Partito socialista grazie al premio di maggioranza.
Conclusa la battaglia parlamentare, Corbino, assieme a Giuseppe Nitti e all’on. Raffaele Terranova, un parlamentare calabrese transfuga della DC, promosse la costituzione del movimento di Alleanza Democratica Nazionale che venne annunciata ufficialmente dal settimanale organo della sinistra indipendente «Il Rinnovamento d’Italia» diretto da Carlo Scarfoglio, il 16 marzo 1953 34. Qualche giorno dopo l’«Avanti!» dava notizia delle adesioni che erano giunte al movimento nelle persone di Alberto Bergamini, Pietro della Torretta e dell’on. Finocchiaro Aprile. Al teatro l’Eliseo, il 18 marzo, avveniva la presentazione ufficiale del movimento. Lo spirito e le motivazioni di ADN erano sintetizzate nell’intervista che Corbino rilasciava al «Rinnovamento d’Italia» il 16 marzo 1953 e nella quale sottolineava il carattere antipartitocratico del movimento e la volontà di rappresentare in Parlamento voci e posizioni che altrimenti sarebbero state oscurate dalla legge elettorale 35. Dall’intervista emergeva chiaro l’obiettivo di costituire liste di convergenza di tutte le dissidenze, comprese le socialdemocratiche e le repubblicane, e di mantenere saldo il profilo anticomunista:
La nostra ‘Alleanza’ è aperta a uomini che andranno dai liberali ai socialdemocratici dissidenti e quindi avrà in sostanza lo stesso contenuto politico generale che avrà la coalizione governativa. […]. È quindi una speculazione puerile quella di considerarla una formazione paracomunista, a meno che per paracomunista non si debba intendere chiunque osi contrapporsi a coloro i quali prendendo solo il 50% dei voti vogliono il 64% dei voti 36.

Nell’Appello agli Italiani del 13 aprile i toni si facevano ancor più drammatici, con la prefigurazione di una dittatura contro la quale si faceva appello a tutti gli “indipendenti e i dissidenti di partito” per la difesa dei principi democratici 37.
Sulla base della nota inoltrata al ministero dell’Interno dal Comando dell’Arma dei Carabinieri il 20 aprile 1953, la presidenza del Consiglio riceveva questa rappresentazione del movimento. Anzitutto, si premette che esso ha come obiettivo primario quello di non fare raggiungere alle liste apparentate il 50% dei suffragi per non fare scattare il premio di maggioranza. Si aggiunge poi che, proprio per questo motivo, il programma del movimento è formulato in modo «tutt’altro che chiaro e definito» 38. Viene quindi descritta la politica di aggregazione messa in atto dai tre politici capofila del movimento. Ai Carabinieri risultava che Giuseppe Nitti avesse contattato i dissidenti socialdemocratici Greppi, Calamandrei e Mondolfo per verificare la loro possibile convergenza e che avrebbero espresso la loro disponibilità a convergere, ma solo nella battaglia elettorale 39. In realtà, se quanto dichiara il Comando dei Carabinieri è fondato, l’esito non corrispose alle aspettative di Nitti e di Corbino, non perché non ci sia stata la convergenza d’intenti, ma perché non c’è stata la disponibilità a creare un’unica lista dei dissenzienti. Infatti, la nascita del movimento di Unità popolare come risultato della convergenza del Movimento di autonomia socialista, che si era costituito a Vicenza il 1° febbraio 1953, e della dissidenza repubblicana guidata da Parri, che uscì dal PRI nell’aprile 1953, impedì quell’ampia aggregazione di dissidenza laica, proveniente da posizioni centriste, che Corbino aveva auspicato. Questo fu il principale ostacolo alla sua strategia. Infatti, la presentazione da parte di Unità popolare di liste per le elezioni del 7 giugno in Piemonte, con Calamandrei, Garosci, Chabod e Venturi; in Lombardia, con Parri, Greppi e Caleffi; in Emilia, con Zanardi; in Toscana con Codignola, Pieraccini, Enriquez Agnoletti, Spini, Barile e Traquandi; nel Lazio, con Calamandrei, Piccardi, Zevi e Cossu, sortì il risultato di raccogliere 171.099 voti, pari allo 0,63% dei suffragi. In nessun collegio fu ottenuto un quoziente sufficiente a fare eleggere un deputato 40.
Analoga sorte toccò ad Alleanza Democratica Nazionale che ottenne 120.590 voti e lo 0,45% dei suffragi. L’obiettivo negativo di non fare scattare il quorum fu raggiunto, ma non fu centrato l’obiettivo di fare eleggere anche un solo parlamentare 41 e di costituire una forza politica che si configurasse come terza forza autonoma dalla DC e dal PCI. I motivi del mancato accordo sono da attribuire probabilmente alla distanza politica che separava e soprattutto aveva separato in tempi ancora recenti Corbino dai fondatori di Unità popolare: liberale d’ispirazione liberista il primo, per lo più di matrice azionista e interventisti in economia i secondi.
Comunque, la strategia di aggregazione di Alleanza Democratica andò avanti sondando altri terreni. A detta dei Carabinieri, Terranova tentò la strada di portare dentro l’Alleanza il Movimento dei Lavoratori Italiani di Cucchi e Magnani, che erano transfughi del PCI 42. Ma anche su questo versante l’operazione non riesce, forse anche perché, mentre sotto traccia Corbino cerca di aggregare elementi provenienti dalla sinistra indipendente, anche grazie alla desistenza del PCI, Cucchi e Magnani intendevano aggiungere alla linea antigovernativa quella decisamente anticomunista. Giuseppe Nitti, tramite l’on. Tommaso Smith, avrebbe tentato anche di avvicinare ambienti massonici di Palazzo Giustiniani 43. Ma su questo punto i Carabinieri non danno altri ragguagli. Mentre nel complesso propongono al Ministero dell’Interno un’immagine di movimento “camaleonte” che acquista diversi colori nelle diverse aree del paese, dalla destra alla sinistra, e che ha un organo di stampa ne «Il Rinnovamento d’Italia» di Carlo Scarfoglio che riflette le posizioni degli indipendenti di sinistra.
La verifica dell’impianto organizzativo del movimento conferma il fatto che, salvo eccezioni, Corbino non riesce a portarsi dietro la dissidenza liberale, che è scarsa. Mentre quella repubblicana e socialdemocratica, come dicevo, confluisce in Unità popolare. Possiamo fare qualche verifica sul campo sulla base delle relazioni di prefettura e del Comando dell’Arma dei Carabinieri che affluiscono al Ministero. A Torino, il promotore di Alleanza Democratica è Franco Antonicelli, che ne costituisce la sezione presso la sua abitazione e che i Carabinieri qualificano come persona orientata a sinistra 44. In realtà, anche se la sezione guidata da Antonicelli si costituisce a maggio, già il 13 aprile Giuseppe Nitti aveva parlato nella sala di un albergo torinese per promuovere il movimento45. L’annuncio di Nitti che la lista di ADN sarebbe stata presentata in tutte le circoscrizioni non trova poi adeguato seguito. A Milano si costituisce il comitato regionale lombardo di ADN presso la sede del partito democratico, che era d’ispirazione monarchica. Secondo l’Arma, la confluenza è soprattutto di dissidenti monarchici perché i transfughi socialdemocratici e repubblicani hanno preferito la lista di Unità popolare di Parri e Greppi 46. Il seguito sarebbe comunque scarso. A Piacenza viene tenuto un convegno provinciale degli aderenti al movimento il 22 marzo con un discorso di apertura dell’on. Terranova che avrebbe anche attaccato le scelte di politica estera della DC fatte con l’adesione al Patto Atlantico 47. A Genova e a Cento, la costituzione delle sezioni di ADN sarebbe avvenuta grazie ad esponenti della sinistra comunista 48. A Rovigo, secondo la prefettura, ADN contava nel maggio cento aderenti, tutti di estrema sinistra 49, ma si precisava che il seguito generale era comunque scarso.
Unica eccezione era rappresentata da Verona, ove la costituzione della locale sezione del movimento avviene su iniziativa di dissidenti liberali. Dei duecento aderenti, secondo il Comando dell’Arma, in maggioranza sarebbero dissidenti del partito liberale, usciti per dissensi sulla legge elettorale 50, la cui matrice sarebbe di sinistra. Potrei continuare a lungo, ma ricordo ancora due casi che confermano la natura di movimento camaleonte di ADN. A Napoli, dove Corbino si presentò nel secondo collegio senatoriale 51, la locale sezione si formò grazie alla presenza di figure di dissenso provenienti dal partito monarchico e dal Movimento sociale italiano 52. Si avvale come organo locale de «Il Giornale del Combattente» 53. A Palermo, l’iniziativa della costituzione della Federazione regionale di ADN è stata presa da Finocchiaro Aprile, già leader del partito separatista siciliano col discorso pronunciato il 12 aprile. Secondo il rapporto di prefettura, gli esponenti sono tutti ex separatisti siciliani e la sede è stata collocata presso il Comitato partigiani per la Pace 54. Quest’ultima organizzazione era notoriamente collaterale al PCI.
ADN si proponeva dunque come movimento “contro” e come tale intendeva aggregare tutto il dissenso possibile. Il PCI, in modo diverso da provincia a provincia, fornì supporto logistico e orientò l’area della sinistra indipendente per dare spazio ad una posizione politica che si proponeva l’intento dichiarato di togliere alle liste apparentate la possibilità di raggiungere il quorum necessario allo scatto del premio di maggioranza.
I risultati dimostrarono che l’intento fu raggiunto. Mancarono 57.000 voti, pari allo 0,2%, perché scattasse il premio di maggioranza. Al contrario, Corbino non raggiunse l’intento di fare del suo movimento una voce di dissenso permanente contro la partitocrazia. La mancata definizione di un chiaro programma del movimento che passasse dalla posizione del “no” ad una proposta politica in positivo concorse alla sconfitta. Come dicevo, sul piano nazionale ADN ottenne lo 0,45% con 120.590 voti assoluti. Nella sua Napoli, la lista raggiunse l’1%, con 5269 voti, superato solo da Palermo di Finocchiaro Aprile con l’1,2% e 2834 voti. A Torino, Franco Antonicelli spuntò appena lo 0,8% con 4176 voti; a Milano la lista prese lo 0,4% con 3479 voti e a Verona lo 0,6% con 794 voti. In tutti i collegi, la lista restò ben lontana dal raggiungimento del quorum necessario alla conquista del seggio.
Le relazioni di prefettura ci dicono che fra giugno e luglio tutti i circoli e le sezioni di ADN si sciolsero 55. Si era avverata la duplice profezia espressa da Corbino nel discorso tenuto alla Camera il 9 dicembre 1952: che le liste apparentate non avrebbero raggiunto il 50% e che la sua carriera politica sarebbe stata compromessa. Quali che siano le considerazioni sugli effetti che il passaggio della legge avrebbe potuto avere sul sistema politico italiano, il suo fu comunque un esempio di lucidità e di coerenza raro in politica.




NOTE



* Relazione tenuta al convegno di studi “Epicarmo Corbino, economista, ministro, politico”, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, nei giorni 3-5 giugno 2010. ^
1 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 9 dicembre 1952, pp. 43442 sgg. ^
2 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 8 febbraio 1950, p. 15214. ^
3 Nelle sue memorie Corbino confermò questa tesi, anche facendo riferimento al discorso pronunciato ala Camera. Ma ricordò anche che il partito liberale aveva chiesto per lui un dicastero economico. Cfr. E. Corbino, Racconto di una vita, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1972, p.217. ^
4 A. Ciani, Il Partito liberale italiano da Croce a Malagodi, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1968, p. 75. ^
5 Ivi, p. 76. ^
6 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 8 febbraio 1950, p. 15214. ^
7 Ivi, p. 15213. ^
8 A. Ciani, op. cit., p. 70. ^
9 Nelle sue memorie, Corbino fa cenno alle difficoltà di relazione anche personale con la segreteria del PLI. Usa la metafora delle relazioni di «due coniugi che avessero una forte incompatibilità di carattere». Cfr. E. Corbino, Racconto di una vita, cit., p. 219. ^
10 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 9 dicembre 1952, p. 43443. ^
11 Corbino accusò Villabruna di «atteggiamento staraciano». Cfr. M. Affitto, Epicarmo Corbino, in I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica, vol.II, a cura di G. Berti, E. Capozzi e P. Craveri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, p. 764. ^
12 D. Demarco, Epicarmo Corbino e l’opera sua, in Studi in onore di Epicarmo Corbino, a cura di D. Demarco, Milano, Giuffrè, p. LXXXVIII. ^
13 C. Ghini, L’Italia che cambia. Il voto degli italiani 1946-1976, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 105. ^
14 Ivi, p. 111. Dissento dalla tesi di Ghini che non dà alcun valore agli apparentamenti e al premio di maggioranza e usa questo argomento per condannare la miopia della maggioranza di centro che crede di salvarsi con la riforma della legge elettorale per le politiche in chiave maggioritaria. ^
15 S. Rogari, Le proposte maggioritarie nel secondo dopoguerra italiano, in Rappresentanza e governo alla svolta del nuovo secolo, Atti del convegno di studi, Firenze, 28-29 ottobre 2004, a cura di S. Rogari, Firenze, Firenze University Press, 2006, p. 129. ^
16 L’operazione Sturzo, ossia la convergenza in una lista civica di democristiani, monarchici e missini per le elezioni del consiglio comunale di Roma, era in realtà fortemente promossa e sostenuta da Gedda, dalla sua rete di Comitati civici e dall’Azione Cattolica che aveva portato la Santa Sede e lo stesso Pontefice a sostenerla nella convinzione che fosse l’unica opzione utile a sconfiggere le sinistre. De Gasperi impose la soluzione centrista e grazie all’apparentamento e al premio di maggioranza ebbe partita vinta pur dopo uno scontro col Vaticano fino al punto di non essere ricevuto dal Pontefice quando nel giugno 1952 De Gasperi chiese udienza al Pontefice in occasione dei voti perpetui assunti dalla figlia Lucia (cfr. M.R. Catti De Gasperi, De Gasperi uomo solo, Milano, Mondadori, 1965, p. 335. Per tutta la vicenda angosciosa dei giorni di “passione” per De Gasperi si vedano le pp. 327-334). ^
17 S. Rogari, Le proposte maggioritarie..., cit., p. 128. ^
18 Di posizioni favorevoli ad una vera conversione maggioritaria col collegio uninominale e il doppio turno c’era solo quella di Sturzo che aveva abbandonato le sue antiche pregiudiziali proporzionaliste che risalivano alla sua esperienza di fondatore del Partito popolare italiano. Cfr. S. Rogari, op. cit., p. 129. ^
19 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 9 dicembre 1952, cit., p. 43442. ^
20 Ivi, p. 43444. ^
21 Ivi, p. 43446. ^
22 ACS, Ministero Interno, Gabinetto, Partiti Politici, 1944-66, busta 115 fasc. 1438/p, Alleanza democratica nazionale, Lettera da Montecitorio inoltrata dalla prefettura di Siena al Ministero in data 5 maggio 1953. ^
23 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 9 dicembre 1952, cit., p. 43443 ^
24 Ivi, p. 43447. ^
25 Ivi, p. 43448. ^
26 S. Rogari, Le proposte maggioritarie…, cit., p. 130. ^
27 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 9 dicembre 1952, cit., p. 43447. ^
28 Ivi, p. 43449. ^
29 Ibidem. ^
30 S. Rogari, Le proposte maggioritarie…, cit., p. 130. ^
31 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, discussioni, 16 gennaio 1953, p. 45407. ^
32 S. Rogari, Le proposte maggioritarie..., cit., p. 131. ^
33 E. Corbino, Racconto di una vita, cit., p. 222. ^
34 ACS, Ministero Interno, Gabinetto, Partiti Politici, 1944-66, busta 115 fasc. 1438/p, Alleanza democratica nazionale, Dal Ministero dell’Interno al Comando dell’Arma dei Carabinieri, 24 marzo 1953. La richiesta di informazioni che viene direttamente dal ministro, riflette certa preoccupazione per l’iniziativa. ^
35 Corbino illustra gli scopi dell’Alleanza democratica nazionale, in «Il Rinnovamento d’Italia», 16 marzo 1953. ^
36 Ibidem. ^
37 ACS, Ministero Interno, Gabinetto, Partiti Politici, 1944-66, busta 115 fasc. 1438/p, Alleanza democratica nazionale, ritaglio dal «Rinnovamento d’Italia», 13 aprile 1953. ^
38 ACS, Ministero Interno, Gabinetto, Partiti Politici, 1944-66, busta 115 fasc. 1438/p, Alleanza democratica nazionale, Dal Ministero dell’Interno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, 4 maggio 1953, c.1. ^
39 Ivi, c.2. ^
40 S. Rogari, Unità Popolare, in Il Parlamento Italiano, vol. XVI, Milano, Nuova CEI, 1991, pp. 213-214. ^
41 Corbino nelle sue memorie fa riferimento ad Angrisani come unico eletto di Alleanza, ma in realtà si trattò di elezione al Senato, non alla Camera. Cfr. E. Corbino, Racconto di una vita, cit., p. 233. ^
42 ACS, Ministero Interno, Gabinetto, Partiti Politici, 1944-66, busta 115 fasc. 1438/p, Alleanza democratica nazionale, Dal Ministero dell’Interno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, 4 maggio 1953, cit., c. 2. ^
43 Ivi, c. 3. ^
44 Ivi, Comando dell’Arma dei Carabinieri al Ministero dell’Interno, 31 maggio 1953. ^
45 Ivi, Prefettura di Torino, 20 aprile 1953. ^
46 Ivi, Comando generale dell’Arma dei Carabinieri al Ministero dell’Interno, 22 aprile 1953. ^
47 Ivi, Prefettura di Piacenza, 23 marzo 1953. ^
48 Ivi. Si veda rispettivamente i rapporti del Comando dell’Arma dei Carabinieri del 23 aprile e del 12 maggio. ^
49 Ivi, Rapporto della Prefettura di Rovigo, 12 maggio 1953, ^
50 Ivi, Rapporto dell’Arma dei Carabinieri del 31 maggio 1953. ^
51 Corbino si presentò candidato alla Camera a Milano, a Verona e a Roma (cfr. E. Corbino, Racconto di una vita, cit., p. 230). Ma è evidente che escludesse la possibilità di essere eletto. La candidatura al secondo collegio di Napoli avrebbe dovuto essere quella di sicurezza, anche perché la legge col premio di maggioranza non valeva per il Senato, anche se per paradosso al Senato il premio sarebbe scattato. Com’è noto, il Senato avrebbe dovuto sciogliersi nel 1954 perché la versione originaria della Carta Costituzionale prevedeva che la durata delle due Camera fosse sfalsata, con una legislatura senatoriale di sei anni. Ma dopo lo scontro sulla legge il presidente Einaudi procedette allo scioglimento “tecnico” anticipato. Successivamente fu riformata la Costituzione omologando la durata delle due Camere come del resto era coerente con un sistema di tipo parlamentare. Comunque, Corbino non risultò eletto neppure al Senato e quindi la vicenda chiuse definitivamente la sua carriera politica. ^
52 Dopo la rottura col PLI e la battaglia contro la legge maggioritaria Corbino si era rappacificato con Lauro e questo probabilmente favorì questa confluenza. Cfr. E. Corbino, Racconto di una vita, cit., p. 224. ^
53 Ivi, Ministero degli Interni a Presidenza del Consiglio, 4 maggio 1953. ^
54 Ivi, Prefettura di Palermo, 15 aprile 1953. ^
55 Cfr. l’ampia documentazione raccolta in ACS, Ministero Interno, Gabinetto, Partiti Politici, 1944-66, busta 115 fasc. 1438/p, Alleanza democratica nazionale. ^
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