Rubbettino Editore
Rubbettino
Torna alla Pagina Principale  
Redazione: Fausto Cozzetto, Piero Craveri, Emma Giammattei, Massimo Lo Cicero, Luigi Mascilli Migliorini, Maurizio Torrini
Vai
Guida al sito
Chi siamo
Blog
Storia e dintorni
a cura di Aurelio Musi
Lettere
a cura di Emma Giammattei
Periscopio occidentale
a cura di Eugenio Capozzi
Micro e macro
a cura di Massimo Lo Cicero
Indici
Archivio
Norme Editoriali
Vendite e
abbonamenti
Informazioni e
corrispondenza
Commenti, Osservazioni e Richieste
L'Acropoli
rivista bimestrale


Direttore:
Giuseppe Galasso

Responsabile:
Fulvio Mazza

Redazione:
Fausto Cozzetto
Piero Craveri
Emma Giammattei
Massimo Lo Cicero
Luigi Mascilli Migliorini
Maurizio Torrini

Progetto grafico
del sito:
Fulvio Mazza

Collaboratrice per l'edizione online:
Rosa Ciacco


Registrazione del
Tribunale di Cosenza
n.645 del
22 febbraio 2000

Copyright:
Giuseppe Galasso
 
Cookie Policy
  Sei in Homepage > Anno XII - n. 4 > Interventi > Pag. 358
 
 
I due corpi del leader
di Aurelio Musi
1. Tra la prima e la seconda edizione de Il partito personale di Mauro Calise trascorrono dieci anni: dal 2000 al 20101. Il valore aggiunto della seconda edizione è pienamente annunciato nel suo sottotitolo: I due corpi del leader. Verrò successivamente a sviluppare questo punto. In via preliminare è opportuno invece precisare permanenze e novità fra i due contesti entro cui si iscrive l’opera di Calise, perché la sua fortuna è dovuta anche alla capacità dell’autore di intercettare, senza indulgere alle deformazioni dell’instant book, lo spirito del tempo, per così dire, e di fornire risposte più o meno condivisibili alle molteplici domande provenienti dai caratteri di quei contesti. Il 2000 è l’anno che sta per concludere il secondo mandato dei nuovi sindaci, eletti a suffragio diretto, dopo l’approvazione della legge 81/932. Sicuramente quell’esperienza consente di cogliere pienamente il significato del partito personale in periferia, ma, al tempo stesso, alla data in cui è osservata e analizzata, fa già intendere il crepuscolo di una stagione, i suoi motivi, le cause profonde del declino. Ma il 2000 è anche l’anno che precede il grande successo politico di Berlusconi. Forza Italia “nazionalizza” il comportamento elettorale degli italiani, ottenendo consensi straordinari non solo dal Nord al Sud del paese, ma anche fra strati sociali differenti, da quelli più strutturati a livello di attività professionali e di interessi, a quelli più popolari: il cavaliere riesce dunque a rappresentare interessi, valori e spinte differenti; le definizioni precedenti del suo partito – azienda, di plastica, ecc. – non sono più in grado di metterne effettivamente a fuoco fisionomia e struttura3.
Il 2010, data della seconda edizione, mette di fronte istituzioni, partiti e opinione pubblica alla lunga durata di Berlusconi, risultato di numerose variabili: la potenza economica e finanziaria del leader; la sua straordinaria proiezione mediatica; le difficoltà di contrasto e di opposizione dei partiti democratici, instabili sia nella loro struttura, sia nel rapporto fra di loro, sia nella leadership; gli effetti di quello che Calise definisce un vero e proprio “colpo di stato”, la nuova legge elettorale, il cosiddetto “porcellum”, che espropria i cittadini del diritto di scelta dei loro rappresentanti parlamentari, designati dai partiti, e che passa anche con la complicità dell’opposizione; il perfezionamento del “partito personale”. Proprio quest’ultimo punto è approfondito da Calise nell’introduzione alla II edizione. Scrive l’autore: «Il successo del partito personale è legato alla parabola, longeva e tenace, di Silvio Berlusconi […]. È grazie alla disponibilità di un partito nuovo di zecca – per struttura, reclutamento, ideologia – che Berlusconi è rimasto per quindici anni il dominus incondizionato del sistema politico, resistendo nei momenti di difficoltà e riuscendo a dare per ben tre volte con successo la scalata a Palazzo Chigi»4. Nella stessa introduzione l’autore fa riferimento a tre esempi di partito personale: quello dei nuovi sindaci, quello del magistrato più amato e odiato dagli italiani, Di Pietro, il partito del premier. Gli sviluppi della personalizzazione hanno investito destra, centro e sinistra. Il superdirigismo si è espresso anche attraverso le primarie del pd, che in realtà si sono rivelate «un fattore di frantumazione correntizia della fragile struttura in formazione […]. In breve, la mitologia delle primarie impatta – e si impantana – con la dura realtà del potere micro-personale»5. Il partito del premier travolge l’opposizione con la «macchina personale bimotore, patrimoniale e istituzionale»6.
2. Prima di entrare nel merito dei contenuti nuovi della seconda edizione, sono opportuni alcuni riferimenti di base alla prima edizione. È possibile ordinare in una forma logica abbastanza coerente e compatta, che naturalmente lascia fuori molti spunti, le argomentazioni di Calise. I passaggi sono sostanzialmente cinque: la crisi dei partiti, il confronto tra la risposta inglese e quella italiana, la definizione della fisionomia dei partiti personali, il politico come imprenditore e comunicatore, la fenomenologia del partito del premier.
Il processo di personalizzazione del potere, cioè la maggiore forza del vertice esecutivo e l’affermazione della leadership monocratica, affonda le sue radici nella crisi dei partiti. A questo come ad altri livelli Calise utilizza correttamente una prospettiva comparativa. Egli prende in considerazione il caso inglese, una specie di “terza via” tra la deriva presidenziale americana, in cui i partiti si riducono a semplice supporto dei candidati e l’autodissoluzione di tanti partiti della vecchia Europa. La “terza via” è consistita non nella deminutio, ma nella promozione del partito nella forma del leader. In Italia non si è compreso il senso di questo percorso. Si è guardato a un’altra Inghilterra, «quella imbalsamata dei modellini costituzionali, il mito arcadico del bipartitismo perfetto. Mentre l’Inghilterra reale sperimentava una riforma profonda dei partiti, portata avanti modificando dal di dentro assetti e strategie organizzative, in Italia restavamo fermi alle diatribe sull’Inghilterra virtuale, inseguendo una improbabile riforma a tavolino, che cambiasse la vita dei partiti con l’espediente di una legge fotocopiata da Westminster. Per dirla con una facile battuta, guardavamo l’Inghilterra sbagliata. Nel frattempo, sorda alle chiacchiere che alimentava, l’Italia dei partiti prendeva tutt’altra strada»7.
Per svolgere le sue argomentazioni nella parte centrale del libro, dedicata ai partiti personali, giustamente declinati al plurale perché hanno investito non solo il centro del sistema politico, ma anche la periferia, e non solo il leader Berlusconi, ma anche leader di altre formazioni politiche, Calise prende le mosse dalla critica alla chiave di lettura del bipartitismo imperfetto: una dottrina, un «astratto esercizio accademico»8 che si aspettava l’avvento del bipartitismo perfetto e che invece la crisi dei due principali partiti italiani avrebbe decisamente smentito. L’approdo rassicurante non c’è stato e la realtà ha preso una piega del tutto diversa rispetto alla dottrina. L’Italia è stata la “culla del direttismo”: a scavalcare partiti e apparati hanno contribuito i referendum, che hanno favorito l’ascesa del capo carismatico; i nuovi sindaci; il potere locale dei notabili, che, a partire dagli anni Novanta, ha occupato un ruolo di primissimo piano, giovandosi anche della frantumazione del contenitore partitico; la contrapposizione amico/nemico.
«L’unico tentativo riuscito di conciliare la premiership con la leadership di partito è stato quello di Forza Italia: un partito nuovo di zecca di tipo patrimoniale che serba comunque al suo interno altre incognite e contraddizioni»9. L’esperienza di Forza Italia, un partito dominato dal politico come imprenditore e comunicatore, dimostra che le riforme dei partiti non si realizzano con il cambio delle leggi elettorali, ma con mutamenti più profondi riguardanti la dinamica organizzativa interna. L’esaurimento del partito di massa si è accompagnato ad una ristrutturazione totale dei rapporti tra governo e parlamento e alla dilatazione del potere normativo direttamente esercitato dall’esecutivo: dunque proliferazione della decretazione d’urgenza, peso crescente della legislazione delegata, uso indiscriminato del dettato ministeriale dei regolamenti, «che diventano il vero interprete della volontà delle leggi»10, rafforzamento del governo dentro il parlamento attraverso il partito del premier e tutti gli uomini del presidente.
3. Nella II edizione de Il partito personale sono presenti alcune novità particolarmente importanti: uno stile più incisivo e asciutto nella riflessione aggiornata; una sintesi fra storia, scienza e sociologia della politica, ovverosia una certa sensibilità interdisciplinare, in larga misura assenti nella prima edizione. Quando riflette su «i due corpi del leader», Calise non può fare a meno di riferirsi alla ormai classica metafora di Kantorowicz, «i due corpi del re», la compresenza cioè, nella figura del sovrano, del corpo politico che non muore mai e garantisce la continuità del potere, e del corpo fisico destinato a deperire, ad esaurirsi nella normale parabola umana, che non risparmia nemmeno il re. Ma evidentemente non è solo lo sfondo metaforico a rendere meno ancorata alle tipologie socio-politologiche la riflessione dell’autore. È piuttosto la consapevolezza che, con l’ascesa di Berlusconi e con la proliferazione dei macro – e micro – partiti personali tutta la lunga e complessa vicenda dello Stato moderno, fondata sul progressivo primato di un corpo politico collettivo e sullo sviluppo della impersonalità del potere pubblico, sia in certa misura arrivata al capolinea.
Il corpo collettivo, che ha contribuito a favorire lo sviluppo del moderno impersonale Stato di diritto, attraverso il progressivo affermarsi della divisione e dell’equilibrio fra i poteri, un’intelaiatura istituzionale capace di esprimerlo e realizzarlo, l’approdo alla carta costituzionale, vero fondamento della nazione, si è come dissolto, annullato nel populismo del capo carismatico, nelle pratiche di un corpo fisico coltivato ed esaltato fino allo spasimo, in uno svuotamento dall’interno delle istituzioni democratiche e rappresentative, riempite con la concezione patrimonialistica e personalistica del capo. Quello che emerge è il corpo nudo del potere. Il corpo fisico del re, che si estrinseca nel rapporto viscerale, diretto tra leader e popolo, riprende il sopravvento anche perché l’altro corpo, quello politico collettivo, appare in disfacimento. «Al posto dei politici senza corpo, trionfa l’esibizione del corpo mediale dei leader, nuova icona della comunicazione di massa»11. Già, perché «dalla costola del partito personale sono gemmati cento, mille partitini individuali»12: alla politica macropersonale di Berlusconi ha fatto riscontro la politica micro-personale di altre cariche monocratiche che sono emerse in questi anni sulla scena italiana. «Parafrasando la maledizione di Hobbes, i corpi ritornano persona, particolare e inalienabile. Annidati nel ventre dello Stato»13.
4. A conclusione di queste brevi osservazioni vorrei muovere due rilievi critici a Calise, proprio a partire dalla seconda edizione del suo libro: la prima riguarda la «stagione dei sindaci»; la seconda ha a che fare con l’analisi delle tipologie di voto, che occupa l’ultima parte del volume, e sulla quale l’autore costruisce addirittura una prospettiva strategica per il successo dei partiti democratici.
Il riferimento ai nuovi sindaci è ricorrente nelle pagine di Calise. Se nella prima edizione de Il partito personale erano del tutto insufficienti sia l’analisi sia, soprattutto, l’identificazione dei motivi che avevano condotto alla crisi e all’esaurimento del valore propulsivo che quel fenomeno aveva rappresentato nel sistema politico locale italiano, nella seconda edizione sono ancor più inspiegabili la superficialità e la disattenzione verso i problemi di fondo, non solo congiunturali ma strutturali, per così dire, che erano emersi abbastanza presto nella pratica di governo locale e nella prospettiva politica delineatasi nel cosiddetto «partito dei sindaci». Voglio dire che nel 2000 non si era ancora concluso del tutto il secondo mandato sindacale: anche se pubblicistica e opinione pubblica avevano già da qualche anno invitato a riflettere sul valore e, soprattutto, sui limiti di quella che Calise chiama «la primavera dei sindaci».
Nel 2010 le cose appaiono diversamente. Certo non mancano tentativi, da parte di alcuni sindaci, di riprendere forme e contenuti di un’esperienza affermatasi oltre un quindicennio prima. Dopo una legislatura come parlamentari, personalità di indiscusso rilievo durante la stagione precedente ritornano al “locale”, per così dire: la fortuna elettorale li favorisce e così ricoprono il terzo mandato. Alcuni sindaci del partito democratico, estranei alla stagione ruggente, ne riprendono alcune linee, alimentando anche una contrapposizione interna al partito tra giovani e vecchi, il bisogno di “rottamazione degli anziani” e di ricambio della leadership.
Di tutto questo non c’è traccia nel volume di Calise e non c’è traccia nemmeno di una riflessione approfondita dei motivi del crepuscolo e della fine della “stagione dei sindaci”, ormai, al 2010, pienamente storicizzabili e oggetto di un’ampia letteratura. “Absit iniuria verbis”, ma sorge il sospetto che a spingere Calise a glissare su questa materia sia la sua partecipazione diretta all’ascesa e alle fortune di Antonio Bassolino e del bassolinismo, prima come uno dei maggiori responsabili delle campagne elettorali del sindaco, quindi in qualità di “primo consigliere del principe”.
Per la verità il riferimento ai limiti e alla crisi di una stagione non può mancare nell’opera di Calise: anche perché sono sotto gli occhi di tutti. Ma esso appare alquanto debole e minimale: si riduce in sostanza ad osservare l’assenza dei temi della riforma dello Stato nel programma dei
sindaci e il conflitto tra periferia e centro come cause più importanti della crisi. Per il resto nel 2000 Calise è ancora fiducioso nelle possibilità che il “partito dei sindaci” possa arrivare al centro del sistema politico italiano anche se dovrà affrontare non poche difficoltà: «Quando – e se – entrerà a Montecitorio l’armata dei nuovi sindaci – egli scrive – forti della propria esperienza di governo, nel sistema rappresentativo italiano ci sarà un terremoto forse più forte di quello che ha spazzato il ceto della Prima Repubblica: partiti come gli antesignani dell’investitura popolare diretta, i sindaci dovranno vedersela coi meccanismi che, da più di un secolo, difendono le prerogative della rappresentanza indiretta. La strada per la nobile utopia della repubblica delle città è ancora lunga»14. E qui il riferimento al libro – La repubblica delle città appunto – e all’ideologia bassoliniana è quasi esplicito.
Ma questo è il punto: perché il “partito dei sindaci” non fu in grado di trasformare l’utopia in realtà e costruire il ricambio di leadership a livello nazionale? Calise glissa, non risponde a questa domanda: perché la risposta ad essa implica un’impietosa disamina dell’eclissi della stagione dei sindaci.
Il principale obiettivo del partito dei sindaci – l’aspettativa cioè di un efficace condizionamento politico del piano locale sul piano nazionale – si è rivelato un’illusione. Bianco e Bassolino sono stati ministri della Repubblica, Rutelli leader del centrosinistra. Essi hanno tuttavia ricoperto quelle cariche o quelle funzioni, indipendentemente dal giudizio che si può dare del loro operato che non fu certo brillante, non in quanto esponenti di un partito dei sindaci. Le differenze esistenti tra i diversi sistemi politici locali, di cui i sindaci sono stati espressione e di cui hanno contribuito ad enfatizzare le specificità, hanno fortemente limitato la possibilità che i primi cittadini esprimessero e realizzassero un partito. La personalizzazione della politica e lo stravolgimento dell’equilibrio tra esecutivo, legislativo e potere di controllo non ha favorito il processo di sviluppo di una nuova classe dirigente locale. Essa si è creata per cooptazione in stretta dipendenza dalla persona del sindaco: solo l’integrazione nel suo sistema di potere ha reso possibile l’affermazione politica individuale. Lungi dal contribuire al superamento della crisi della formapartito in Italia, le hanno inferto il colpo di grazia attraverso il ricorso a tutte le più sfrenate forme di personalizzazione della politica15.
L’altro rilievo riguarda il piano strettamente elettorale e le tipologie di voto. Riprendendo un saggio di Luigi Di Gregorio, Calise ne individua quattro: il voto ideologico, il voto d’opinione, il voto legato al carisma, quello che scaturisce dal patronage, cioè il voto di scambio. Calise scrive che l’unica possibilità per i partiti democratici di vincere le elezioni è che trovino spazio legittimo tutti e quattro i tipi di voto, «perché ciascuno riflette un segmento, importante e irriducibile, dell’elettorato italiano»16.
Il passo dal voto inquinato al voto di scambio è assai breve. Lo si è visto anche durante la recente competizione elettorale napoletana. Dunque non c’è alternativa alla loro legittimazione? Per vincere, il centrosinistra deve rassegnarsi alla loro accettazione, perché non può fare a meno di quel segmento che si esprime attraverso inquinamento e scambio? L’alternativa c’è. Si tratta per i partiti democratici di mettere a punto, anche e soprattutto in periferia, una strategia di lungo periodo tendente a ricostruire, dopo la deriva di partiti e partitini personali, un modello organizzativo nuovo capace anche di orientare, controllare, filtrare. Si tratta ancora di promuovere le funzioni dello Stato in periferia, che oggi vive in un rapporto di concorrenza assai spesso perdente con i poteri paralleli semilegali e illegali presenti sul territorio e che oscilla di continuo e quasi schizofrenicamente tra collisione e collusione con essi.
“Vaste programme”, avrebbe detto De Gaulle. Ma è l’unica alternativa di lunga durata al voto inquinato e al voto di scambio.





NOTE


1 M. Calise, Il partito personale, Roma-Bari, Laterza, 2000; Idem, Il partito personale. I due corpi del leader, Roma-Bari, Laterza, 2010.^
2 Per cui rinvio ad A. Musi, La stagione dei sindaci, Napoli, Guida, 2004.^
3 Cfr. A. Musi, Due sindaci e un cardinale, Napoli, Pironti, 2000.^
4 M. Calise, Il partito personale, II ed. cit., p. 3.^
5 Ivi, pp. 8-9.^
6 Ivi, p. 9.^
7 M. Calise, I ed. cit., p. 48.^
8 Ivi, p. 52.^
9 Ivi, p. 59.^
10 Ivi, p. 95.^
11 M. Calise, II ed. cit., p. 115.^
12 Ivi, p. 120.^
13 Ivi, p. 124.^
14 M. Calise, II ed., cit., p. 71.^
15 A. Musi, La stagione, cit. pp. 95-96.^
16 M. Calise, II ed., cit., p. 145.^
  Cosa ne pensi? Invia il tuo commento
 
Realizzazione a cura di: VinSoft di Coopyleft