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Lettere e lettura di Ernesto De Martino. A proposito di recenti contributi di Pietro Angelini
di Emilio Renzi
Pietro Angelini consegna uno strumento di lavoro e un contributo di studio al sempre rinnovato interesse per la conoscenza di Ernesto de Martino.
Lo strumento di lavoro è la pubblicazione critica delle lettere conservate nell’Archivio personale di de Martino e scambiate negli anni di documentazione e stesura del suo secondo libro Mondo magico, apparso nel 1948 ma elaborato in anni precedenti (Ernesto de Martino, Dal laboratorio del «Mondo magico», Carteggi 1940-1943, a cura di Pietro Angelini, Lecce, Argo, 2007).
Il contributo di studio è un partecipe e agile libro di poco più di 160 pagine: Ernesto de Martino, per i tipi di Carocci (Roma, 2008).
I carteggi integrano la conoscenza degli anni in cui de Martino ha terminato Naturalismo e storicismo nell’etnologia, apparso nel 1941, e si dedica al successivo Mondo magico. Sono anche gli anni in cui vive e opera a Bari. Gli anni cioè in cui la sua personalità si muove su tutti i fronti della sua inquieta ricerca: la determinazione di una «religione civile» nel fascismo matura in scelta del socialismo attivo; il rapporto con i maestri di storia, storiografia e filosofia, Adolfo Omodeo e Benedetto Croce si affina e si complica; si moltiplicano conoscenze e rapporti intellettuali. Questa beninteso è una sintesi: Angelini fa notare che la biografia intellettuale e sentimentale di de Martino è ormai ben nota e non ci vuol tornar sopra.
Dunque, cinquantotto lettere inedite e dodici già pubblicate. Le sei a e da Omodeo sono precedenti perché risalgono agli anni dal 1932 al 1938. È inserita anche la prima lettera da de Martino a Croce, scritta presumibilmente nel 1940. Lettera a tal punto tormentata per le molte questioni di metodo e interrogativi circa La storia come pensiero e come azione pubblicato da Croce nel 1938, e che peraltro de Martino avvertiva annodati in se stesso, da esser inviata inconclusa e tale giunta a noi. Essa è importante; per la precisione Angelini l’aveva già edita in una silloge del 1989.
Nell’insieme, Angelini vede in queste lettere uscite ora dall’Archivio i materiali, le connessioni, le ipotesi, le vie tentate, abbandonate e scelte, di quella Storia del magismo che de Martino aveva preannunciato in vari momenti e soprattutto consegnato all’indicativo sottotitolo di Mondo magico («Prolegomeni a una storia del magismo») – e che mai scrisse. Il programma demartiniano era però preciso e ebbe l’appoggio di Croce, dal cui quadro teorico-culturale de Martino non si staccò mai e al contrario operò come da una cittadella fidata e salda, come carte alla mano ha dimostrato da molti anni Giuseppe Galasso (in Croce, Gramsci e altri storici, Milano, il Saggiatore, 1969). Angelini avverte che comunque queste lettere vanno considerate non più di una prima traccia per la comprensione della ricerca demartiniana del periodo e del tema. Andranno infatti aggiunti – per restare solo nella componente epistolografica degli interlocutori di allora – almeno nomi molto importanti: Raffaele Pettazzoni innanzitutto, ma anche Antonio Banfi e nuovamente Omodeo e Croce.
Circa Pettazzoni, ci si assicura che il carteggio, già noto grazie a Mario Gandini, sarà ripubblicato in altra sede.
Circa Banfi, che dirigeva «Studi filosofici» e il cui razionalismo critico di ascendenza da Husserl e da Simmel si ergeva da Milano di contro agli idealismi pur diversi di Gentile e di Croce, la lettera che gli scrisse de Martino il 12 febbraio 1941 fu scoperta nell’Archivio dell’Istituto Banfi a Reggio nell’Emilia da Carlo Ginzburg e da questi e da Arnaldo Momigliano studiata con approfondimenti di notevole interesse che Angelini condivide solo in parte.
Infatti Banfi e de Martino, scrisse Momigliano, avevano in comune il «problema della persona» in singolare contiguità cronologica. Banfi pensava e cercava in termini di “crisi della persona” nei mesi tra il 1942 e il 1943; invece de Martino avrebbe preso a ragionare in termini di “perdita della presenza” dal 1944. Angelini sostiene che de Martino pensava in termini di persona come insieme integrato di relazioni e di crisi come trasformazione.
Alla fine si può comprendere come il filosofo che più di ogni altro capì de Martino (e ne fosse ricambiato) sia stato Enzo Paci, il grande allievo di Banfi, agitato in quegli anni e nel dopoguerra dalla propria personale ricerca delle relazioni tra esistenza e storia.
In Carteggi appaiono due lettere di Remo Cantoni il cui Pensiero dei primitivi vide la luce qualche mese dopo Naturalismo e storicismo. Era l’estensione della tesi di laurea condotta sotto la guida di Banfi. Cantoni era nella redazione di «Studi filosofici» e Banfi lo pregò di recensire Naturalismo… e di rispondere a una richiesta di materiali di studio da parte di de Martino. Recentemente Carlo Montaleone ha affermato che «quei due libri avevano aperto la cultura italiana alle scienze umane» (cfr. Remo Cantoni, a cura di M. Cappuccio e A. Sardi, Milano, CUEM, 2007, p. 10; nello stesso libro si vedano i saggi di Clementina Gily, Cosa significa formare. Saggio su Remo Cantoni e il pensare primitivo, pp. 55-79, e di Flavio Cassinari, La dinamica di legittimazione dell’identità, pp. 81-102).
Di tutte le lettere dei Carteggi la seconda di Cantoni è quella umanamente più calda; scrive che gli vien naturale dare del “tu” al corrispondente lontano per geografia, prossimo per età e intellettualità. Cantoni era uomo di bel sorriso.
Nella maggior parte delle lettere a e da studiosi, de Martino chiede più libri che lumi e consigli; Angelini le giudica anche «scritti premonitori e di approvvigionamento»; importanti risultano Omodeo e Cassirer, allora esule in Svezia; difficile il rapporto col Buonaiuti.
Quanto a quello che abbiamo chiamato il «contributo di studio» di Angelini, esso è una presentazione del pensiero di de Martino non nella sua interezza bensì nelle opere e nei temi che Angelini ritiene i più significativi per la comprensione e per un possibile odierno sviluppo dell’opera del pensatore napoletano.
Una lunga e discorsiva «Nota biobibliografia» aiuta comunque a richiamare i libri e i giorni e i ricordi della non lunga ma intensa vita di Ernesto de Martino e, in sintetiche indicazioni, gli echi e i giudizi successivi.
Le opere e i temi che Angelini ritiene i meno significativi ai fini della sua esposizione sono il periodo degli esordi; il ruolo svolto dallo studioso nella promozione e diffusione delle scienze religiose; l’analisi di due opere quali Morte e pianto rituale nel mondo antico e La terra del rimorso; infine la «raccolta ultima e incompiuta» La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, apparso postumo nel 1977.
Ogni esclusione ha un proprio speso specifico. Così, non trattare gli anni degli esordi significa sfocare sui contenuti della formazione culturale e politica e sugli apporti apparentemente non «alti»: Macchioro, Aliotta, Boccassino, Buonaiuti e non solo Omodeo e Croce. Sono anche i nomi che ricorrono proprio nel «laboratorio» del Mondo magico.
Sorvolare sull’importanza di de Martino nella promozione e diffusione delle scienze religiose significa non dar luce all’importanza culturale dei rapporti con gli editori del tempo: non solo Giulio Einaudi (e per esso come si sa Cesare Pavese), ma anche Giangiacomo Feltrinelli e Alberto Mondadori (su cui ora si veda nel citato libro su Cantoni il saggio di Emilio Renzi, Il grande amico. Alberto Mondadori, Remo Cantoni e l’editoria culturale milanese tra gli anni Trenta e il 1976, pp. 149-166).
Quanto a Morte e pianto rituale e a Terra del rimorso, sono le due opere cui de Martino affidò le sue risposte alle osservazioni critiche ricevute per Mondo magico sui piani della storia e della etnografia (de Martino non amava neanche un po’ i termini antropologia ed etnologia).
Riguardo a La fine del mondo, in tal modo si evita la ingens sylva di quaderni quanto mai ricchi e ispidi, ma appunto si scivola a fianco di un lavorio in cui de Martino rimetteva in gioco l’intera sua ricerca in riletture e ripensamenti: Croce sempre, ma anche gli esistenzialisti laici e cristiani (si vedano Scritti filosofici di Ernesto de Martino, a cura di R. Pàstina, Bologna, Istituto italiano di Studi storici e Società editrice il Mulino, 2005, e la nota al riguardo ne «L’Acropoli» VII, 3 – maggio 2006, pp. 356-360). Ma tant’è e il de Martino del profilo angeliniano è dunque in sintesi quello di un uomo solo, agonico e ricominciante sempre.
È il pensatore che ritiene di aver risolto nel Mondo magico le acerbità di Naturalismo e… accogliendo le obiezioni di Croce e le integrazioni di Paci ma non riconoscendosi nelle prime e nelle seconde se non in parte, tien fermo che il suo tema è la crisi della civiltà europea, che avrà superato la guerra e si aprirà al socialismo.
È l’uomo che prosegue il proprio ostinato cammino personale per gli impervi terreni di un Sud acre, fascinoso e disparente. A questo tratto Angelini dedica molte belle pagine analitiche e sembra di capire che ritiene che sia il suo più proprio.
Anche negli «ultimi tempi» di Ernesto de Martino, Angelini trasceglie e identifica alcuni filoni forti: i temi della raccolta Furore Simbolo Valore – libro del 1962 generalmente trascurato – che vanno da ricognizioni nelle contemporanee Europa e URSS alle trasmutazioni del decennio verso le quali de Martino si volge con attenzione più che con perplessità. A maggior ragione la vertiginosa enormità del lavorio di scavo e di documentazione e di ipotesi sul passato profondo e sul profondo della psiche e sui reali e possibili rivolgimenti dell’uomo sta per un altro ricominciamento ancora.
Tra disordine e ordinamenti de La fine del mondo Angelini sceglie e segue il tema del tempo nelle sue varie modulazioni. Il tempo è tema squisitamente filosofico. Allora questo de Martino andrebbe riletto in connessione con gli appunti delle sue letture e riletture filosofiche sopra ricordate. In conclusione anche alla fine Ernesto de Martino si conferma homme qui cherche.
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