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Diderot e la nazione napoletana. Diderot napoletano
di Giuseppina D'Antuono

Insere, Daphni, pyros, carpent tua poma nepotes
Virgilio, Bucoliche, IX, 50



1. Nelle biblioteche dei patrioti meridionali

Nella biblioteca di Michele Pironti, patriota, giurista e ministro italiano, corrispondente di Luigi Settembrini, collega di Vittorio Imbriani e di Giuseppe Pica, autore nel 1875 di un memorabile Discorso sulla pena di morte1, era conservata una Miscellanea teatrale. Pironti custodiva una particolare edizione degli inizi del secolo decimo nono, nella quale il carattere europeo si esprimeva in pièces diverse per genere e provenienza: due tragedie, un dramma tragico, due drammi, tre commedie, una farsa tutte in lingua italiana, tre tradotte dal francese e sapientemente accostate per il contenuto alle altre cinque in italiano2. Tra i titoli tradotti, oltre al Filottete de la Harpe, figura quel binomio emblematico della Francia prerivoluzionaria3 il Jenneval di Mercier e Il padre di famiglia di Diderot nella versione livornese del 1762 di Michele Bocchini riedita nel 1799 nella città lagunare.
Era quella dell’avvocato Pironti una “biblioteca di famiglia” ereditata, dalla vocazione storico-giuridica e dal carattere cosmopolita, nella quale la presenza di questo volumetto, ormai, alla luce di ben note pagine crociane, non può stupire, né considerarsi anomala. Essa si sarebbe arricchita negli anni con particolari e ben significativi titoli stranieri, per divenire poi patrimonio pubblico nella biblioteca provinciale di Avellino, rappresentando il frutto di quel lungo processo di costruzione in atto a Napoli e nei «paeselli di provincia», di biblioteche patriottiche che avevano accolto libri francesi o tradotti dal francese.



2. Un bilancio storiografico

Allo stato attuale si presenta non più scarna, né scarsa la conoscenza della consistenza delle biblioteche private del Regno di Napoli, di sicuro non al passo con altre aree europee, ma oggetto di un progressivo aumento d’interesse che negli ultimi due decenni è stato rivolto a questi spazi: circuiti accademici, non solo privati della sociabilità. Gli studi, infatti, sulla circolazione della cultura illuministica e riformista nel Regno di Napoli hanno condotto naturalmente a spingere l’osservazione all’interno tanto delle biblioteche di istituzioni laiche ed ecclesiastiche, quanto delle librerie private4. Il che si è materializzato in regesti e studi sulle biblioteche di alcuni dei protagonisti del Settecento meridionale, da quelli apripista su Valletta ai più recenti sulle raccolte librarie di famiglie aristocratiche della Luise5, per non trascurare i consistenti censimenti di quelle distribuite in maniera disomogenea in provincia6. Si tratta di operazioni di ricognizione utili anche per una migliore messa a punto della storia della circolazione dell’Illuminismo, in particolare della formazione, del consolidamento e delle relative ibridazioni del pensiero politico-culturale7.
Gli studiosi del mondo culturale napoletano del secondo Settecento hanno compiuto un duplice e parallelo sforzo, per liberarsi a fatica tanto dai tentativi teleologici che avevano condizionato precedenti lavori, appiattiti sugli “inevitabili” sbocchi rivoluzionari, che dalle gelose posizioni di chi nel Settecento aveva cercato invece i più noti “precursori” del Risorgimento. Intanto altre tendenze di recente sull’Illuminismo si sono affermate, gli oggetti delle ricerche hanno restituito specificità a diversi ambienti della società, in buona parte costituita dai circuiti privati: “studi” e accademie connotati da orizzonti politico-culturali e da percorsi formativi differenti. Invero risulta oggi più consistente il livello della conoscenza della fisionomia culturale del Mezzogiorno d’Italia della seconda metà del ’700 in relazione alle dimensioni, alle dinamiche socio-economiche e ai rapporti politico-istituzionali interni ai milieux letterari della capitale, e ancora alle presenze di personaggi della “Repubblica delle lettere”, alle letture pubbliche e private, al tenore delle discussioni tenute nei salotti o per corrispondenza su temi proposti anche in absentia dai philosophes8. Inoltre se sono noti, grazie ai cataloghi editoriali una parte dei titoli richiesti9 e tradotti, meno, tuttavia, lo sono le biografie dei traduttori italiani di Montesquieu10, Morellet, dei physiocrates nonché dell’abbé Raynal, per riferirsi solo alle opere quantitativamente più presenti in quei cataloghi. Quei risultati, a fronte anche della scarsezza di altre fonti, sono frutto di ricerche d’ausilio anche nella ricostruzione di singole biografie della prima e della seconda generazione dei riformatori, interni o estranei alle “dinastie” dei giuristi napoletani, da Genovesi, passando per Galiani fino a Galanti11. Agli storici delle idee e di cultura politica dell’Illuminismo italiano12, concentrati sulle dinamiche della circolazione e della censura, ora appaiono chiare le difficoltà di realizzare per il Regno di Napoli sui “mauvais livres” studi comparabili a quelli messi a punto da Darnton13. Infatti proprio il rischio d’incappare nell’illusion d’optique ha convinto gli studiosi ad indagare in misura maggiore gli archivi privati, anche se non allontanandosi del tutto dagli archivi di stato e vagliando bene la genealogia documentaria.
È stata questa transizione che ha consentito di mettere meglio a fuoco la complessità del variegato humus dell’Illuminismo meridionale, considerandone modelli, ragioni socio-economiche e politiche, aspetti ideologici e modalità espressive, tanto autoctone che intessute della ricezione di specifiche idee europee. Ma se a fronte dei risultati acquisiti, oggi si possono considerare con più chiarezza il grado e le dinamiche di diffusione e la forza propulsiva del pensiero montesquieiano14 sebbene anche in tale caso ci siano state gravi sfasature e distorsioni15 l’uso o la fortuna, come un tempo si preferiva definirla, delle teorie fisiocratiche, e ancora lo sviluppo e l’uso delle idee rousseauiane16, sembra opportuno porsi una delle spinose questioni di venturiana memoria: a che punto sono gli studi sulla presenza di Diderot a Napoli nel secondo Settecento17?



3 Assenza storica o storiografica?

Ebbene ciò che sembra indiscutibile è la scarsezza di ricerche al riguardo18. Non si tratta, però, di un’anomalia tutta italiana, dato che anche in Francia solo durante il secondo trentennio del Novecento, in virtù sia dei lavori di Hérbert Dieckmann, Jacques Proust, Yves Bénot, di Chouillet, Bélaval, Wilson, Trousson e Dulac, che dell’operazione di Otis Fellows e «Diderot Studies», si è assistito alla tanto attesa e celebrata “renaissance” di Diderot19. Gli studiosi menzionati, così come i non più tanto recenti lavori di Niklaus, oltre ad aver consentito di apprezzare «l’orchestration savante», grazie alla quale Diderot seppe «dégager son originalité foncière»20, hanno concorso a superare una pericolosa pratica interpretativa, consolidatasi agli inizi del secolo scorso, allorché il disinteresse era sfociato in un sistema critico costituito da almeno due tendenze per metodologia e per semantica contrapposte21. Il pensiero e le opere del philosophe di Langres sono state sottoposte indifferentemente a processi critici di semplificazione o di alterazione del loro reale significato. Ma che quel philosophe costituisse un personaggio «dalla falsa sensibilità», scomodo, dal linguaggio particolare si poteva cogliere nel giudizio niente affatto lusinghiero, ma obiettivo nella diagnosi delle cause, che offriva ai lettori francesi Tocqueville nel 1856. Egli, infatti, da profondo esaminatore dei contraddittori caratteri di quella società, decretava nel binomio irreligiosità-rivoluzione l’insuccesso della littérature dangereuse e di Diderot:
Quel Français s’aviserait aujourd’hui d’écrire les livres de Diderot ou d’Helvétius? Qui voudrait les lire? Je dirai presque, qui en sait les titres? L’expérience incomplète que nous avons acquise depuis soixante ans dans la vie publique a suffi pour nous dégoûter de cette littérature dangereuse. Voyez comme le respect de la religion a repris graduellement son empire dans les différentes classes de la nation, à mesure que chacun d’elles acquérait cette expérience à la dure école des révolutions.

Nell’individuare nel sentimento dell’«irréligion du XVIIIe siècle» il nodo focale e originario della comune sfortuna, non mancava lapidario di aggiungere che, non solo non si scrivevano più libri di quel tenore, ma che nessuno avrebbe voluto leggerli22. Se la lunga sfortuna di Diderot aveva lontane origini Oltralpe “in quel lungo Ottocento”, anche in interpretazioni alteratrici del pensiero originale, in Italia le vicissitudini della circolazione di quel pensiero erano state tanto tortuose che Venturi e Casini avvertivano gli studiosi italiani nel far attenzione alle «trappole» di «esorcizzazione di condanne remote» come ad effetti di sfasature ereditate negli anni23. Tuttavia era innegabile che ormai la reviviscenza degli studi italiani su Diderot fosse cominciata, come d’altronde notava nel 1964 Paolo Alatri24. E così sul finire degli anni Sessanta mentre Diaz si dedicava agli scritti politici dell’illuminista di Langres, Casini e Venturi delineavano piuttosto la fisionomia del Diderot enciclopedista25, segnando una transizione nelle ricerche che si collegavano in parte a quelle che Proust svolgeva in Francia. Eppure quella ripresa degli studi diderotiani ancor più fertile negli anni Ottanta26, sembra oggi invece tanto più lontana, se si leggono le recenti pagine sugli ostacoli frappostisi alla diffusione nel XVIII secolo della logica sperimentale nel Mezzogiorno d’Italia27. Lontananza che induce allora a riflettere sull’assenza attuale di indagini organiche sulla diffusione a Napoli di Diderot e del razionalismo applicato e che fa considerare tale argomento una reale “zona franca”.



4. Diderot a Napoli: un philosophe a teatro

Dei tanti aspetti di questo paesaggio inesplorato ne esiste uno oggetto della presente ricerca i cui primi risultati si presentano. Si è provato a fornire materiale per iniziare a rispondere al quesito sorto in merito ai processi e alle dinamiche di circolazione a Napoli di Diderot. Con quali obiettivi, ci si è interrogati, nei milieux culturali della capitale si decise di commissionare una traduzione diderotiana, o meglio, un volgarizzamento di due sue pièces e pubblicarle nel 1784? La genealogia dell’interrogativo, coincidente con il ritrovamento di un volume sconosciuto, conservato in una biblioteca pubblica napoletana, può chiarire, anche se solo in parte, la genesi del presente intervento.
Si tratta di un’opera pubblicata nel 1784, come si è già notato, da uno degli editori e intellettuali meridionali più raffinati nonché professore del foro: Vincenzo Orsino28.
La Raccolta di drammi francesi volgarizzati. Il figlio naturale o le pruove della virtù, il Padre di famiglia si apre con la Prefazione dell’editore29. In quell’anno dai torchi della tipografia Orsino non usciva solo il Dictionnaire de chimie, opera dalla risonanza europea, ma anche tale libretto che all’epoca fu pubblicizzato nel Regno e all’estero, e che sebbene sia stato superficialmente inserito in uno di quei momenti “occasionali” per la stampa del genere teatrale30, invece ha richiesto di essere analizzato, non tanto per il contenuto, quanto per la genesi e l’ambiente culturale all’interno del quale maturò questa iniziativa editoriale dagli inattesi risvolti socio-politici31.
Grazie ad indagini e ad ulteriori incroci documentari è emerso che, se nel 1784 fu edito il volgarizzamento, tuttavia, ben undici anni erano trascorsi dalla prima messa in scena di una pièce diderotiana a Napoli. Se poi si aggiunge che qualche anno addietro si era già consumata la prima fase della ricezione nella capitale, è possibile a tal punto trarre qualche primo dato. La circolazione del Diderot a Napoli è da rappresentare come un iter scandito da date precise: 1773 prima rappresentazione, 1777 pubblicazione delle pièces in lingua originale, 1784 volgarizzamento edito da Orsino. Si tratta, infatti, di un processo che prese corpo mediante una serie di episodi databili dagli inizi degli anni Settanta lungo l’arco di un decennio. Se Napoli conobbe prima il Diderot filosofo autore di voci enciclopediche, in seguito accolse, in linea con le maggiori città europee, anche l’autore di pièces drammatiche. A giungere e ad essere pubblicizzato sulle Gazzette in città fu, infatti, dapprima il modello e il monumento della cultura generale, in quanto «patrimonio unitario, un circolo onnicomprensivo del sapere»: l’Encyclopédie32. Diversi intellettuali meridionali ne fecero ampio uso mostrando attenzione in maggiore misura verso alcune voci, compresa quella Jesuite redatta da Diderot33.



5. Un antigesuita d’Oltralpe nei milieux della Napoli anticuriale34

Napoli lesse prima le philosophe Diderot, le maître il quale attribuiva all’ordine dei Gesuiti la decadenza degli studi e la corruzione dei costumi e che nel 1754 aveva sintetizzato così le perplessità sui risultati di un’educazione a loro affidata:
Pendant que les études se relevoient dans l’université, (…) achevoient de tomber dans leurs collèges, & cela lorsqu’on étoit à demi convaincu que pour le meilleur emploi du tems, la bonne culture de l’esprit, & la conservation des moeurs & de la santé, il n’avoit guère de comparaison à faire entre l’institution publique & l’éducation domestique35.

È noto quanto il decennio 1754-1764 fosse stato caratterizzato a Napoli dalla politica tanucciana, che sostenuta negli ambienti regalisti, dei quali era anche espressione, impresse poi, tra il 1767 e il 1773, anche con la cacciata dei Gesuiti una svolta decisiva e nella dimensione politico-culturale e in quella socio-economica della capitale36. In quel clima riformatore Genovesi fu chiamato a collaborare al riordinamento del Collegio del San Salvatore37, il più antico dei Gesuiti di Napoli, annesso alla chiesa del Gesù vecchio che poi avrebbe preso il nome di Casa del Salvatore38. Se Genovesi era stato consigliere ed ispiratore con il Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze del progetto di laicizzazione delle scuole del Gesù vecchio, fornendo i nominativi dei nuovi maestri, tanto preti quanto laici, in quegli anni Ferdinando Galiani era informato periodicamente da Tanucci e così partecipava da Parigi alle scelte politiche effettuate39. La condivisione di un’ideologia dalla lunga durata, come quella del “vero utile”, costruita sulla ragione, caratterizzava gli ambienti di magistrati regalisti all’interno dei quali circolò lo scritto enciclopedico diderotiano. Essa consisteva in un progetto di definizione dei confini dei poteri, non anticurialista tout court, ma volto ad arginare anche forme di superstizione, generate da culture non legate allo sperimentalismo. Si trattava di un progetto che investiva l’intera società e in quanto tale non poteva trascurare i rapporti tra la morale e la religione, avendo trovato nella battaglia giurisdizionalistica un fulcro essenziale del progetto riformatore. In tale contesto politico-culturale va inserito l’approccio e l’interesse per il settore teatrale, con il medesimo intento di sottrarre uno spazio di azione e di pubblicizzazione al modello gesuitico, che come l’istruzione rappresentava per Genovesi e Galiani un settore importante dell’educazione laica e pubblica.



6. Ferdinando Galiani: il mediatore di Diderot

La pièce di Diderot Le père de famille fu rappresentata in francese, non solo in uno spazio scenico pubblico cittadino, ma anche a corte in presenza delle élites governative comprese diverse ambascerie straniere. Sono state ricostruite quelle dinamiche che condussero dall’introduzione nella capitale, fino all’ingresso nella corte del dramma di Diderot, operazioni mediate da uno dei protagonisti dell’Illuminismo napoletano, caratterizzati da un forte spirito pragmatico e fiduciosi in una reale e proficua collaborazione tra intellettuali e governo. Galiani era tra coloro che promossero, in qualità di rappresentanti di una forza sociale progressiva, nuovi atteggiamenti del potere politico e in tale prospettiva collaborò con le sfere governative come altri, lavorando per la corte40, convinto che dal 1734 fosse «cangiato quel duro tenor della sorte» per la “Nazione” napoletana.
Fonti inedite e pubblicate, altre ancora da scandagliare a fondo, informano che a Napoli grazie a Ferdinando Galiani, di ritorno da Parigi, fu introdotto e messo in scena il teatro di Diderot. Ma occorre procedere con ordine. L’abate nel 1773 si trovava da qualche anno a Napoli, dopo un soggiorno parigino durato dieci anni dal 1759 al 176941. Nella capitale francese aveva avuto modo di affinare le doti oratorie e quell’arguzia che tanta fortuna intellettuale gli procurò nei diversi salotti, dove aveva avuto modo d’intessere e stringere importanti rapporti epistolari e amicizie con Diderot42, Grimm, d’Alembert e Morellet. E difatti è proprio la corrispondenza dell’abate che, in parte ancora da investigare nonostante le sollecitazioni di Galasso di qualche anno fa, aiuta nel far luce sui cruciali passaggi che scandirono la graduale diffusione di quel pensiero a Napoli. Ecco quanto scriveva, non senza enfasi, l’abate il 23 gennaio 1773 in una delle duecentocinquantaquattro lettere indirizzate a Madame d’Epinay:
Ayez la confiance en moi, ma belle dame, de croire que ce n’est point là mon jugement; c’est celui de plusieurs dames et seigneurs napolitains qui n’entendent que très médiocrement le français mais qui ont du goût, et du bon sens naturel. Vous pourrez juger de là du degré de leur discernement. Les comédiens français ont joué une seule fois à la Cour devant le roi. Ils y ont débuté aussi par Le Père de famille. C’est à présent pour eux une chose décidée. Le roi a applaudi infiniment cette pièce, il en a goûté toutes les beautés, et il avait mis l’ambassadeur de France à son côté pour lui en marquer son avis. Le succès de cette pièce a été cause qu’il a souhaité de les avoir encore trois ou quatre fois à la Cour»43.

M.me D’Epinay, informata e felice del successo, così gli rispondeva:
croyez-moi, quand on est entouré de gens qui ont un aussi bon goût et un bon sens aussi naturel que l’ont vos Napolitains, on n’est pas si à plaindre. Le jugement qu’ils portent de nos pièces de théâtre est vraiment curieux et singulier. Monsieur Diderot en est fort content pour sa part; pour l’histoire de vos courtisans, elle est de tous les pays, s’il y a jamais une morale universelle elle sera fondée sur l’intêret personel44.

E difatti Diderot era stato informato dei curiosi e singolari avvenimenti napoletani. A confermare ciò è l’integrazione delle notizie provenienti dalla città di Galiani, messa a punto da Diderot nella seconda edizione del Paradoxe sur le comédien del 1773.
Le premier: Mais un fait décisif qui m’a été raconté par un homme vrai, d’un tour d’esprit originale et piquant, l’abbé Galiani, et qui m’a été ensuite confirmé par un autre homme vrai, d’un tour d’esprit aussi original et piquant, M. le marquis Caraccioli, ambassadeur de Naples à Paris, c’est qu’à Naples, la patrie de l’un et de l’autre, il y a un poète dramatique dont le soin principal n’est pas de composer sa pièce. Le second: La vôtre, Le Père de famille, y a singulièrement réussi. Le premier: On en donné quatre représentations de suite devant le roi, contre l’étiquette de la cour qui prescrit autant de pièces différentes que de jour de spectacle, et le peuple en fut transporté. Mais le souci du poète napolitain est de trouver dans la société des personnages d’âge, de figures, de voix, de caractères propres à remplir ses rôles»45.

Se Diderot era riuscito in così breve tempo a pubblicizzare quella notizia, doveva ringraziare tanto la sollecitudine di Madame d’Epinay, la quale gli aveva fornito una copia della questione contenuta nella lettera inviatagli dall’abate napoletano, nonché la prontezza di quest’ultimo nel far giungere tali notizie a Parigi. E la conferma di quanto sopra proviene dalla lettera della d’Epinay a Galiani del 7 febbraio 1773:
J’ai donné à Monsieur Diderot une copie de l’article de votre lettre qui le concerne. Il lui a fait grand plaisir et à nous tous. Je ne crois pas qu’il soit possible de mieux juger Zaïre et le Père de famille que l’on fait vos Néapolitains. Je vous assure que cela m’explique pourquoi les enfants que l’on mène de très bonne heure aux spectacles sont toujours frappés des defaults et des manques de vrai semblance de préférence à tout ce que nous y admirons tout ce qui fait de l’illusions leur parait simple et ne les étonne point. Il n’y a que les invraisemblances qui les frappent46.

Al fine di una maggiore completezza occorre chiedersi: cosa aveva rappresentato quella particolare forma drammaturgica in lingua per i napoletani? È noto, infatti, quanto la messa a fuoco di tali tipologie di reazioni costituiscano il vero oggetto degli studiosi di storia della cultura e della ricezione. Ebbene, a tale scopo è ancora la corrispondenza di Galiani ad offrire la possibilità di cogliere le attese e gli effetti differenti di quelle rappresentazioni. All’indomani della messa in scena nel tracciare una filiera di diretti rapporti tra Voltaire e Diderot, connotata dai chiari risvolti etico-pedagogici, l’abate Galiani assimilava all’inequivocabile metafora dell’école d’enfants il pubblico napoletano:
Un événément bien singulier et bien neuf pour les napolitains. Vous verriez une école d’enfants. Tout le monde a son livre devant les yeux, tête baissée, sans détourner jamais les yeux pour voir la scène: ils paraissent contents d’apprendre à lire le français. […] En morale, il faut la regarder comme une misure que le père générale Voltaire a envoyée de gens de son ordre pour convertir une nation et y planter l’étendard de sa croyance. Le vers de Voltaire amenéront à sa prose, et c’est où il les attend47.

Qualche giorno dopo era sempre la sua penna invece a descrivere con ben altre e opposte immagini un pubblico composto da cortigiani annoiati da Diderot ad eccezione del re: «Mais ce qui vous paraîtra bien comique et tout à fait incroyable, quoique rien ne soit si vrai, c’est qu’avant de les entendre le roi s’était expliqué que ces Français ne lui plairent pas, ainsi l’ennuieraient, car il aimait à rire et pas à pleurer: il est arrivé que lorsqu’on jouait la pièce tous les courtisans baillaîent, s’ennuyaient, prenaient du tabac, faisaient quelque bruit tandis que leur maître fondait en larmes». Concludendo, aggiungeva: «En attendant aimez-moi, embrassez de la parte de tous le Napolitains Diderot et portez-vous bien. Adieu48».
Tra i numerosi spazi spettacolari della capitale fu dapprima in un teatro minore, il teatro ai Fiorentini (sorto nel Seicento come teatro della Commedia spagnuola) che Le Père de famille fu messo in scena dalla compagnia francese, poi a corte. La compagnia giungeva a Napoli dopo essere stata in tournée per molti anni a Vienna e poi a Venezia, diretta dal Sénapart e avente tra i suoi attori il bravo Aufresné49, il Busset e una giovane attrice di sedici anni la signorina Teissier. Le recite iniziarono con le Père de famille di Diderot. Gli attori furono molto applauditi. A tal proposito un avvenimento che Galiani rilevava come molto strano e incredibile era che essi anche a Napoli decidessero di debuttare con le Père de famille che tra tutte le pièces francesi aveva ottenuto sì il maggiore successo in altre città italiane e tedesche in quanto già aduse ad amare il dramma. Tuttavia quell’auspicio non fu disatteso dai napoletani che in sala ai Fiorentini si mostrarono in completa sinergia con la rappresentazione diderotiana.
Ad essa seguì la Zaïre non avendo la polizia permesso il Mahomet. La Giunta dei teatri vietò ai «comédiens qui sejournent à Naples en 1773 de donner le Mahomet de Voltaire considéré par l’administration royale napolitaine comme une provocation lancée contre le credo chrétien»50. Per vendicarsi la compagnia, confessava Galiani, decise di mettere in scena la più subdola Zaïre. La censura, infatti, non investì quell’opera e così ancora furono allestiti Le glorieux, Pygmalion, Nanine, con un entusiasmo tanto crescente che il re volle udirli a corte51. La pièce diderotiana aveva condiviso la medesima dinamica del Socrate immaginario, che rappresentato nel Teatro Nuovo per ben cinque volte, destò la curiosità sovrana accontentata il 23 ottobre 1775.
Nel contesto di una capitale europea, qual era Napoli alla metà del Settecento, dei cui milieux letterari altrove si apprezzavano le produzioni storiche e letterario-artistiche, nel 1773 fu rappresentato con enorme successo Diderot in quel teatro al cui palco nel 1798 fu destinato Il Corsaro di Marsiglia dal contenuto “sovversivo”52. Dopo pochi giorni dalla prima messa in scena il dramma, giudicato dunque in nulla formalmente pericoloso, tantomeno impertinente, fu gustato con minor enfasi a corte.
Nel 1777 quel pubblico napoletano già entusiasta nel teatro ai Fiorentini poteva leggere la pièce nell’edizione originale di un apprezzato amico di Genovesi: Jean Gravier53, il quale munito del necessario permesso pubblicava tra le primissime opere, già messe in scena, una Collection di otto drammi54.
L’intento di questo intervento è stato d’introdurre e dimostrare come a far data dal secondo Settecento siano esistiti tra Diderot e specifici ambienti napoletani dei rapporti complessi di natura culturale e socio-politica che per la loro importanza nella storia del regno durante la difficile congiuntura di fine secolo meritano un approfondimento che sarà pubblicato sul prossimo numero di questa rivista.









NOTE
Abbreviazioni: BPA: Biblioteca provinciale di Avellino; BSNSP: Biblioteca Società Napoletana Storia Patria; BUN: Biblioteca universitaria di Napoli; ASPN: Archivio Storico per le Province Napoletane; DS: Diderot Studies; RDE: Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie.

1 Michele Pironti (1814-1885) deportato a Nisida nel 1849 con Carlo Poerio, diffusore negli ambienti napoletani di Malthus, Quetelet e Buckle, è ricordato più per l’attività da Ministro della Giustizia, (Discorso del senatore Pironti intorno la pena di morte. Stato attuale della questione. Tornata del 24 febbraio 1875, Roma, Cotta e Comp. Tipografi del Senato, 1875), meno per Lo Stato e la Chiesa, Napoli, Argenio, 1871. Egli dinanzi ad una platea di «giureconsulti gelosi della gloria tutta Napolitana di avere sostenuto con virile sapienza e costanza la lotta in cui fu asserito il dritto eminente dello Stato sulla Chiesa» si esprimeva così: «Non è senza un sentimento di diffidenza mista a timore che pongo mano al più grave tema, che preoccupi le menti di tutti gli italiani: dico dello Stato e della Chiesa». «Il fatto compiuto il giorno 20 settembre 1870, per sempre memorando, è destinato a chiudere irrevocabilmente l’era fosca e luttuosa della lotta fatale al Papato non meno che ai popoli, alla religione non meno che alla libertà; cessando lo assurdo dei due reggimenti e dei due poteri, che in sé confondeva la Chiesa di Roma». Fu una prospettiva giurisdizionalista che nel 1869 a Settembrini suggerì di far costruire un monumento a Dante figura mascolina rappresentante l’Italia. Cfr., Ivi, pp. 3-4, 14. Inoltre cfr. C. Pozzolini Siciliani, Una visita a Luigi Settembrini, in «L’Illustrazione italiana», 3 (1876), n. 36, pp. 75-79; Michele Pironti. Nel primo centenario della morte (1885-1985), in «Riscontri», 7 (1985).^
2 L’Elena greca, tragedia inedita di L. Girolamo Vinelli, Venezia, 1801; Filottete tragedia tratta dal francese di M. de la Harpe dal conte Orazio Branzo, Venezia, Loschi, 1806; Matilde ossia la donna selvaggia. Dramma tragico di Giuseppe Poppa, Venezia, 1807; Jenneval ovvero il Barnevelt francese dramma del signor Mercier tradotto da Elisabetta Caminer Turra, Venezia, 1798; Il padre di famiglia. Commedia del signor Diderot traduzione del signor Michele Bocchini, Venezia, 1799; La civetta punita. Commedia del signor de la Nove. Traduzione inedita dei cittadini Francesco Albergati Capacelli ed Alessandro Pepoli, Venezia, 1797; Fanní a Londra. Dramma inedito dell’abate Pietro Chiari, Venezia, 1797; Il capriccio. Farsa del cittadino Francesco Albergati Capacelli, Venezia, 1797. L’esemplare è conservato nella BPA. Nelle Notizie storico-critiche sopra il Padre di famiglia si notava che «la traduzione sente un po’d’odore francese» e «zoppica spesso», registrando inoltre l’assenza di una perfetta corrispondenza in italiano dei motti e dei riboboli francesi. Ivi, p. 99.^
3 Dal 1769 Mercier fu prosecutore del teatro etico di Diderot, costituendo un elemento distintivo nella formazione culturale e politica degli avvocati francesi futuri giacobini (cfr. R. Darnton, The forbidden best-sellers of the Pre-Revolutionary France, New York, Norton, 1996, in particolare pp. 118-20). Non vi è ancora riscontro, tuttavia, dell’incidenza diretta di Diderot negli apprendistati politici di magistrati, notai, avvocati, medici francesi rivoluzionari nel 1789. Cfr. T. Tackett, In nome del popolo sovrano. Alle origini della Rivoluzione francese, Roma, Carocci, 20062, pp. 77-115.^
4 Si tratta di un circuito che altrove ha fornito diverse sorprese, cfr., L. Greco, Un librairie italien à Paris à la veille de la Révolution, in «Mélanges de l’Ecole française de Rome», 102 (1990), pp. 261-80.^
5 A.M. Rao (a cura di), Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, Napoli, Liguori, 1998. La biblioteca di Giuseppe Valletta aveva assolto una funzione fondamentale per l’incremento socioculturale della città e del Regno provvedendo a fornirsi delle più importanti edizioni, rispondendo alla sete di novità e collaborando così alla nascita della «nuova cultura». Cfr. M. Fuiano, Aspetti della cultura e dell’editoria napoletana del Settecento, in «ASPN», 91 (1974), pp. 257-79, in particolare p. 271. Le ricognizioni si presentano come lavoro sui luoghi di conservazione e di letture intesi come spazi plurifunzionali della comunicazione, della circolazione delle idee e dell’informazione libraria, non trascurando l’aspetto educativo di giovani allievi. Cfr. F. Luise, La biblioteca di un avvocato napoletano nel XVIII secolo: Baldassarre Imbimbo in «ASPN», 111 (1993), pp. 363-419; Ead., I D’Avalos. Una grande famiglia aristocratica napoletana nel Settecento, Napoli, Liguori, 2006, p. 137. Per una disamina dei titoli, ivi, pp. 201-06; Ead., Consumi culturali nel Regno di Napoli: le biblioteche nobiliari in «ASPN», 123 (2005), pp. 381-94.^
6 G. Sodano, Una biblioteca (poco) provinciale: i libri degli Acquaviva d’Atri, in E. Novi Chavarria- V. Fiorelli (a cura di), Baroni e vassalli. Storie moderne, Milano, Franco Angeli, 2011, pp. 259-79.^
7 Si tratta di una nota espressa dalla Rao nel 1992 che poi ha trovato un’ulteriore genesi. Isolati sembravano, infatti all’epoca i lavori di R. Pasta, Cultura intellettuali e circolazione delle idee nel Settecento, Milano, Franco Angeli, 1990; Id., Editoria e cultura nel Settecento, Firenze, Olschki, 1997. Al riguardo si leggano i bilanci tracciati in E. Di Rienzo, Sguardi sul Settecento. Le ragioni della politica tra Antico Regime e Rivoluzione, Napoli, Guida, 2007, pp. 229-30; A.M. Rao – A. Postigliola (a cura di), Il Settecento negli studi italiani. Problemi e prospettive, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010.^
8 Si vedano i più recenti risultati d’équipe Naples, Rome, Florence: une histoire comparée des milieux intellectuels italiens, XVIIe-XVIIIe siècle, sous la direction de Jean Boutier, Brigitte Marin, Antonella Romano, Rome, École française de Rome, 2005, in particolare si veda A.M. Rao, Amministrazione e politica. Gli ambienti intellettuali napoletani, pp. 35-88. Le ricerche sulle realtà associative del Regno di Napoli sono complesse, in virtù del fatto che le forme dominanti e dell’“associazionismo” e della sociabilità tra la seconda metà del Settecento e la prima metà dell’Ottocento sono: l’accademia, il salotto e il casino nobiliare, cfr., C. Caglioti, Associazionismo e sociabilità d’élite, Napoli, Liguori, 1996. Bisogna stabilire, tuttavia, quali fossero i contenuti socio-politici e le discussioni tenute in quelle definite realtà. Applicare alle province del Mezzogiorno categorie tipiche di altre città europee richiede, prima di tutto, un lavoro di adattamento ai contesti differenti.^
9 Di qualche utilità A. Machet, Le marché du livre français en Italie au XVIIIe siècle in «Revue des études italienne », 29 (1983), pp. 193-222.^
10 L’abate Giuseppe Maria Mecatti figura come uno dei più produttivi traduttori di Montesquieu e autore, sulle cui opere studiarono i riformatori napoletani, quando non lo lessero in lingua originale e fu proprio nelle sue versioni che i testi degli illuministi napoletani giunsero a Parigi. Cfr. L. Greco, Un librarie… cit., p. 275.^
11 «Una storia intellettuale come quella dell’Illuminismo richiede infatti un modulo di analisi qual è la biografia forse più di altre fasi e movimenti della storia culturale europea». G. Galasso, La filosofia in soccorso de’ Governi. La cultura napoletana del Settecento, Napoli, Guida, 1989, p. 22. Del metodo biografico privilegiato da Venturi anche Villari scriveva che andasse rafforzato, collegando più organicamente l’opera culturale e politica dei riformatori con il processo di sviluppo generale della società con atteggiamenti, condizioni ed esigenze delle forze a cui essi si richiamavano. Cfr. R. Villari, Ribelli e Riformatori dal XVI al XVIII secolo, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 127-28.^
12 M. Minerbi, (a cura di R. Minuti), prefazione di D. Roche, La cultura politica nell’età dei Lumi. Da Rousseau a Sismondi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2009, in particolare pp. 125-64.^
13 R. Darnton, Édition et sédition. L’univers de la littérature clandestine au XVIIIe siècle, Paris, Gallimard, 1991, pp. I-VI. Mi riferisco alla scelta di utilizzare diverse fonti che distingue le prime ricerche di Darnton da quelle della scuola di Mornet.^
14 G. Imbruglia, Rivoluzione e civilizzazione. Pagano, Montesquieu e il feudalesimo in Poteri, democrazia, virtù. Montesquieu nei movimenti repubblicani all’epoca della rivoluzione francese, a cura di D. Felice, Milano, Franco Angeli, 2000, pp. 99-122. Si veda anche D. Felice, Montesquieu e i suoi interpreti, 2 voll. Pisa, ETS, 2005; Id., Pour l’histoire de la réception de Montesquieu en Italie (1789-2005), Bologna, Clueb, 20062; A. Postigliola-E. Mass, (a cura di), Lectures de Montesquieu, Napoli Liguori – Oxford Voltaire Foundation, 1993.^
15 Non sempre le operazioni di censura e di deformazione, che connotano propagande a danno di scomode idee, producono la formazione di canali di diffusione di quegli stessi principi. Tale paradossale risultato, finora, non si è riscontrato nei processi di neutralizzazione. Cfr. A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida, 1992, pp. 6-25. Complementari le prospettive emerse in L. Sozzi (a cura di), Nuove ragioni dell’antilluminismo in Francia e in Italia, Pisa, ETS/Ginevra, Slatkine, 2001.^
16 S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia (1750-1815), Torino, Giappichelli, 1961; G. Gentile, La Repubblica virtuosa. Rousseau nel Settecento politico meridionale, Napoli, Morano, 1989; R. Ajello, Democrazia giuridica moderna. Problemi, protagonisti, testimoni: Rousseau, Beccaria, Dragonetti, in «Frontiera D’Europa», 15 (2009), nn. 1-2.^
17 F. Venturi, Tre note sui rapporti tra Diderot e l’Italia, in Essays on Diderot and the Enlightenment in honor of Oti Fellows, Génève, Droz, 1974, pp. 348-62. Rapporti sotterranei da riportare alla luce affioravano in H. Dieckmann, Diderot e Galiani, in Ferdinando Galiani, “Atti del Convegno italo-francese” (Roma 25-27 maggio 1972), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, CCCLXXII, 1975, pp. 309-33, ora in Id., Il realismo, cit., pp. 95-118; inoltre cfr., F. Nicolini, L’Orazio dell’abate Galiani, Roma, Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Memorie, XXII, 1978, 2, pp. 111-314.^
18 Il testimone dopo Dieckmann e Nicolini non è stato raccolto. Oggi è scarsa la bibliografia europea sulla circolazione di Diderot nel Regno di Napoli. Un’eccezione è costituita da Gianluigi Goggi il quale circa un trentennio fa rintracciava in Diderot la fonte e l’ispirazione di alcuni passi filangieriani. Al riguardo cfr., G. Goggi, Ancora su Diderot-Raynal e Filangieri e su altre fonti della Scienza della Legislazione, in «La Rassegna della Letteratura italiana», 84 (1980), s. VII, pp. 112-60.^
19 Per un tour d’horizon sulle vicissitudini della “fortuna” diderotiana Oltralpe fino ai primi anni del Novecento si veda, R. Trousson, Images de Diderot en France (1784-1913), Paris, Champion, 1997. Benché sia impossibile menzionare in questa sede una così vasta bibliografia, si può però rinviare all’utile strumento F.A. Spear, Bibliographie de Diderot. Repértoire analytique international, 2 voll., Génève, Droz, (I) 1980, (II) 1988. Integrative sono due riviste: la prima è «DS» édité da Otis Fellows e poi anche da Diana Guiragossian Carr, il cui primo numero fu pubblicato nel 1949 da Syracuse University Press, in seguito da Droz, Génève. Imprescindibile risulta oggi il riferimento alla «RDE» (diretta da Anne-Marie Chouillet e Marie-Leca Tsiomis) della “Société Diderot” di Langres. Per un costante aggiornamento bibliografico cfr. http://www.diderotp7.jussieu.fr/diderot.^
20 Incipit di indagini storico-critiche fu D. Diderot, Lettre sur les Aveugles, (a cura di R. Niklaus), Génève, Droz, 1951, pp. VI-LXVIII. A Niklaus va ascritto un duplice merito, di aver curato la prima edizione critico-filologica della Lettre sur les Aveugles, corredata delle varianti dei testi manoscritti; in secondo luogo di aver fornito ai lettori gli strumenti necessari per la comprensione dell’Historique della Lettre, per aver chiarito la Génèse de la Pensée de Diderot e aver definito le Remarques sur la publication de la lettre et les principes de l’édition. E inoltre J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie, Paris, Colin, 1962. Più recente il fondamentale Dictionnaire de Diderot, sous la direction de Roland Mortier et Raymond Trousson, Paris, Champion, 1999.^
21 Sembrano applicabili, in tal caso, le considerazioni sui processi di cristallizzazione nella resa di gerarchie internazionali, reali e storiografiche, conseguenza di immagini politico-storiografiche. Cfr. A.M. Rao, Esuli, cit., pp. 7-10. Sugli usi obiettivi quanto deformanti del pensiero diderotiano a partire dal 1789 in Francia rinvio a P. Quintili, Diderot e la Rivoluzione francese. Modelli, miti, riferimenti nel secolo XXI, in «Quaderni materialisti» (2004), 2, pp. 81-106; R. Trousson, Mémoire de la critique, Paris, PUPS, 2005, in particolare pp. 7-32.^
22 A. De Tocqueville, L’Ancien Régime et la Révolution, in Id., OEuvres, III, a cura di François Furet et François Mélonio, Paris, Gallimard, 2004, pp. 178-185, in particolare p. 183. Al riguardo si veda D. Masseau, Les énnemis des philosophes. L’antiphilosophie au temps des Lumières, Paris, Albin Michel, 2000. Masseau come Darnton (Il grande affare dei lumi, trad. it., Milano, Bonnard, 1998) ha non solo fornito inedite prospettive sulla censura, ma ha mostrato come il dibattito sul Diderot filosofo-romanziere-drammaturgo fosse del tutto aperto.^
23 C. Borghero, Il ritorno del rimosso. Per un bilancio di dieci anni di studi italiani di storia della filosofia del secolo XVIII, in un Decennio di storiografia italiana sul secolo XVIII, a cura di A. Postigliola, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici, 1995, pp. 105-42.^
24 Cfr. P. Alatri, Problemi e figure del Settecento politico francese II, «Studi Storici», 5 (1964), pp. 333-79. Id., Problemi e figure del Settecento politico francese I, «Studi Storici», 5 (1964), pp. 137-68; Id., Voltaire, Diderot e il partito filosofico, Messina-Firenze, D’Anna, 1965.^
25 Casini come Busnelli (Diderot et l’Italie: reflets de vie et de culture italiennes dans la pensée de Diderot, Génève, Slatkine, 19702) sollecitava ricerche sulla fortuna in Italia dell’Encyclopédie, oggetto di disinteresse, come gli artefici di quella riuscitissima operazione editoriale, giungendo così a spiegare quel fenomeno nei termini di un «durevole effetto di una condanna ormai remota». Cfr. D. Diderot, Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, a cura di P. Casini, Roma-Bari, Laterza, 1968, p. VIII. Di Casini si legga la Presentazione a H. Dieckmann, Il Realismo di Diderot, Roma-Bari, Laterza, 1977.^
26 A. Mango (a cura di), Diderot il politico il filosofo lo scrittore, (prefazione di P. Alatri), Milano, Franco Angeli, 1986.^
27 «Poi da Newton a Diderot, si consolidò il successo della scienza sperimentale, che incontrò, prima, durante e dopo la rivoluzione francese e nella fase della restaurazione, nuove resistenze da parte dell’idealismo tedesco, fenomeno non a caso molto influente in Italia» [...]. «Intanto Diderot osservava che la verità rigorosa dei matematici è un modo intellettuale che perde completamente questa prerogativa quando lo si trasporti sulla nostra terra poiché è una specie di metafisica generale ove i corpi sono spogliati delle loro qualità individuali». R. Ajello, Eredità medievali e Paralisi giudiziaria. Profilo storico di una patologia italiana, Napoli, Arte tipografica editrice, 2009, pp. 250-51. Inoltre cfr., Id. Il pragmatismo giuridico di Antonio Genovesi. Tra rivoluzione scientifica e restaurazione idealistica, in «Frontiera d’Europa», 11 (2005), 2, pp. 75-118.^
28 Esemplare resta, in una città dove la tipografia, secondo Galanti, stentava a divenire un’arte, il giudizio che di Orsino esprimeva il Giustiniani: «Esercita il suo mestiere con molta distinzione e prosperità. Non vi mancano tutti gli altri finimenti necessari alle buone dizioni de’ libri. Egli mostra inoltre della molta sensibilità per lo decoro di questa bell’arte». «La carta è di un’eccellente qualità. I caratteri sono nitidissimi e ben formati. Edizione decorata da eleganti testate, finali, prime lettere». Cfr. L. Giustiniani, Saggio storico-critico sulla tipografia del Regno di Napoli, Napoli, Vincenzo Orsino, 1793, a spese del libraio Vincenzo Altobelli, pp. 209-11. Con la sua stamperia «sita rimpetto al Divino Amore» fu l’editore di Domenico Grimaldi, di Giannone, autori che avevano arricchito con le loro opere il mercato librario clandestino e ancora di Giustiniani e di Napoli Signorelli. Egli si distinse inoltre per una cospicua produzione di edizioni mediche e agiografiche e di opere diplomatiche licenziate con una qualità superiore a talune edizioni parigine.^
29 BUN, Raccolta di drammi francesi volgarizzati. Il figlio naturale o le pruove della virtù, il Padre di famiglia, Napoli, Orsino, 1784. L’esemplare che apparteneva al notaio napoletano Raffaele Ruo nel 1949 fu acquisito dalla BUN.^
30 M. Duraccio, Note sull’editoria teatrale napoletana nel Settecento in A.M. Rao (a cura di), Editoria, cit., pp. 687-88.^
31 Si tratta di collocare un’opera nell’ambiente socio-economico e politico-culturale all’interno del quale maturarono le idee fondanti con una più attenta ricerca delle origini e delle funzioni articolate di un’idea in riferimento alle esigenze e ai problemi del medesimo milieu. Cfr. G. Giarrizzo, Cultura illuministica e mondo settecentesco, in Vico, la politica e la storia, Napoli, Guida, 1981. Sull’applicabilità di tale metodologia anche nel settore formativo-drammaturgico rinvio a M.C. Napoli, Nobiltà e teatro. Dalle antiche Accademie alla nuova società drammatica, in M.A. Visceglia (a cura di), Signori, patrizi, cavalieri in Italia centro-meridionale nell’età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 340-54.^
32 G. Galasso, L’unità del sapere, in «L’Acropoli» 10 (2009), pp. 324-41, in particolare p. 327.^
33 Jesuite F.M. (Hist. Eclesiast.) Ordre de religieux fondé par Ignace de Loyola, &connu sous le nom de Compagnie ou Societé de Jésus. «On s’arrêtera sans doute ici, pour se demander comment cette Societé s’est affermie, malgré tout ce qu’elle a fait pour s’avilir; comment elle a obtenu la confiance des Souverains en les assassinant; la protection du Clergé en le dégradant; une si grande autorité dans l’Eglise en la remplissant de troubles, & en pervetissant sa morale & ses dogmes? C’est ce qu’on a vû dans le même tems dans le même corps, la raison assise à côté du fanatisme, la vertu a côtè du vice, la Religion à côte de l’impieté, le rigorisme à côté du relâche». Ivi, p. 29. Cfr. Article Jesuite tiré de l’Encyclopédie par main de maitre, Où on trouve l’Histoire Abrégée Chronologique de l’Etablissement, des vices, des vertus, de la décadence & de la ruïne de cette Societé dans plusieurs Royaumes & Etats de l’Europe &c.&c., A Londres, Aux dépends de la Compagnie, MDCCLVI. Si veda N. Guasti, L’esilio italiano dei Gesuiti spagnoli: identità, controllo sociale e pratiche culturali (1767-1798), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006.^
34 F. Venturi, L’Italia anticuriale: Napoli, in Id., Settecento riformatore, II, La chiesa e la repubblica dentro i loro limiti (1758-1774), Torino, Einaudi, 1976, pp. 163-84. Al riguardo su anticurialismo/antireligiosità cfr., E. Di Rienzo, Sguardi sul Settecento cit., pp. 155-70, in particolare p. 170.^
35 Article Jesuite tiré de l’Encyclopédie cit., p. 37.^
36 Sul Collegio Massimo cfr. C. Belli, La fondazione del Collegio dei Nobili di Napoli, in C. Russo, (a cura di), Chiesa assistenza e società nel Mezzogiorno moderno, prefazione e introduzione di G. Galasso, Lecce, Congedo, 1994, pp. 183-247. Sull’espulsione e sulla partenza dei Gesuiti da Napoli sono stati consultati due manoscritti conservati in BSNSP, XXI.B.17, p. 161; XXX.C.12, p. 9.^
37 F. Venturi, L’Italia anticuriale: Napoli cit., p. 179. Cfr. A. Genovesi, Interventi sulla Riforma delle Scuole in Dialoghi e altri scritti. Intorno alle Lezioni di commercio, a cura di Eluggero Pii, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi filosofici, 2008, pp. 414-40, in particolare p. 414 nota 2. Undici furono gli insegnamenti di quel Collegio affidati a maestri ben noti all’abate salernitano in quanto suoi allievi. Cfr. Ivi, pp. 427-28.^
38 Assumerà questo luogo con le stanzette modeste, in poco meno di un secolo, le dimensioni del tempio nelle memorie dei cultori della scienza. Si veda C. Dalbono, Del movimento scientifico in Napoli nell’ultimo secolo 1750-1850. Programma letto all’Accademia Pontaniana, nella tornata del 13 luglio 1878 in Id., Scritti varii, prefazione di F. S. Arabia, Firenze, Le Monnier, 1891, p 121.^
39 Tanucci da Caserta gli riferiva delle scuole successorie fatte nel Gesù vecchio dopo l’espulsione dei Gesuiti e la nomina di Dragonetti. Cfr. B. Tanucci, Epistolario, XX 1768, a cura e con introduzione di Maria Claudia Ferrari, Napoli, Società Napoletana di Storia patria, 2003, p. 124.^
40 Si tratta di una fitta trama sulla quale è costruito il binomio Illuminismo e riformismo, cfr., G. Galasso, La filosofia in soccorso, cit., pp. 40-44, pp. 337-484.^
41 Del soggiorno parigino e di quanto l’abate si trovasse a proprio agio nei salotti francesi, ecco quanto scriveva Croce: «La sua andata a Parigi» e «il soggiorno che fece colà gli offrirono le condizioni propizie a svolgere le migliori e più schiette forze del suo ingegno, e a mostrare la sua vera fisionomia di pensatore e di scrittore. Anche di scrittore: egli aveva bisogno dello stile di conversazione a salti, ad accenni, a sottintesi, ad epigrammi; e questo, che Napoli non gli dava, glielo davano i salotti parigini». Cfr. B. Croce, Il pensiero dell’abate Galiani, in Saggio sullo Hegel, Roma-Bari, Laterza, 1984, pp. 321-22. Diderot mostrò di aver colto per primo quella complessa polarità di interessi, che contraddistingueva l’autore Del dialetto napoletano. Si veda inoltre colui che tra i primi si soffermò sul dialogo Galiani-Diderot, V. Pica, L’abate Galiani (1723-1787), in La vita italiana nel Settecento. Conferenze tenute a Firenze nel 1895, Milano, Treves, 1917, pp. 131-72; F. Nicolini, L’arrivo a Parigi dell’abate Galiani, in «Il Messaggero della domenica», Roma, 6 aprile 1919.^
42 Appena un anno dopo il rientro a Napoli fu Diderot a curare la pubblicazione parigina dei galianei Dialogues sur le commerce des blés, opera che a Parigi evitò le correzioni del censore grazie alle proteste di Diderot e della d’Epinay, per giungere nelle mani di Galiani il 3 febbraio 1770. Cfr. L. De Rosa, Galiani e il commercio dei grani, in Id., Economisti meridionali, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici, 1995, pp. 117- 89, in particolare pp. 141-45.^
43 Le lettere parigine autografe di Galiani sono conservate nel Departement des Manuscrits della BNP. Correspondance Ferdinando Galiani-Louise d’Epinay, présentation de Georges Dulac, texte établi et annoté par Daniel Maggetti en collaboration avec Georges Dulac, I-V, III, Paris, Desjonqueres, 1994, p. 191. Inoltre cfr. Correspondance inédite de M. l’abbé Ferdinando Galiani, conseiller du roi de Naples, avec M.me d’Epinay, le baron d’Holbach, Paris, Calmann Levy, a cura di Lucien Perey et Gaston Maugras, 2 voll., Paris, 1881. Inoltre cfr. G. Galasso, I manoscritti napoletani di Galiani in Id. La filosofia cit., pp. 353-68. Alcune lettere di M.me d’Epinay sono in BSNSP con la segnatura XXXI A 11-2. Si trattava di una dinamica che ben presto divenne consuetudine, cfr. B. Croce, I teatri di Napoli. Dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari, Laterza, 19474, pp. 229-30, 237.^
44 Cfr. Correspondance Ferdinando Galiani-Louise d’Epinay cit., III, p. 200.^
45 D. Diderot, Paradoxe sur le comédien précédé des Entretiens sur le fils naturel, a cura di Raymond Laubreaux, Paris, Garnier-Flammarion, 1967, pp. 175-77. Si veda il recente, Le fils naturel, Le père de famille, Est-il bon? Est-il méchant? Diderot, a cura di Jean Goldzink, Paris, Flammarion, 2005.^
46 BSNSP, ms. XXXI.A.12, fascicolo 2, foglio 7r. Madame d’Epinay. Lettere all’ab. F. Galiani, II, da gennaio 1773 a luglio 1782. Paris, le 7 fevrier 1773 “A Monsieur l’Abbé Galiani, Conseiller du Conseil de commerce à Naples”. Inoltre cfr. Correspondance Ferdinando Galiani-Louise d’Epinay cit., III, pp. 199-202, in particolare p. 200. A Napoli gli scritti di Voltaire furono ritenuti ben più pericolosi di quelli di Diderot, circolando anche compendiati e contro i quali la corte aveva emesso nel 1765 condanne «a due anni di galera per i possessori del Dizionario filosofico portatile di Voltaire; se nobili, a due anni di relegazione». Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), regesti a cura di Rosa Mincuzzi, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, 1969, p. 278. Il segno che quella misura non era stata sufficiente lo dimostrava il nuovo ordine del re del 1769 di proibire i libri empi, dei quali la maggior parte erano di Voltaire, nonché di estendere la pena fino alla galera anche per i venditori. Ivi, p. 530.^
47 Correspondance Ferdinando Galiani-Louise d’Epinay cit., III, p. 197. Cfr. inoltre B. Croce, I teatri di Napoli. Dal Rinascimento, cit., p. 236. Primato del Galiani il quale già nel 1773 riscontrava influssi voltairiani nel teatro di Diderot. Tale argomento è ora sviluppato in M. Buffat, Le théâtre de Voltaire dans l’oeuvre de Diderot in Diderot dans l’univers des spectacles «RDE», 27 (2012), n. 47 numero monografico.^
48 Correspondance Ferdinando Galiani-Louise d’Epinay cit., III, p. 194.^
49 Sentito era il rammarico della d’Epinay per non aver saputo trattenere a Parigi un così bravo attore che come nessuno le aveva procurato «autant de plaisir» recitando le Cinna. BSNSP, ms. XXXI.A.12 fascicolo 2, foglio 8v. Madame d’Epinay. Lettere all’ab. F. Galiani, cit. Inoltre cfr. Correspondance Ferdinando Galiani-Louise d’Epinay, cit., III, p. 204.^
50 Cfr. M. Travérsier, Gouverner l’Opéra. Une histoire politique de la musique à Naples (1767-1815), Rome, École française de Rome, 2009, p. 241. Inoltre cfr. B. Croce, I teatri di Napoli. Dal Rinascimento cit., p. 236.^
51 Si trattava di una pratica, adottata fino a tutto il 1775, di richiedere le opere di successo a corte e che la Travérsier di recente ha rimarcato quale avvio di un’altra anomala dinamica, quando Ferdinando nel 1776 si recò per la prima volta in uno dei teatri secondari cittadini, il Nuovo, per assistere all’opera di Paisiello, destando tra i molti scalpore, espresso da Galiani alla d’Epinay. Il Re dava vita ad un «coup de théâtre au sens baroc du terme» in una pratica di frequentazione dei teatri minori giunta alla massima espressione nel biennio ’83-’84, interpretata dalla Travérsier non come «un simple affaire de goût personnel», quanto piuttosto come la trasgressione dell’etichetta di corte per rivendicare il proprio potere. Cfr. Ead., Gouverner l’Opéra cit., p. 139. Va detto tuttavia che già Croce faceva coincidere con il 1776 l’avvio di quella pratica. Il che fa emergere qualche contraddizione con la rivendicazione del potere sostenuta dalla Travérsier, in quanto il sovrano, stando ai dati, piuttosto che accomodarsi sui palchi reali, preferiva andarvi in incognito e sedersi in nascosti palchetti laterali, sia al Nuovo che ai Fiorentini. In tal caso non ci sarebbe alcuna rivendicazione di potere. Cfr. B. Croce, I teatri di Napoli cit., pp. 560-61. La medesima notizia è confermata a distanza di anni cfr. Id., I teatri di Napoli. Dal Rinascimento cit., p. 229.^
52 Attestato in Croce (I teatri di Napoli. Dal Rinascimento, cit., p. 271) il quale riferiva di un «documento in suo possesso tra i libri della sua biblioteca in un dramma del Gamerra Il Corsaro di Marsiglia tutto corretto da Giambattista Lorenzi succeduto al Serio nell’ufficio di revisore, per una recita da farsene nel 1798, probabilmente ai Fiorentini». Potrebbe trattarsi solo di una variante linguistica del titolo riportato dalla Travérsier come Il Corso di Marsiglia.^
53 Genovesi aveva commissionato al Gravier la pubblicazione e la traduzione di opere a lui utili per darne poi notizia ai diversi corrispondenti. A. Genovesi, Scritti, cit., pp. 258-59, 268.^
54 La Miscellanea pubblicata nel 1777 da Jean Gravier si presentava come una Collection de comédies, otto nel complesso in versi e in prosa. I titoli seguono l’ordine della raccolta: Le fat puni en un acte, par Mr. De Pont-De-Vele; Les dehors trompeurs ou l’homme du jour, en vers, en cinq actes, par De Boissy; Le Procureur Arbitre, en un acte, en vers, par Mr. Poisson; Les deux Avares, en prose, en deux actes, Melée d’Ariette par Mr. Grety; Le Chevalier à la mode, en cinq actes par Mr. D’Ancourt; Le Père de famille, en cinq actes, en prose par Mr. Diderot; L’Epreuve reciproque, en un acte, en prose, par Mr. Le Grand; Le galant Coureur ou l’Ouvrage d’un Moment en un acte, par Mr. Le Grand. Sul frontespizio «Le prix est de 20 grains», l’equivalente di due carlini. L’esemplare consultato è conservato nella BUN. Si tenga conto del fatto che Gravier aveva ricevuto nel gennaio 1777 il privilegio di stampare tutte le opere francesi che potevano rappresentarsi.^
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