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Due lettere di Vittorio de Caprariis a Edgardo Sogno
di Maurizio Griffo
Le due lettere che vengono qui pubblicate mi furono date in copia parecchi anni fa da Edgardo Sogno (1915-2000). Avevo conosciuto Sogno a Messina nell’ottobre del 1984, in occasione del convegno organizzato dalla locale università per il ventennale della scomparsa di Vittorio de Caprariis (1924-1964)1. In quella circostanza Sogno donò alla vedova di de Caprariis, la compianta signora Alda Gabrieli, uno scambio epistolare fra lui e lo storico napoletano, che mi fu dato incarico di pubblicare2. Successivamente Sogno mi comunicò di avere ritrovato tra le sue carte queste altre due lettere (le uniche altre che aveva reperite), ma di non avere, in questo caso, copia delle sue risposte3. Sul momento fu deciso di non pubblicarle. Archiviate in un faldone, le avevo quasi dimenticate. Di recente mi è capitato di rileggerle e mi è parso opportuno darle alle stampe. E questo per diverse ragioni. Anzitutto esse sono un significativo documento degli interessi politici e di studio di Vittorio de Caprariis in una fase importante della sua esistenza. Le lettere testimoniano anche dell’amicizia che legava l’autore al destinatario; un’amicizia sollecitata certo da una reciproca simpatia umana, ma in cui le propensioni intellettuali e un comune orizzonte etico-politico svolgono un ruolo determinante. Più in generale, poi, le due lettere offrono un rapido, ma significativo, aperçu del clima politico e dell’atmosfera culturale che si respirava negli ambienti liberali italiani durante la fase più acuta della guerra fredda. Il rammarico, semmai, è che ci si trovi di fronte ad uno stralcio parziale da una corrispondenza che, come s’intende dai rimandi e dai richiami presenti in vari punti, doveva essere sicuramente più ampia.
La prima lettera, datata 2 marzo 1950, è anzitutto un documento biografico. De Caprariis confessa all’amico un momento di svuotamento interiore e di svogliatezza, parla della sua difficoltà a concentrarsi e dice di star attraversando un periodo di scarsa attività. Nelle considerazioni con cui commenta il suo stato d’animo lo storico napoletano sposa pienamente la concezione crociana dell’opera come momento più alto della condizione umana; pure, tra le pieghe del discorso si può percepire, tra i rimandi letterari e le considerazioni filosofiche, una striatura esistenziale che risente dell’atmosfera culturale respirata recentemente in Francia.
Riletta in prospettiva la lettera registra una comprensibile pausa nel percorso di ricerca dell’autore. In quel torno di tempo il giovane studioso aveva ultimato il libro su Guicciardini, che da poco era stato dato alle stampe, ed aveva iniziato, grazie anche a una borsa di studio della Fondazione Rockefeller, le sue ricerche in Francia sul pensiero politico durante le guerre di religione4. Appare evidente che dopo aver concluso felicemente una prima ricerca e avendo preso a studiare un diverso argomento viva una fase di assestamento. Di fatto ancora non sa come indirizzare il nuovo lavoro e sta elaborando interiormente un possibile itinerario. Sotto questo profilo la seconda lettera, scritta a dieci mesi di distanza, presenta un panorama interiore diverso. Non casualmente in questa circostanza il giovane storico parla di un saggio sulla cultura francese del ’600 che sta ultimando. A quella data, se il lavoro sulla propaganda politica durante le guerre di religione è ancora in fase di primissima elaborazione, de Caprariis ha già cominciato a familiarizzarsi e ad orientarsi nella storia della cultura francese dei primi secoli dell’età moderna5.
Peraltro, e a buona ragione, proprio la Francia e la capitale francese sono lo sfondo materiale e intellettuale di questa corrispondenza. Nel corso del 1949 de Caprariis aveva compiuto un primo soggiorno di studio a Parigi. In questo periodo aveva intensificato i rapporti con Sogno, che all’epoca era console presso l’ambasciata italiana. Certo, i due si conoscevano già da qualche anno avendo numerose amicizie comuni, ma durante il soggiorno francese il precedente rapporto di conoscenza si era rapidamente trasformato in un’intensa amicizia. Un’amicizia in cui contano molto le affinità elettive; soprattutto un comune apprezzamento del crocianesimo e un orientamento politico di segno liberale.
La profondità del rapporto di amicizia si percepisce nella tonalità affettiva che caratterizza entrambe le missive, dove abbiamo un andamento colloquiale; ad esempio, lo si coglie nei molti accenni scherzosi, nei rimandi ad ambienti frequentati assieme e nelle prefigurazione di futuri incontri. Lettere che sono una sorta di conversazione tra amici che non si vorrebbe mai interrompere e per la quale si trovano sempre nuove sollecitazioni6.
La Francia, però, è presente anche come un riferimento storico e politico più generale, come si vede nella diffusa analisi relativa a De Gaulle e al gollismo che viene fatta nella seconda parte della lettera. L’interesse per la storia d’oltralpe è costante nella produzione storiografica di de Caprariis. Una direzione di ricerca dove si può individuare una convergente confluenza di sollecitazioni. In primo luogo va considerata la tradizione di studi crociani e omodeiani, in cui la restaurazione francese è la stagione nella quale matura, con piena consapevolezza, la religione della libertà. A questo primo stimolo si aggiunge il suggerimento di Chabod che, nella qualità di direttore dell’istituto crociano, aveva più direttamente in carico il compito di indirizzare il percorso di studi dei collaboratori. Lo storico valdostano nutriva un vivo interesse per la storia francese e ha avuto certamente un ruolo fondamentale non solo nel suggerire come argomento di ricerca le guerre di religione in Francia ma anche, più in generale, nel risvegliare in de Caprariis l’interesse per l’intera vicenda storica transalpina7.
Tuttavia questo insieme di sollecitazioni non solo è accolto ma viene pienamente metabolizzato, diventando parte integrante del bagaglio di interessi decaprarisiani. Che la sua visione della storia francese più recente sia largamente definita, almeno nei tratti essenziali, già a questa data lo si comprende anche da come viene analizzato il tema De Gaulle. L’argomento è affrontato in maniera cursoria, come commento ad uno studio su di lui che Sogno vagheggiava, ma le osservazioni svolte mostrano un orientamento assai preciso8. Nitidamente de Caprariis distingue tre fasi nell’azione e nella biografia del generale francese: il teorico militare, il capo della resistenza, il leader politico. Sotto quest’ultimo profilo lo storico napoletano pone un problema che resterà essenziale anche in una fase di molto successiva della storia francese contemporanea, quello del rapporto tra il generale ed il movimento politico da lui fondato. Inoltre, la lettura del fenomeno De Gaulle non si esaurisce in una notazione politica corrente, ma viene collegata ad altri avvenimenti della storia francese otto e novecentesca, caratterizzati dall’acceso nazionalismo e dal rifiuto del parlamentarismo. Nel delinearne i tratti de Caprariis ne fissa tanto i referenti e gli antecedenti politici (Napoleone III, Boulanger) che culturali (Barrés, Péguy, Daniel Halévy). A coronare le osservazioni storiche sta infine una considerazione storiografia. De Caprariis rileva, infatti, la mancanza di un libro che ricostruisca compiutamente la storia francese degli ultimi settanta anni, un compito che gli appare di cruciale importanza non solo per i francesi per tutti gli europei.
La seconda lettera, più breve, è sollecitata dagli avvenimenti recenti, ma dal tenore delle considerazioni svolte appare evidente che essa riprende precedenti discussioni tra i due amici su temi di politica estera. Fra il dicembre 1950 e il gennaio 1951 la guerra di Corea sembra conoscere una crisi foriera di tragici sviluppi. Come sappiamo di lì a qualche mese il fronte di guerra si stabilizzerà allontanando il pericolo di un’estensione del conflitto. Tuttavia, in quelle settimane il timore di una nuova guerra mondiale era reale. Le notazioni di de Caprariis vanno lette in questa cornice di attualità9.
Si tratta di notazioni improntate al realismo. Questo vale, anzitutto, per le valutazioni particolari che si suggeriscono. La ricerca di un settlement con la Cina di Mao per guadagnare tempo, evitando che la crisi degeneri; la previsione che in futuro, superata la crisi attuale, si possa sperare in una pace duratura basata sulla deterrenza (nella lettera si parla, citando Churchill, di “mutuo terrore”). Ma vale ancor più per i principi generali che vengono enunciati: l’idea che nelle relazioni internazionali non ha senso ipotizzare una terza forza perché in quell’ambito essenziale è la potenza, come scontro o bilanciamento di forze. Sono rilievi che, per quanto rapsodici, prefigurano nitidamente l’angolazione analitica degli scritti di politica estera che de Caprariis scriverà negli anni a venire; al contempo esse sono rappresentative anche delle posizioni di politica estera che caratterizzeranno le componenti di terza forza laica nell’Italia repubblicana del lungo dopoguerra10. In sostanza queste due lettere ci fanno capire come tra il 1950 ed il 1951 l’orizzonte degli interessi storici e politici di de Caprariis fosse in gran parte già delineato.





I11

Napoli, lì 2 marzo 1950



Carissimo Eddy,
ho stamattina ricevuto la tua e come vedi mi affretto non dico a scriverti ma a dare inizio ad una epistola di risposta: dico dare inizio perché le cose che avrei da scriverti sono tante che certamente sarà prima stanco il braccio che vuoto il sacco. In verità è parecchio tempo che medito di scriverti, ma ho sempre rimandato e negli ultimi giorni la scusa mi era offerta dall’ultima lettera di Anna12 che descriveva le tue imprese sciatorie: “aspetterò che sian tornati a Parigi” ho detto a me stesso a consolare la mia pigrizia. La verità è che dall’incidente che è capitato a don Benedetto (che è stata cosa non gravissima ma abbastanza seria: per fortuna viene riprendendosi bene e viene a poco a poco tornando alla sua vita di lavoro)13 non ho combinato quasi niente e ho molto solleticato con l’ozio la mia nascosta natura di slavo-napoletano che nei primi anni dell’adolescenza amava inebriarsi nella poetica e suggestiva figura di Oblomov14. Come vedi sono ancora tanto abile da riuscire a costruire una maschera letteraria alla mia pigrizia! È che – come mi capita assai più frequentemente di quanto tu forse non immagini – attraverso una crisi di sfiducia in me stesso di una certa gravità: nausea della lettura, incapacità di raccoglimento e, quel che è peggio, timore dell’inutilità di quel che faccio: cosa questa che viene assumendo i toni più diversi, dirò meglio i più vari travestimenti, convinzione profonda di esser fesso dalla nascita o scoperta di aver sbagliato mestiere. Tutte fantasie, d’accordo, perché non sono fesso e non ho sbagliato mestiere, ma fantasie che non impediscono il sovrapporsi di una strana malinconia. Adesso che mi osservo mi viene spontaneo di chiedermi in che cosa io potrei esserti di vantaggio standoti vicino a Parigi! Ma tu ricordi forse quello che io dissi ad Anna ed a te in quella bella stanza del Lapérouse15 e che non era retorica; che era in fondo anche il pensiero dominante della nostra “corrispondenza filosofica”16. Io non credo che nell’opera: in quello che l’uomo fa, nel proprio di ogni uomo che è il suo lavoro, la sua fatica (come i greci chiamavano il lavoro), che se è ben fatto è per questo stesso bene. Quando uno di noi che ha questa religione dell’opera a tratti ne dubita (e capita di dubitarne perché è umano il dubbio e nihil humani a me alienum puto)17, è come se il mondo tutto andasse sommerso e non v’è Dio soccorrevole cui implorare il perdono e ci si trova come il Mazzarò di Giovanni Verga che aveva la religione della “roba”, della ricchezza accumulata con pena e lavoro infiniti, e che posto innanzi alla morte teme a un tratto di essere da questa sconosciuta visitatrice separato da quella “roba” che è il meglio di sé anzi il vero se stesso e si ritrova nel cortile – moribondo impazzito – ad uccidere i suoi polli e l’altro bestiame strepitando “roba mia, vientene con me”18. Come vedi, caro Eddy, il tuo filosofante amico è un po’ triste: e ciò dimostra (e questo pensiero è soprattutto per Anna) che la mia armatura filosofica non è per definizione impermeabile; e questo dimostra che la mia filosofia non è un solido “passepartout” comodo ad aprirci tutte le porte. Ma se questo è vero (continua il pensiero per Anna), se è vero che noi siamo nella vita tutta che ci circonda fino al collo, e sentiamo le scosse del mondo sulla nostra carne, se la crisi dell’uomo è proprio quella in cui ci sentiamo coinvolti, se questa crisi non possiamo eliminare coi facili accorgimenti di un cattivo storicismo, perché ce la sentiamo addosso nelle domande che si schiudono nel nostro cervello e sono ferite nel nostro cuore, perché i cannoni che abbiamo udito sembravano riprodurne il suono cupo, perché l’abbiamo vista segnata nello strazio delle mura cadute, se noi sentiamo tutto questo e altro ancora, il bisogno della “parola che squadri l’animo nostro informe”, la paura dell’“agave che s’abbarbica allo scoglio e fugge il mare dalle braccia d’alghe” (ripeto le parole di un poeta che amo, di Montale)19, se è vero tutto ciò, dove noi troveremo il filo che ci guida se non in quel modo di atti e di parole che sono la nostra condizione umana, la poesia e il pensiero e l’azione pratica dei nostri colleghi uomini, la storia dell’uomo che è tutta la storia del mondo? Fuori dell’uomo non c’è niente e l’uomo reca in sé la storia umana, voglio dire la vita passata che è come dire l’avvenire.
Scusami caro Eddy, ma dovevo dire tutte queste cose a qualcuno: e l’effetto è che mi sento più sereno. Come vedi anche lontano, anche non sapendone nulla, mi hai rasserenato e fatto del bene. Ecco un corollario degno di quel De amicitia ciceroniano il cui ricordo dei tempi gloriosi del liceo ancora mi spaventa. Che questa lettera possa confortare anche te e ripagarti della mia lontananza, è cosa di cui sono indotto a dubitare fortemente. Varrà almeno a darti notizia un po’ vaga della vita che conduce un tuo affezionato amico a qualche kilometro di distanza: il quale, però, nei mesi precedenti ha lavorato non poco con scritti e con parole di cui spera un giorno o l’altro poterti dare a viva voce un più ampio ragguaglio. Quando? Quando mi presenterò in giugno – spero – nell’ufficio del console Sogno e gli farò annunciare un connazionale napoletano che vuole esporre a lui personalmente il suo caso, premettendo di non essere un “grosso commendatore analfabeta”. Allora abbracci affettuosi e vigorose strette di mano e affettuosa commozione e gioconda festevolezza. Poi darai un calcio al consolar lavoro e andremo insieme a pranzo fuori. Allora io ti chiederò: “e allora, con lo studio sul gaullismo?”. “Già, dirai tu, pezzo di porco, ma tu mi hai risposto?”. “Dio, dirò io, vergognoso ed afflitto, sono un miserabile …”. È così che tu speri, o astuto e diabolico amico, di mettermi dalla parte del torto, per potermi a tuo piacimento maltrattare. Ma io – furbo – non cado nel tranello e comincio a mettere fin d’ora le mani avanti … De Gaulle …: grosso problema, affascinante problema. Quasi ti invidio. A me pare che occorra innanzi tutto molta cautela critica. Cercherò di esprimere quello che penso con meno oscurità possibile. E innanzi tutto qui ci deve soccorrere (“cantaci, o diva, del Pelide Achille …”)20 cautelosa analisi di storico e non ferma polemica di politico. Esiste poi un De Gaulle, voglio dire un solo De Gaulle? O non ne esistono piuttosto tre, il teorico della guerra corazzata e dell’armata di mestiere, l’ufficiale da Saint Cyr alla guerra; l’uomo della Resistenza; l’uomo politico dalla liberazione in poi? Il primo è piuttosto facile da studiare, perché l’uomo, la sua carriera, la sua azione, le sue idee seguono una linea loro propria su cui gli interventi sono limitati e non credo vi debbano essere eccessive complicazioni. Ma già il secondo pone un grosso problema: De Gaulle e la Resistenza: il loro incontro e i loro scontri (e lascio da parte l’altro forse più grande: De Gaulle e gli alleati). Il terzo è il più difficile: De Gaulle e il gaullismo. Fino a che punto è De Gaulle che domina e dove invece il movimento gli sfugge e assume una sua fisionomia, si dà un suo contenuto, e si serve del generale solo per facilità demagogica? Primo interrogativo che ne pone immediatamente un secondo: il gaullismo è un fenomeno del dopoguerra o è invece l’espressione di una costante dello spirito politico in Francia, dal Terzo Napoleone in poi, via via, per Boulanger e il movimento antidreyfusardo e il nazionalismo alla Barrès e alla Péguy e l’antiparlamentarismo alla Halévy, fino ai giorni nostri? Io credo che tu dovresti bene specificare il tema della tua indagine: perché potresti cavarne fuori un articolo di rivista politica oppure un libro affascinante sulla lotta politica in Francia nell’ultimo settantennio. C’è questo libro? Il vero, il grande libro manca: anche la Storia della Francia moderna di A. Garosci21, che pure è ricca di pagine felici, che è un libro che sprizza intelligenza da tutte le parti, a me è sembrata una storia mancata. Forse ci vorrebbero dieci anni per scriverlo, forse anche venti: ma l’uomo che lo scrivesse – credimi – avrebbe diritto alla riconoscenza dei francesi e degli europei. Rimando i miei suggerimenti bibliografici ad una tua lettera che contenga precisazioni (intanto cercati un numero di ESPRIT del 1949 sul ritorno dei fascismi, perché vi sono due buoni articoli sul gaullismo)22.
Ti dirò che non mi sento per quanto cerchi di scrutarmi dentro – la vocazione del padre! Parola d’onore! E speriamo che non mi venga! Attendo tue e ti abbraccio con fraterna affettuosità tuo
Vittorio.





II23

Napoli, lì 16 genn. 1951


Mio caro Eddy,
ho ricevuto – assai gradita – la tua lettera, che mi ricorda quanto “tristi” sono le mie cattiverie … epistolari. Va da sé che saremmo lietissimi di veder Anna: avrebbe in me una guida sagace non solo dei librai napoletani: e “legumi e altri cibi sani …”, come diceva Orazio, alla nostra mensa24.
Son contento che siate ancora a Parigi: tanto più che non escludo una mia fulminea apparizione di fine gennaio. Specialmente se riesco a cavar le mani da certe pagine di storia della cultura francese del ’600 che vengo preparando e nelle quali sono immerso fino agli occhi25.
E adesso parliamo delle cose più grandi di noi, di quelle che sembrano sconvolgere di questi tempi i nostri privati destini e mozzano il fiato col timor dell’abisso. Non che io sia invaghito di Mao e lo veda come l’archetipo della “terza forza internazionale”. La politica estera è problema – specialmente nelle atmosfere in cui ci è capitato di vivere i nostri giorni di potenza: di potenza che urta un’altra potenza o di potenza che ne equilibra un’altra. Questo esclude automaticamente la “terza forza”. Ma le mie idee – e credo anche quelle dei miei amici – si lasciano guidare nelle cose cinesi da calcoli realistici e non ideologici. Noi partiamo dal dato che l’irreparabile nelle coscienze è già avvenuto e non tarderà ad accadere nei fatti: la guerra – che noi paventiamo come l’ultima sciagura – è per noi uno dei fatti più probabili. Posto ciò è evidente che bisogna prepararsi ad essa: e poiché il tempo lavora per noi e non per i nostri avversari, giova ritardare la guerra. Per ritardare la guerra bisognerà creare un settlement in Asia: la guerra aperta e totale in Asia significa la guerra aperta e totale in Europa, per il principio che la guerra è inscindibile. Guerra in Europa vuol dire, ancora per un po’ di mesi, occupazione (leggi anche: distruzione) dell’Europa. Cosa non desiderabile, mi pare. Il settlement in Asia si può ottenere solo trattando con Mao; cedendo su quello cu cui si può cedere e tenendo fermo dove si deve tener fermo: ma trattare. Politique d’abord; non guerre d’abord. Questa mi par l’unica probabilità di esser in grado di scegliere noi il momento. Non vedo altra via. E se il gioco riuscisse fino in fondo potremmo anche sperare in quella pace – non certo bellissima ma pace che Churchill additò: la pace del mutuo terrore.
Caro Eddy, questo continua a pensare quel “fregnone” del tuo amico Vittorio: ed è contento che in Italia, in India o in Inghilterra o altrove vi siano altri “fregnoni” che la pensano come lui.
Tu cosa pensi di tutto ciò? Scrivimi. E nell’attesa di leggerti e più ancora di vederti gradisci il fraterno abbraccio del tuo
Vittorio.










NOTE
1 Le giornate di studio in memoria di Vittorio de Caprariis si tennero a Messina dal 1° al 3 ottobre 1984. Gli atti sono pubblicati nel volume Dalla politica alla storia, a cura di G. Buttà, Messina, P&M, 1986.^
2 Cfr. Mestiere di storico e professione politica (un carteggio de Caprariis-Sogno), in «Criterio», autunno 1985, pp. 171-185. Si tratta di due lettere di de Caprariis e una di Sogno, scambiate a Parigi tra il febbraio ed il luglio 1949.^
3 Nelle carte di Vittorio de Caprariis conservate dalla famiglia non ci sono lettere di Edgardo Sogno. Ringrazio Giulio de Caprariis che ha gentilmente autorizzato la pubblicazione di queste due lettere.^
4 Il libro è V. De Caprariis, Francesco Guicciardini. Dalla politica alla storia, Bari, Laterza, 1950. Per le notizie biografiche cfr. T. Amato, De Caprariis Vittorio, in Dizionario Biografico degli italiani, Roma, Istituto dell’enciclopedia italiana, 1987, vol. 33, pp. 451-454.^
5 La ricerca sulle guerre di religione in Francia sarà completata solo parecchi anni dopo; cfr. V. de Caprariis, Propaganda e pensiero politico in Francia durante le guerre di religione, I (1559-1572), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1959.^
6 Se l’amicizia restò sempre viva le frequentazioni si diradarono di molto negli anni seguenti anche per via della destinazioni diplomatiche di Sogno. Le informazioni date nel testo sui tempi e modi della frequentazione tra i due amici sono desunte da un lettera scrittaci da Edgardo Sogno il 30 gennaio 1985.^
7 Per l’influenza di Chabod sulla maniera storiografica di de Caprariis, cfr. G. Galasso, L’Itinerario storiografico di Vittorio de Caprariis, in Idem, Croce, Gramsci ed altri storici, Milano, Il Saggiatore, 1978, p. 328.^
8 Sull’interesse che Sogno nutriva nei confronti di De Gaulle e del gollismo, dai contatti durante la Resistenza, all’attenzione rivolta al suo movimento politico e, ancor più, alle soluzioni istituzionali propugnate e realizzate, cfr. E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Milano, Sperling & Kupfer, 20102, passim.^
9 Per cogliere il clima di quel momento e per intendere il giudizio espresso nella lettera si possono vedere i commenti sulla vicenda coreana pubblicati su «Il Mondo» di Pannunzio, un settimanale cui, di lì a qualche anno, de Caprariis comincerà a collaborare attivamente. Cfr. G. Boglione, Previsioni e speranze, II, 49, 9 dicembre 1950, p. 1 e Idem, Panorama coreano, II, 51, 23 dicembre 1950, p.1; sugli stessi numeri, rispettivamente, A. Calvi, Il rischio calcolato, p. 6 e Idem, Breve intervallo, p. 6; Baiazet, La venticinquesima ora, III, 1, 6 gennaio 1951, p. 3. Un sintetico ragguaglio sui pericoli di estensione del conflitto in quel momento in B. Bongiovanni, Storia della guerra fredda, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 77, per una ricostruzione più centrata sugli aspetti diplomatici di quella fase cfr. G. Borsa, Dieci anni che cambiarono il mondo 1941-1951. Storia politica e diplomatica della guerra nel Pacifico, Milano, Corbaccio, 1995, pp. 351-352.^
10 Per gli scritti di politica estera che de Caprariis pubblicò su «Il Mondo» e su «Nord e Sud», cfr. Bibliografia di Vittorio de Caprariis, a cura di M. Griffo, “Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici”, XX – 2003-2004, pp. IX-L. Un’analisi delle posizioni di politica estera espresse da de Caprariis in E. Capozzi Introduzione e G. Buttà, Postfazione in V. de Caprariis, Storia di un’alleanza. Genesi e significato del Patto Atlantico e altri saggi, Roma, Gangemi, 2006, rispettivamente pp. 7-41 e 267-295; in questa riedizione del saggio sulle radici storiche del patto atlantico, pubblicato originariamente nel 1958, sono ristampati anche alcuni interventi di politica estera scritti tra il 1961 ed il 1964, cfr. ivi, pp. 189-266.^
11 Manoscritta, su carta intestata “Istituto Italiano di Studi Storici. Il Direttore” quest’ultima dicitura è barrata con un tratto di penna. Il luogo è stampato con sottostante l’indirizzo: via Trinità Maggiore, 12 ^
12 Anna Arborio Mella, la moglie di Sogno.^
13 Sull’attacco che nel febbraio 1950 aveva provocato a Croce una temporanea emiplegia cfr. F. Nicolini, Benedetto Croce, Torino, Utet, 1962, p. 436.^
14 Il protagonista dell’omonimo romanzo di Gonciarov.^
15 Noto albergo e ristorante parigino.^
16 Si riferisce probabilmente allo scambio epistolare del 1949 citato nella nota 2.^
17 Citazione abbreviata del noto motto di Terenzio dall’Heautontimorumenos: «Homo sum: humani nihil a me alienum puto».^
18 Il riferimento è alla novella verghiana La Roba, che termina proprio con la frase citata da de Caprariis.^
19 Il riferimento è a due poesie contenute nella raccolta Ossi di seppia, si tratta rispettivamente di Non chiederci la parola e L’agave sullo scoglio, in questo secondo caso la citazione, evidentemente fatta a memoria, è imprecisa; il testo recita: «l’agave che s’abbarbica al crepaccio dello scoglio e sfugge al mare da le braccia d’alghe».^
20 Scherzosa citazione dal primo verso dell’Iliade nella versione di Vincenzo Monti.^
21 Si tratta precisamente di A. Garosci, Storia della Francia moderna (1870-1946), Torino, Einaudi, 1947.^
22 Il fascicolo monografico di «Esprit», intitolato: La pause des fascismes est terminée, è in realtà del dicembre 1947, i due articoli cui si fa riferimento sono P. Debray, Bonapartisme, boulangisme et néo-gaullisme e F. Goguel, Conjuncture politique du néo-gaullisme.^
23 Manoscritta su carta intestata “Istituto Italiano di Studi Storici. Il Vice-Direttore”, quest’ultima dicitura è barrata con un tratto di penna. Il luogo è stampato con sottostante l’indirizzo: via Trinità Maggiore, 12.^
24 Viene richiamato sommariamente un passo delle Satire, I, 6, 114-116.^
25 Con ogni probabilità il riferimento è al saggio Libertinage e libertinismo, in «Letterature moderne», II, 3, maggio-giugno 1951, pp. 241-61 ora in Scritti di Vittorio De Caprariis, 1: Storia delle idee: da Socrate a Mann, a cura di G. Buttà, Messina, P&M, 1986, pp. 427-460.^
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