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Riportare al centro la crisi dei Partiti
di G. G.
Nelle more dell’ultima decisione sul caso Berlusconi sarebbe logico che a prendere nelle cronache italiane il posto finora tenuto da quel caso fossero i problemi interni dei partiti, per i quali è davvero poco parlare di una loro, sia pur grave, crisi, e che finora sono stati confinati in secondo o in terzo piano rispetto a quel caso e rispetto (cosa più comprensibile) ai problemi economici e finanziari che continuano a pendere sempre più minacciosi sulla vita italiana.
Senonché, questo è proprio uno di quei casi in cui la sfasatura, la lontananza tra ciò che sarebbe logico e ciò che accade non sta nel fatto che qualcosa che doveva accadere non accade, bensì nel fatto che la si vede accadere in modo lontanissimo da quel che ci si aspetterebbe.
Si prenda il caso della destra. Il problema di far nascere e organizzare, finalmente, in Italia una grande forza moderna e costruttiva, per il suo ruolo, nella vita del paese è totalmente eclissato dalla contrapposizione tra “lealisti” nei confronti di Berlusconi e “governativi”, i primi denominati “falchi” e ritenuti fautori di una crisi di governo che porti subito a nuove elezioni, i secondi denominati “colombe” e sostenitori di un appoggio pieno e duraturo al governo in carica, di cui i loro principali esponenti fanno parte. Nessuno davvero parla di che cosa dovrebbe caratterizzare la destra che in molti auspicano come un elemento di equilibrio del sistema politico nazionale e di fisiologica attivazione nel migliore dei modi di molte energie e risorse della vita italiana, che finora sono state sostanzialmente dissipate in un gioco dominato dal personalismo di un leader certamente fuori del comune. Soprattutto, poi, continua quella certa povertà di espressioni culturali e di capacità di coinvolgimento degli ambienti intellettuali più qualificati di cui la destra berlusconiana ha fatto mostra fin dagli inizi, e che sembra uno degli handicap più gravi anche nella sua prospettiva futura, se le cose restano come sono. In ogni caso, è sempre possibile che il partito non riesca a superare le tensioni determinatesi intorno alla eventuale decadenza di Berlusconi dal suo mandato parlamentare e a una potenziale connessione di tale questione con le sorti del governo Letta. Ma che cosa accadrebbe in tal caso? Appare ora più probabile di qualche tempo fa la nascita di uno o più partitini, destinati ad allungare un elenco di micro-formazioni politiche che non ha giovato né giova al sistema italiano; e questo sia che Berlusconi mantenga, sia che non mantenga il suo ruolo e la sua presenza politica, che al momento non appaiono surrogabili da nessuna delle personalità attive nel suo campo.
Né le cose stanno meglio sul versante opposto del partito democratico, che finora è apparso più che altro come una felice ipotesi che non ha trovato effettiva traduzione nella realtà. È impressionante quanto e come appaia dissipato quel grande capitale di tessuto organizzativo e di quadri periferici che era un tratto fortemente vitale e funzionale nella vecchia tradizione soprattutto del partito comunista, ma anche, sebbene in altra misura e con proprie caratteristiche, del partito democristiano, confluiti il primo quasi tutto e il secondo in parte, come si sa, nel partito democratico. Qui un Berlusconi non c’è e non può esservi, ma lo stesso non si fa che parlare di persone (Renzi o chi?), mentre nessuno parla di concrete proposte o linee di governo. Per di più, in drammatico contrasto con la battaglia contro Berlusconi, combattuta, più o meno bene, in nome di un ricorrente appello a grandi principii etici e politici, si è determinato nel partito una questione del tesseramento che lo ha immediatamente collocato fra i peggiori casi di costume politico nel campo dei partiti di cui si sia fatta esperienza sotto la cosiddetta seconda Repubblica. Le conseguenze può darsi che non se ne vedano a breve termine, ma certo non potranno essere all’insegna dell’annacquamento della questione stessa fino a risolverla, magari, con una semplice revisione numerica delle tessere o con una selezione affrettata per rispondere alla prossimità del congresso del partito, passando un po’ di belletto sulle guance di un organismo ormai in più che evidente affanno. Soluzioni di questo genere sarebbero gravi per il partito e per il sistema politico in cui esso opera. Meglio sarebbe allora perfino il proclamare che non vi è stata nessuna riprovevole pratica nel gonfiamento incredibile del numero dei tesserati, alcuna manovra di “signori delle tessere”, e dare quindi per buona la nuova dimensione dell’organizzazione del partito, ed è già questo un eloquente dir tutto.
A sua volta il Movimento 5 Stelle – che doveva essere la novità rivoluzionaria della odierna politica italiana e che tale continua a pretendersi – sembra sempre più lontano dal rispondere effettivamente a tale pretesa. Non solo nell’arena parlamentare i voti – fin troppo numerosi – del Movimento si sono chiusi in un volontario e infecondo isolamento. Non solo vi hanno praticato prese di posizione a volte al limite del risibile. Non solo gabellano per propri dei successi che tali non sono (come nella questione del voto sul caso Berlusconi). Non solo credono di sfondare il muro del suono con roboanti, quanto inani e peregrine iniziative cui nessuno dà il minimo ascolto (come per la richiesta della messa in stato di accusa di Napolitano). Ma è soprattutto nella creazione di un partito degno del nome nelle sue strutture e prassi organizzative e nei suoi strumenti di azione che il Movimento ha rivelato le sue maggiori e più gravi insufficienze. Che vi sia, come molti dicono, una mente (Casaleggio) e un braccio (Grillo) può essere o non essere (noi propendiamo a credere che la parte di Grillo sia alquanto maggiore). Quel che è certo è che la prassi decantata e strombazzata della grande novità costituita dalla consultazione in rete innanzitutto non è esclusiva del Movimento, e in secondo luogo – e più gravemente – è inutile o addirittura dannosa per lo svolgimento di una vita politica autenticamente vigorosa. Comunque, si può, quindi, ben dire che si vede chiaramente che tutta la prassi, non solo quella elettronica, invalsa fin dall’inizio nel nuovo partito non può davvero pretendere di sostituire i consueti canali fisici, personali, diretti, né rispondere alle complesse esigenze (anche di tempi e di mediazioni) proprie della vita politica nel pieno senso del termine.
Il paradosso dell’attuale congiuntura politica italiana sta, però, proprio nel fatto che è questo stesso discutibile nuovo partito 5 Stelle – che si è presentato come un partito a conduzione accentratissima e fin troppo spesso non meno padronale di quella deplorata da quel partito nella tanto vilipesa “vecchia politica” – appare ancora come la più plastica delle formazioni politiche in campo, la più suscettibile di prendere forme e assumere ruoli operativi diversi, ed eventualmente perfino sorprendenti, rispetto a quelli con i quali si è finora presentato e ha agito.
Che dire delle altre formazioni presenti nell’agone italiano?
Il partito di Vendola, SEL, i Verdi, qualche altra formazione di sinistra possono a ogni elezione guadagnare qualche manciata, mai risolutiva, di voti, ma corrono sempre anche il rischio di sparire almeno dalla scena parlamentare come è accaduto tante altre volte a simili partiti e, più spesso, partitini.
Al centro la presenza politica di Monti, che sembrava abbastanza promettente, si è ulteriormente affievolita dopo il tutt’altro che brillante risultato elettorale, fino al punto che il leader e fondatore di Scelta Civica ne ha lasciato la presidenza e sembrava che dovesse lasciare addirittura il partito, le cui prospettive future sono di una opinabilità pari all’incertezza. Il partito di Casini non presenta un panorama più ameno. Il suo leader, che, dopo il deludente esito elettorale sembrava essersi ritirato in un dignitoso silenzio, è invece ricomparso e ha dimostrato un certo attivismo, che non gli è valso, tuttavia, un ritorno al peso politico di cui era accreditato prima delle elezioni; e, anche se è possibile che, secondo il solito, il suo partito consegua qualche buon risultato nelle elezioni locali, sembra, invece, decisamente da escluderne ogni possibilità di assumere parti più che marginali o collaterali nel gioco politico nazionale. Si è fatta e si fa anche l’ipotesi che con il centro confluisca una congrua parte della destra stanca di Berlusconi, ma nei fatti questo continua ad apparire un futuribile anche più problematico dei tanti che si vagheggiano ricorrentemente nel fervido immaginario politico nazionale. La stessa Lega Nord, una volta pilastro portante della destra (benché incredibilmente qualificata come “costola della sinistra italiana” nientemeno che da D’Alema, ossia da uno dei maggiori leader della sinistra), naviga in pessime acque. La segreteria Maroni l’ha appena rimessa in piedi, senza, però, che si sia definitivamente acquietato il problema di Bossi, che di tanto in tanto rinfresca il suo proposito di riprendere il ruolo che fu suo in anni che appaiono ormai definitivamente tramontati. Staremo a vedere chi sarà e che cosa si proporrà di fare il nuovo segretario, ma certamente non saranno miracoli.
Insomma, una veduta d’insieme che autorizza ben poche certezze e, ancora meno, serie speranze. Eppure, ripristinare un buono stato di salute delle forze politiche è una condizione non solo prioritaria, ma, ben più, imprescindibile per una ripresa generale della vita nazionale dallo stallo negativo in cui sempre più si ritrova. Quali delle grandi riforme di cui si parla può essere seriamente portata avanti senza che una tale
condition préalable venga soddisfatta? Come si potranno gestire al meglio i difficili, gravi momenti che aspettano il paese sulla via del risanamento finanziario, di cui si ha torto a ritenere che sia stato ormai fatto il più? Come si potrà sperare di ristabilire il credito internazionale del paese: non il credito finanziario, intendiamo qui, ma quello politico, certamente ai minimi anche rispetto ai bassi livelli di poco tempo fa? Come, senza il ristabilimento di un tale credito, si potrà gestire la perdurante crisi economica e sociale nelle sue determinanti connessioni con la politica europea e internazionale? Come la politica potrà pervenire a quelle riforme della Pubblica Amministrazione, che da ogni parte, e a giusta ragione, vengono indicatae come uno dei massimi problemi italiani?
Il ragionamento si dovrebbe allargare anche ai fenomeni, che sembrano crescenti, di un attivismo militante anti-sistema, anti istituzionale, incline a forme clamorose e sempre più preoccupanti di protesta, anche se non crediamo che siano già al diffondersi di un nuovo terrorismo. Ma ci pare doveroso restare per ora all’analisi e agli interrogativi sopra formulati,e attendere che almeno le prossime scadenze politiche di dicembre, tra cui il congresso del partito democratico e il nuovo assetto della destra, diano qualche indicazione che renda possibile di uscire fuori dal campo delle pure analisi retrospettive e delle ipotesi su futuribili, e consentano qualche più fermo punto di orientamento.
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